La divina e verginale maternità di Maria
Evento e segno nella storia e nell’anima
Inos Biffi
La fede cristiana riflessa nei vangeli di Matteo e di Luca professa la divina e verginale maternità di Maria. Ignoriamo per quali vie storiche essa sia stata conosciuta, ma è indubbio che dagli inizi la Chiesa abbia la certezza che Gesù è stato concepito nel grembo della madre, senza che questa conoscesse uomo, ossia, secondo le parole dell’angelo a Giuseppe: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Matteo, 1, 20). Maria concepirà un figlio — «il Figlio dell’Altissimo», con la prerogativa di una signoria e di una regalità intramontabile — ma non sarà in virtù del «volere di carne, o del volere di uomo» (cfr. Giovanni, 1, 13); sarà invece Dio stesso a generarlo, grazie alla discesa in lei dello Spirito e alla potenza dell’Altissimo, che l’avvolgerà della sua ombra, a segnalare e garantire la sua presenza — come già la colonna di nube indicava la presenza e la gloria divina agli Ebrei nel deserto (cfr. Esodo, 13, 22).
Senza dubbio, la verginità di Maria è — per usare la distinzione di Agostino (In Ioannis Evangelium, 49, 2) — insieme un evento e un segno. Un evento, anzitutto, dalla consistenza reale. Solo una prevenzione ideologica lo potrebbe risolvere a pura finalità didascalica: prevenzione che porterebbe fatalmente al dissolvimento storico di Gesù stesso, riducibile alle dimensioni di una semplice figura umana decorata e addobbata dal mito. Privato della consistenza dell’evento il segno medesimo si dissolverebbe, per convertirsi in una fantasiosa invenzione.
D’altronde, non si comprenderebbe il valore della concezione verginale del Verbo di Dio, se non apparissero il suo senso teologico e la sua intenzione nel disegno salvifico.
Quanto avviene in Maria risale unicamente alla possibilità di Dio, a cui appartiene non solo di far germogliare la sterilità, ma di rendere feconda la verginità. Il grembo di Sara, arido e avvizzito, si ravviva e la sterile diviene fertile. Essa ride alla promessa che potrà partorire nella sua vecchiaia, ma Dio dice ad Abramo: «C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?» (Genesi, 18, 11-14). Il caso si ripete per Elisabetta, la parente di Maria: «era detta sterile» e «nella sua vecchiaia ha concepito un figlio», sempre per la ragione che «nulla è impossibile a Dio» (Luca, 1, 36-37). La verginità di Maria è tutta relativa a Gesù: essa è l’epifania che egli è la Grazia; che l’uomo non concorre alla sua apparizione, ma lo ritrova come puro Dono di Dio. Così come assolutamente dono è il favore di Maria presso Dio, il suo essere voluta da sempre piena di grazia.
Di fronte al “consiglio” divino inatteso, ideato su di lei dall’Altissimo, Maria dichiara la sua totale disponibilità, professandosi la «Serva del Signore», nella linea del servizio reso all’Alleanza da Abramo, da Mosè, e dal Servo paziente di Isaia. La sua verginità sarà dedicata al compimento del mistero di Gesù Cristo, raggiungendo in tal modo una forma singolare di fecondità. Essa otterrà una soprannaturale pienezza, impossibile a una verginità naturale: toccata dall’energia della grazia, la verginità di Maria maturerà il Frutto benedetto.
Come, per altro, avviene di ogni verginità scelta per il Regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12).
Non vi è nulla che induca a pensare a un voto di verginità da parte di Maria. Né la prospettiva verginale di Maria è quella che noi diremmo della consacrazione religiosa. Questo in certo modo è incluso.
La Parola di Dio annunziata dall’Angelo scombina, si direbbe, i propositi della vergine di Nazaret fidanzata a Giuseppe: Maria non si ritrae, ma pronunzia il «Sì» irrevocabile, che la associa al destino stesso di Cristo. Tutto, ormai, per lei avverrà secondo la Parola e quindi in relazione e comunione con la sorte del Figlio, accolta dalla fede della Madre.
Quindi l’onnipotenza di Dio, da un lato, e, dall’altro, l’affidamento di Maria, che non vedeva il progetto celeste ma lo credeva e lo accettava, avvolto nell’oscurità dell’improbabile secondo la natura, e, pure, saldamente fondato sulla certezza della promessa divina.
Elisabetta saluta Maria come Madre del suo Signore — per lei nel grembo della Vergine già abita Gesù nella sua signoria di Risorto glorioso e Figlio di Dio: «Signore mio e Dio mio», lo professerà l’apostolo Tommaso, reduce dalla sua incredulità (Giovanni, 20) — e la proclama beata perché ha creduto alla Parola della Promessa. Con particolare compiacenza sant’Ambrogio mette in luce il rifrangersi e il rinnovarsi mistico e quindi reale della concezione verginale di Gesù nella Chiesa e nelle «singole anime». Maria è considerata «il tipo della Chiesa» che come la Madre del Verbo è «immacolata e sposa» (Super evangelium secundum Lucam, ii).
Ma anche l’anima in cui viva lo spirito di Maria riceve e concepisce il Verbo di Dio. Infatti, «se una sola è stata la madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede tutti lo producono come frutto»; se l’anima, immacolata e immune dalle colpe, conserva la castità con «intemerato pudore» (ibidem).
(©L'Osservatore Romano 31 dicembre 2011)
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