Dopo le stragi in Nigeria il cardinale Jean-Louis Tauran ribadisce il valore del dialogo tra le religioni
Chi cammina verso Dio non può scegliere la violenza
Mario Ponzi
«Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace; chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».
Questa frase, pronunciata da Benedetto XVI all’Angelus del 1° gennaio di quest’anno, quando annunciò la commemorazione del XXV anniversario dell’incontro di Assisi, è diventata, per il cardinale Jean-Louis Tauran, il filo conduttore dell’impegno per la promozione del dialogo tra le religioni.
«Parole — sottolinea il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso nell’intervista rilasciata al nostro giornale — che mi hanno profondamente colpito e che hanno ispirato ogni mio intervento nel corso dei diversi incontri avuti con esponenti di altre religioni, in quest’anno che sta ormai per concludersi. Parole disarmanti, anche per chi si affida ancora alla violenza per risolvere i problemi».
La tragedia consumatasi in Nigeria in questo ennesimo Natale di sangue mostra l’attualità di queste parole del Papa. Ma dimostra anche che quella del romano Pontefice è una delle rare voci di un capo religioso a levarsi contro la strumentalizzazione del nome di Dio da parte di uomini che hanno eletto la violenza a fede.
Davanti a episodi come quelli accaduti in Nigeria, ma anche in altre parti del mondo, mi convinco sempre di più dell’importanza del dialogo tra le religioni e della necessità che si intensifichi sempre di più. Detto questo, però, vorrei cogliere l’occasione per sottolineare l’urgenza dell’intervento di ogni capo religioso per inculcare nei cuori e nelle menti dei propri fedeli una vera mentalità di pace: l’idea di un Dio non violento che ama tutti gli uomini a prescindere da razza, cultura, convinzioni e condizione sociale. Un Dio nel nome del quale non si può commettere violenza o fomentare odio. È inutile continuare ad attribuire la responsabilità di simili orrori a frange estremiste di questa o quella religione se, poi, il Papa resta una delle pochissime autorità religiose che continua a infondere — e non solo tra i cristiani — sentimenti di pace, di riconciliazione, di giustizia, di solidarietà fraterna. In ognuno dei miei incontri chiedo ai responsabili delle altre religioni di farsi interpreti, presso i loro fedeli, dei valori universali, quali appunto la pace, l’amore fra i popoli, la solidarietà, la non violenza, che già il Papa proclama. Purtroppo però continuano a registrarsi fatti di sangue tra i figli delle nostre comunità religiose. Ciò significa che in questo senso c’è ancora molta strada da fare per convincere ognuno a essere prima di tutto araldo della pace di quel Dio vilipeso dalla violenza.
Come mai il messaggio di pace del Papa, che ha una portata universale, non sempre è compreso da tutti?
È proprio questo che mi stupisce. L’impressione che ricevo quando incontro gli altri capi religiosi è che ormai i responsabili delle religioni di tutto il mondo capiscono sempre di più la grande missione di pace che la Chiesa cattolica continua a compiere in ogni angolo della terra, promuovendo ovunque un dialogo fondato sul rispetto reciproco nella ricerca della verità. Poi però accadono questi fatti. Forse manca, in altre sedi, una comunicazione in senso verticale, che scenda sino alle radici.
Nella storia del dialogo tra le religioni bisogna annoverare l’evento caratteristico del 2011, che verrà ricordato come l’anno di Assisi, sia per la ricorrenza del XXV anniversario della prima giornata, sia per l’incontro presieduto da Benedetto XVI nella città di san Francesco. Quanto queste giornate possono effettivamente influire sul dialogo stesso?
Direi che il primo frutto di queste giornate — forse il più importante — è il riconoscimento, ormai dalla maggior parte dei leader religiosi di tutto il mondo, del fatto che la Chiesa cattolica mantiene viva la fiamma del dialogo tra le religioni. Ci è riconosciuto questo impegno di promozione ed è una constatazione molto importante. Per ciò che riguarda la giornata di Assisi dello scorso 27 ottobre, vorrei innanzitutto sottolineare una delle caratteristiche che le ha voluto dare lo stesso Benedetto XVI: quella, cioè, di celebrare una pietra miliare nella storia dei rapporti tra le religioni. In sostanza il Pontefice ha inteso ravvivare il ricordo dell’incontro di venticinque anni fa, rimasto unico nella storia. Nessun intento ripetitivo, dunque, semmai un arricchimento, apportato con il suo proprio stile, per aiutare ad approfondire la riflessione.
