Portare la speranza là dove dominano ingiustizia, odio e disperazione. Così Benedetto XVI, chiudendo la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
L’impegno per il ristabilimento dell’unità dei cristiani è “un dovere e una grande responsabilità per tutti”. Così Benedetto XVI, oggi pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura presiedendo la celebrazione dei secondi vespri della solennità della conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, quest’anno dedicata al tema: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore”. Già in mattinata all’udienza generale, il Papa aveva ricordato che “l’unità dei cristiani deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, perché tutti siano realmente una sola cosa”. Il servizio di Giada Aquilino:
“Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione”, cioè “portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione”. Questo il “traguardo” della piena unità dei cristiani, nelle parole di Benedetto XVI a San Paolo fuori le Mura. Nell’anno in cui - ha detto il Papa - “celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II”, che il beato Giovanni XXIII annunciò proprio nella medesima Basilica il 25 gennaio 1959, il Pontefice ha ricordato che “pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto - ha spiegato - la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri”. D’altra parte la risurrezione di Gesù Cristo “conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte”. “Egli - ha aggiunto - ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione di Dio”:
“La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana”.
Di fronte alla cultura di oggi, in cui “l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato”, Benedetto XVI ha riproposto l’ottica cristiana, in cui “ la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare processo di trasformazione e di crescita nel bene”. Essa avviene, ha ricordato, “secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza”. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso - ha proseguito il Papa - “non è ancora pienamente realizzato”:
“La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani. L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona”.
Ripercorrendo le letture della celebrazione delle “lodi serali di Dio”, Benedetto XVI ha riproposto la vicenda personale di San Paolo e l’“evento straordinario” lungo la via di Damasco con cui “Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo”. E tale “trasformazione” – ha spiegato il Papa – “è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie”:
“La trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui”.
L’esperienza personale di San Paolo gli permette di “attendere con fondata speranza il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà - ha aggiunto il Santo Padre - tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero”. Riguardo al rafforzamento nei fedeli della speranza della risurrezione operato dallo “straordinario evangelizzatore”, il Papa ha ricordato che San Paolo ci dice “che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi”.
Mentre eleviamo la nostra preghiera, ha aggiunto, “siamo fiduciosi di essere trasformati e conformati ad immagine di Cristo”. E questo – ha detto il Pontefice – “è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani”:
“Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù Cristo alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: ‘perché tutti siano una cosa sola’. Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti”.
“Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli”, l’invito del Pontefice è stato “a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio”, sull’esempio di San Paolo. Del resto - ha concluso il Papa - “in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo”. Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale”.
Poco prima, anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, aveva ricordato che “l’unità dei cristiani può soltanto esserci donata da Dio, a patto che ci lasciamo trasformare da Lui ed apriamo il nostro cuore, che a volte teniamo chiuso, anche per altri, nei quali ci viene incontro la chiamata di Dio”.
A testimoniare il cammino di unità, la presenza in Basilica - oltre che della comunità benedettina locale - del Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, del Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Willams, e degli esponenti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, tra cui anche quelle presenti in Polonia, come pure i membri del Global Christian Forum e gli studenti dell’Istituto ecumenico del Consiglio ecumenico delle Chiese di Bossey. A tutti è andato il saluto del Papa.
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