L'attesa per la visita del Papa a Rebibbia: l'impegno dei volontari. Intervista con una suora canossiana
Cresce l’attesa per la visita del Santo Padre a Rebibbia, domenica prossima. La macchina organizzativa sta ultimando i preparativi in vista dello storico incontro di Benedetto XVI con i detenuti della Casa Circondariale romana. Intenso e costante è l’impegno dei volontari che prestano servizio ogni giorno al fianco degli ospiti dell’Istituto di pena. Ce ne parla Davide Dionisi.
Spesso la società tende a considerare il detenuto un emarginato o comunque una persona che va condannata al di là dei suoi sentimenti e delle sue esigenze. Per loro, quindi, il carcere inizia molto prima della detenzione vera e propria e non finisce certo nel momento in cui si riacquisisce lo stato di libertà. Il vuoto di strutture e di mezzi che esiste al di fuori delle sbarre offre pochissime possibilità di reintegrazione né tanto più di trovare un lavoro o una casa. Un ruolo determinante assume allora il volontario, colui che è il segno di una testimonianza. La persona investita di un ruolo sociale, una forza in grado di ripristinare i valori della persona. Colui o colei che intende il carcere non un luogo che custodisce, ma che educa, un valore e non una misura estrema. A suor Rita Del Grosso, religiosa canossiana da otto anni in servizio a Rebibbia, abbiamo chiesto chi è oggi il volontario nel carcere...
R. - È una persona che sicuramente è sensibile al bisogno altrui e che dà del tempo agli altri. Per me, consacrata, significa essere una presenza di consolazione: che piange con chi piange, gioisce con chi gioisce.
D. - Cosa spinge una persona a maturare una scelta così importante al fianco dei detenuti?
R. - Il desiderio di donare e condividere quel bene che ho e abbiamo ricevuto.
D. - Barriere e pregiudizi. Quale contributo può dare il volontario per abbatterli?
R. - Il volontario o la volontaria con il suo stile di vita, con il suo modo di relazionarsi con queste persone, con la sua capacità di vivere in prima persona il non-pregiudizio, penso che contribuisca a creare una cultura di accoglienza del diverso.
D. - Che cosa rappresenta, secondo lei, la visita del Papa di domenica prossima? È un evento straordinario. Che cosa potrà lasciare ai detenuti di Rebibbia? E non solo a loro…
R. - Molto, perché si sentono anche loro coinvolti in quello che è la Chiesa universale; il Papa pensa anche a loro e, quindi, non si sentono gli “ultimi” della grande Chiesa, pellegrina, orante. Certamente il Papa dirà qualcosa di particolare per loro e, quindi, sono felici, sono contenti.(fd)
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