Quali ricadute ha avuto nel contesto internazionale, soprattutto laddove i rapporti tra le religioni sono particolarmente difficili?
Credo che per ogni governante, per ogni responsabile politico sia un vantaggio annoverare tra i propri interlocutori responsabili di comunità religiose che si fanno pellegrini della riconciliazione e della pace. Il dialogo tra le religioni non ha come scopo quello di riunire i fedeli delle diverse religioni in un unico tempio o in una chiesa. Quello che possiamo realmente fare in questo momento, però, è mettere tutto ciò che abbiamo in comune e tutti i nostri sforzi al servizio della società e dunque dell’umanità intera. Io credo che proprio laddove le situazioni sono più difficili, dove ancora persiste un clima di violenza che spesso genera vicende drammatiche, si intuisce sempre più la necessità di rilanciare un dialogo tra credenti che favorisca la comprensione reciproca. Come ha detto il Papa nel suo discorso nella basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, laddove si dimentica la presenza di Dio nel mondo l’umanità scompare.
In questo contesto cosa ha rappresentato la sua partecipazione alla riunione di novembre in India, il cui obiettivo dichiarato era quello di far rivivere lo spirito di Assisi?
In India ci sono stati momenti significativi. Il primo a Bombay dove abbiamo avuto alcuni incontri informali con i musulmani. Sono stati evidenziati interessi comuni che richiedono una più approfondita collaborazione tra cristiani e musulmani, per superare innanzitutto i pregiudizi generati dalla mancanza di un’approfondita conoscenza l’uno dell’altro, e di conseguenza la strumentalizzazione della religione che genera violenza. Discorso questo che è stato affrontato anche con gli induisti. Rilevante in questo senso l’incontro di Pune, presso l’ateneo pontificio retto dai gesuiti, dove ha avuto luogo forse l’incontro più importante del nostro viaggio in India, quello con gli induisti su come rafforzare il dialogo tra di noi per promuovere la giustizia, la pace e soprattutto l’armonia, che in quella terra è molto importante. La discussione si è articolata principalmente su questi aspetti: il dialogo tra le religioni, come affrontare la difficile situazione attuale, la dignità umana, la dignità della donna, il rapporto tra religione e società, tra religione e famiglia, tra religione e povertà, tra religione e sviluppo. Un confronto su vasta scala, come si può capire, molto positivo e che spero possa dare frutti abbondanti in un futuro non troppo distante.
Tra le tappe più significative del suo itinerario in diverse parti del mondo è da annoverare il secondo incontro del forum cattolico musulmano, svoltosi in Giordania a fine novembre. Quali sono state le conclusioni a cui siete giunti?
Ritengo tutti importanti i diversi incontri ai quali partecipiamo proprio per gli argomenti che si trattano e per i risvolti che possono avere. Ci sono evidentemente cose che mi colpiscono in modo particolare. In Giordania per esempio sono rimasto sorpreso dallo spirito di amicizia che ha impregnato l’atmosfera dell’incontro. Ci siamo detti le cose con franchezza, a volte anche cose che potevano suonare forti, ma tutti hanno ascoltato con rispetto e risposto con delicatezza.
Il tema dell’incontro «Ragione, fede e persona umana. Prospettive cristiane e musulmane» richiamava il discorso tenuto da Benedetto XVI nel settembre del 2006 a Ratisbona. Cosa ha dettato la scelta?
Sicuramente, quando ben comprese, le parole del Papa a Ratisbona sono di ispirazione: la scelta del tema è stata spontanea. Naturalmente i capi di ogni religione sanno che non può esserci un collegamento tra violenza e religione, qualunque religione. Semmai il problema è quello di far penetrare questi concetti, chiarissimi per i responsabili delle religioni, nella mentalità di tutti gli uomini e trasferirli nelle diverse legislazioni. Il tema ha favorito il clima nel quale l’incontro si è svolto. Le cose che ci siamo dette in proposito toccavano tutti e ciascuno, dunque è stato molto sentito. Abbiamo ribadito che la fede è un dono di Dio attraverso il quale la persona umana scopre di essere creata da Dio e deve progredire nella conoscenza di questo Dio. Siamo stati concordi nel riconoscere che la religione non è frutto della ragione ma non è irrazionale. Il cuore dell’uomo è il punto in cui fede, ragione e compassione si incontrano; dunque è il cuore dell’uomo che porta a Dio e all’amore verso il prossimo. Da ciò consegue che la dignità della persona umana viene da Dio stesso e quindi deve essere rispettata da tutti e protetta dalla legge. Questo è un particolare molto importante.
