Il secondo convegno internazionale delle comunità sorte dopo il Vaticano II
Verso nuove forme di vita consacrata
di Giancarlo Rocca
Dal 24 al 26 novembre scorso si è svolto a Roma -- organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Antonianum, la Fraternità Francescana di Betania e il Coordinamento Storici Religiosi -- il secondo convegno internazionale delle nuove comunità, cioè di quegli istituti sorti quasi tutti dopo il concilio Vaticano II alla ricerca di una nuova forma di vita consacrata.
All'incontro di studio, svoltosi presso l'Auditorium dell'Antonianum, hanno partecipato circa 70 nuove comunità per un totale di circa 180 iscritti (cui si devono aggiungere moltissimi membri della Fraternità francescana di Betania), provenienti in buona parte dall'Italia, ma anche da Francia, Belgio, Brasile, Argentina, Stati Uniti, Filippine, Inghilterra, Canada e Germania.
A differenza del primo convegno -- svoltosi nel 2007, con gli atti pubblicati nel 2010 -- in cui si trattava di conoscere che cosa erano le nuove comunità e quali prospettive avevano in base al Codice di diritto canonico che nel canone 605 prevede appunto l'approvazione di nuove forme di vita consacrata, questo secondo convegno doveva esaminare tre argomenti, accennati nella introduzione generale di monsignor Vincenzo Bertolone, vescovo di Cassano all'Jonio, il quale era stato tra i promotori del primo convegno del 2007: il reale influsso delle nuove comunità nella vita della Chiesa, quanto delle precedenti forme di vita consacrata era passato nelle nuove comunità, e se la fragilità di tante nuove comunità fosse qualche cosa di costituzionale o che si ritrova sempre nei momenti di transizione. Per verificare se le nuove comunità possano costituire oggi un punto di riferimento per la vita della Chiesa il convegno ha ospitato tre relazioni: la prima (di Bernard Peyrous) ha illustrato il posto che le nuove comunità occupano in Francia, nella quale esse contano circa 12.000-15.000 membri. Queste cifre, pur notevoli, da sole non spiegano il ripensamento della figura del sacerdote (un tema che ha sempre appassionato la Francia e che le nuove comunità vedono molto legato al «sacramento»), il posto che la devozione mariana occupa nelle nuove comunità e il loro attaccamento alla Chiesa.
La seconda relazione (di Etienne-Marie Buisset), invece, ha illustrato il ruolo che le nuove comunità giocano in una diocesi, quella di Fréjus-Toulon, il cui vescovo, monsignor Rey, ha deciso di dar loro ampio spazio.
Nella diocesi di Fréjous-Toulon sono presenti, di fatto, circa 35 nuove comunità, provenienti, oltre che dalla Francia, dalla Polonia, dal Brasile, dal Cile, dall'Argentina, dall'Italia e dalla Germania, con notevoli impegni pastorali e di nuova evangelizzazione, specialmente nei confronti dei giovani, sì che la diocesi si presenta quasi come un laboratorio di nuove esperienze comunitarie.
La terza relazione (Sergio da Silva Coutinho), infine, ha evidenziato la stupefacente fioritura di nuove comunità in Brasile, per lo più provenienti dal rinnovamento carismatico, che però sono nate -- aspetto storicamente significativo -- dopo il 1980, quindi un po' in ritardo rispetto alle consorelle europee.
Il secondo tema del convegno, cioè quanto della antica vita religiosa è passato nelle nuove comunità, è stato illustrato da due relazioni, che hanno esaminato gli influssi francescani e quelli gesuitici.
A san Francesco (nella relazione congiunta di Giuseppe Buffon, che ha insistito sulle esperienze delle «piccole comunità» francescane sorte dopo il concilio Vaticano II, e di Liviana Bortolussi) si richiamano una cinquantina circa di nuove comunità, che sottolineano sia la povertà e semplicità di vita sia l'evangelizzazione, per lo più nella forma delle missioni popolari.
