Papa: la crisi della fede, una sfida anche per l’ecumenismo
Il cammino verso l’unità ha dato “non pochi frutti buoni”, ma corre “il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo”, di divenire, cioè, la ricerca di “regole per una prassi in grado di migliorare il modo”. Nei dialoghi fondamentale la struttura della rivelazione e non si possono ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace.
Città del Vaticano (AsiaNews)
L’impegno ecumenico ha dato “non pochi frutti buoni”, ma corre “il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo”, di divenire, cioè, la ricerca di “regole per una prassi in grado di migliorare il modo”. “Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella parola di Dio” e l’unità dei cristiani è “un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede”, soprattutto in questo tempo, nel quale “in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento”.
L’incontro, questa mattina, di Benedetto XVI con i partecipanti alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina della fede ha dato occasioine al Papa di tornare a evidenziare tempi e probleimi del cammino ecumenico, a pochi giorni dalla conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Un tema che Benedetto XVI e la Congregazione hanno affrontato nella prospettiva dell’Anno della fede.
“Siamo - ha osservato ancora una volta il Papa - davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni”.
“Il tema dell’unità dei cristiani è strettamente collegato con questo compito”. “Oggi possiamo constatare non pochi frutti buoni arrecati dai dialoghi ecumenici, ma dobbiamo anche riconoscere che il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del Concilio Vaticano II, esige la nostra vigilanza. Tale indifferentismo è causato dalla opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. Così la fede sarebbe sostituita da un moralismo senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella parola di Dio. Senza la fede tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto ad una forma di «contratto sociale» cui aderire per un interesse comune”.
“La logica del Concilio Vaticano II è completamente diversa: la ricerca sincera della piena unità di tutti i cristiani è un dinamismo animato dalla Parola di Dio”.
“Il problema cruciale, che segna in modo trasversale i dialoghi ecumenici, è la questione della struttura della rivelazione – la relazione tra Sacra Scrittura, tradizione viva nella Santa Chiesa e il ministero dei successori degli Apostoli come testimone della vera fede. E’ fondamentale il discernimento tra Tradizione e tradizioni”. In proposito, il Papa ha detto che “un importante passo di tale discernimento” è stato compiuto nei provvedimenti per gruppi di fedeli provenienti dall’anglicanesimo, che entrano nella Chiesa cattolica, “conservando le proprie tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali, che sono conformi alla fede cattolica”. “Esiste, infatti, una ricchezza spirituale nelle diverse Confessioni cristiane, che è espressione dell’unica fede e dono da condividere”.
“Oggi, poi, una delle questioni fondamentali è costituita dalla problematica dei metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici. Anche essi devono riflettere la priorità della fede. Conoscere la verità è il diritto dell’interlocutore in ogni vero dialogo”. “In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco”.
“Grande rilevanza” hanno anche i documenti di studio, che però “vanno riconosciuti nel loro giusto significato come contributi offerti alla competente Autorità della Chiesa, che sola è chiamata a giudicarli in modo definitivo. Ascrivere a tali testi un peso vincolante o quasi conclusivo delle spinose questioni dei dialoghi, senza la dovuta valutazione da parte dell’Autorità ecclesiale, in ultima analisi, non aiuterebbe il cammino verso una piena unità nella fede”.
Ultima questione affrontata da Benedetto XVI è “la problematica morale, che costituisce una nuova sfida per il cammino ecumenico. Nei dialoghi non possiamo ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace. Sarebbe importante parlare su questi temi con una sola voce, attingendo al fondamento nella Scrittura e nella viva tradizione della Chiesa. Questa tradizione ci aiuta di decifrare il linguaggio del Creatore nella sua creazione. Difendendo i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato”.
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