Sembra di capire che ci sia stato, su questi principi, un accordo condiviso.
Certamente, ma non parlerei di accordo di tutti. Il documento conclusivo è un breve riassunto di numerosi scambi di buon livello. Ovviamente, tutto non può apparire in un documento ufficiale. La cosa importante è continuare il pellegrinaggio verso la verità e non esitare a compiere piccoli passi alla volta. Non possono camminare tutti alla stessa velocità, anche perché se i capi religiosi hanno capacità di comprendere più a fondo le questioni bisogna sempre tenere presente il contesto al quale essi devono rivolgersi.
Risale all’autunno del 2007 la lettera A common word, sottoscritta da 138 personalità musulmane di tutto il mondo. Da allora i firmatari si sono fatti promotori di un dialogo ispirato a quel documento. In questi quattro anni cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato, nei rapporti islamo-cristiani?
Certo la lettera cui fa riferimento è importante, ma non bisogna pensare che il rapporto tra cristiani e musulmani cominci con quella lettera. Il nostro è un discorso ultramillenario. Questa lettera semmai ha creato un nuovo capitolo, un nuovo spazio. In essa viene usato un linguaggio più connaturale alla cristianità. Per esempio, si cita la Bibbia. È anche vero che questa lettera e la nostra risposta, hanno dato luogo in tutto il mondo a iniziative di approfondimento. Va poi sottolineato che ogni incontro di dialogo, anche se sembra non cambiare molte cose, resta sempre un segno importante per il mondo, per il rispetto reciproco e per la ricerca della concordia e della pace nel mondo.
Su cosa puntare per il futuro perché non si ripetano più tragedie come quelle più recenti?
Innanzitutto bisogna puntare sui giovani, sulla loro formazione, senza retorica. E qui entra in gioco quella responsabilità dei capi religiosi, di tutti i capi religiosi, alla quale facevo cenno. Il Papa insiste molto sulla formazione dei giovani alla pace, alla solidarietà, alla giustizia, alla fratellanza universale. A questo egli dedica le Giornate mondiale della gioventù così come ai giovani ha dedicato la Giornata mondiale della pace 2012. Bisognerebbe intensificare iniziative simili anche in altre realtà. Educare i giovani alla pace e alla giustizia è un obbligo per tutti i credenti se si vuole estirpare dalla faccia del mondo la violenza, almeno quella che falsamente si ammanta di motivazioni religiose.
Cosa c’è in programma per il 2012?
L’Africa. Inizierò una serie di incontri con le religioni tradizionali africane. Sino a oggi ci siamo preoccupati soprattutto di avvicinare le religioni a noi più prossime. Ora è il momento di incontrare le religioni delle popolazioni africane, ricche di grandi spunti trascendentali. Non possiamo trascurarle. Poi, a novembre, ci sarà a Roma l’VIII colloquio con i nostri partner iraniani. Per quanto riguarda altri incontri previsti, molto dipenderà della situazione politica in alcuni Paesi arabi. Come vedete, il dialogo tra le religioni non è una navigazione facile, ma malgrado le difficoltà rimane tuttavia una priorità. Durante l’udienza per gli auguri natalizi della Curia Romana, il Papa, riferendosi all’incontro di Assisi, parlava del «clima di amicizia e di rispetto reciproco, nell’amore per la verità e nella comune responsabilità per la pace». Nel mondo precario di oggi, il primo dovere dei credenti è di manifestare «una nuova disponibilità a servire la pace, la riconciliazione e la giustizia».
(©L'Osservatore Romano 31 dicembre 2011)
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1 commento:
Il cardinale dovrebbe svegliarsi :il dialogo richiede due contraenti nel nostro caso è solo un triste monologo .Loro mirano solo a una cosa distruggere il cristianesimo con la spada della violenza giusta gli insegnamenti del loro falso profeta maometto.
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