Il Papa all’udienza generale: è in famiglia che si impara a pregare e a percepire il senso di Dio
È la famiglia “la prima scuola di preghiera”.
Lo ha affermato Benedetto XVI, che alla Santa Famiglia di Nazaret e al suo rapporto con la preghiera ha dedicato stamattina l’ultima udienza generale del 2011, presieduta in Aula Paolo VI. Il Papa ha ripercorso gli anni dell’infanzia e della giovinezza di Gesù insieme con Maria e Giuseppe, invitando i cristiani a “riscoprire la bellezza di pregare insieme” in casa. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Maestri del Maestro. Maria e Giuseppe maestri di preghiera del Figlio di Dio. Un mistero, reso ancor più nascosto dalla scarsità di informazioni ricavabili dal Vangelo, che Benedetto XVI ha voluto indagare intrecciando, nell’ultima catechesi dell’anno, il suo ciclo di riflessioni sulla preghiera e la festa imminente della Sacra Famiglia. Famiglia, quella dell’infanzia e della giovinezza di Gesù, che – ha affermato – è “icona della Chiesa domestica” per le famiglie cristiane di oggi:
“La famiglia è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera. Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori: vivere in un'atmosfera segnata dalla presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto”.
Un vuoto certamente sconosciuto agli abitanti della casa di Nazaret dove ogni parola, gesto, azione rivelava una “singolare intimità” con Dio. Come, certamente, in Maria:
“La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria (...) Sulla scia del Beato Papa Giovanni Paolo II, possiamo dire che la preghiera del Rosario trae il suo modello proprio da Maria, poiché consiste nel contemplare i misteri di Cristo in unione spirituale con la Madre del Signore”.
Di Giuseppe il Vangelo non ha conservato parole, ma la Chiesa conserva di lui l’immagine e la sostanza di una persona, ha detto il Papa, “fedele, costante, operosa”. E che “sicuramente – ha aggiunto – ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria”, sia portandolo con sé in sinagoga al sabato o alle “grandi feste del popolo d’Israele”, sia praticandola nei normali ritmi familiari:
“Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia”.
Più complesso il rapporto di Gesù giovane con la preghiera. Benedetto XVI lo ha spiegato riferendosi all’episodio di quando, dodicenne, Gesù viene ritrovato dopo tre giorni dai genitori nel tempio di Gerusalemme, intento a occuparsi – come dirà loro – delle “cose del Padre mio”. È esattamente in questa parola, “Padre”, pronunciata – ha osservato il Papa – “con la consapevolezza del Figlio Unigenito”, che vi è “la chiave di accesso al mistero della preghiera cristiana”:
“Gesù ci insegna come essere figli, proprio nell'essere col Padre nella preghiera. Il mistero cristologico, il mistero dell'esistenza cristiana è intimamente collegato, fondato sulla preghiera. Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite ‘Padre’. E, naturalmente, non ditelo solo con una parola, ditelo con la vostra esistenza, imparate sempre più a dire con la vostra esistenza: ‘Padre’; e così sarete veri figli nel Figlio, veri cristiani”.
Sia nell’occasione del ritrovamento di Gesù nel tempio, sia in quella precedente, della presentazione del Figlio al Tempio poco dopo la nascita, Maria e Giuseppe vivono un aspetto tipico della preghiera, quello del pellegrinaggio, una “espressione religiosa – ha sottolineato il Papa – che si nutre di preghiera e al tempo stesso la alimenta”. In definitiva, ha concluso Benedetto XVI, “la Famiglia di Nazaret è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali umane”. Un auspicio anche per le famiglie di oggi, purché siano capaci di riscoprire il primo valore necessario alla preghiera, che il Papa ha ricordato citando Paolo VI:
“In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri”.
Ai saluti conclusivi, dopo le catechesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha ricordato, fra gli altri, le Missionarie Figlie del Calvario impegnate nel Capitolo generale, e i Figli e le Figlie della Madonna del Divino Amore, a 50 anni dall’approvazione pontificia e alla loro istituzione .
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