Al messaggio di Ignazio di Loyola (nella relazione di Vincent Hanicotte) si richiamano una decina di nuove comunità. L'interesse, in questo caso, essendo le comunità state fondate da Gesuiti, è sapere se essi in qualche modo intendevano riformare la Compagnia di Gesù.
Sembra -- questa la conclusione di Hanicotte -- che la Compagnia di Gesù abbia bisogno del mondo per esprimersi e, nelle comunità miste fondate da Gesuiti, si sottolinea che tutti -- celibi e sposati -- portano il peso della comunità. La conseguenza immediata di questa visione è che il celibato viene a trovarsi isolato dagli altri due voti di obbedienza e di povertà, voti, questi ultimi, che debbono essere osservati da tutti.
Alla fragilità delle nuove comunità sono state dedicate tre relazioni. La prima (Lluis Oviedo) a carattere generale sulle difficoltà di nascita, crescita e sviluppo delle nuove comunità.
La seconda, invece, ha posto direttamente in luce alcune delle critiche mosse alle nuove comunità: psicologi che evidenziano le tensioni che, secondo loro, inevitabilmente nascono nelle comunità miste dalla vicinanza di fratelli e sorelle; teologi e storici che accusano le nuove comunità di essere di orientamento tradizionale e, in più d'un caso, tradizionaliste; o ancora, di non assumersi impegni in scuole e ospedali, tradizionali forme di presenza della Chiesa.
La terza relazione riguardava la comunità delle Beatitudini, di cui si conoscono le difficoltà, e ne è stato illustrato il passaggio in corso dal Pontificio Consiglio per i laici -- che nel giugno del 2011 l'aveva soppressa -- alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, e in questo caso non poteva esserci persona più competente del commissario pontificio che segue questo processo, il domenicano Henry Donneaud, a illustrarne la storia.
Altre questioni sono state esaminate nel corso del convegno, senza conceder loro lo spazio destinato ai tre temi fondamentali, ma dire che si tratta di questioni marginali non sarebbe esatto, perché esse toccano la vita di tutte o tante comunità: il tipo di formazione adottato da alcune nuove comunità (nella relazione di Roberto Fusco), la delicata questione della presenza di sacerdoti in comunità che non possono incardinare (Agostino Montan), e soprattutto la presenza degli sposati come membri (in senso pieno o in senso largo) delle nuove comunità.
In quest'ultimo caso il relatore, il domenicano Rick van Lier, si è chiesto se non si possa andare oltre le questioni canoniche fissate ultimamente da Vita consecrata (n. 62), cercando di capire quali poste teologiche siano in gioco in queste nuove esperienze.
Di particolare interesse, infine, è risultata la questione se le nuove comunità debbano a tutti i costi essere riconosciute come comunità di vita consacrata; o se invece, per essere fedeli al carisma iniziale che prevede non solo comunità miste, ma anche la presenza di sposati, non sia preferibile rinunciare al riconoscimento come istituto di vita consacrata e accettare quello di associazione pubblica di fedeli da parte del Pontificio Consiglio per i laici.
La relazione sulla comunità di Villaregia (presentata dalla confondatrice, Maria Luigia Corona) ha mostrato come, accettando le inevitabili sofferenze, si possa restare al semplice riconoscimento da parte del Pontificio Consiglio per i laici per conservare gli ideali delle origini.
Osservando l'auditorium dell'Antonianum, si aveva quasi l'impressione di essere di fronte a un mondo antico per la varietà degli abiti religiosi dei convegnisti e dei loro colori, ma i temi trattati (misteità, sposati, opportunità o meno di essere riconosciuti come istituti di vita consacrata, nuovi impegni di apostolato) manifestavano che le idee erano nuove.
Idee, proiettate alla ricerca di nuove forme di vita consacrata, dominate dalle parole che, aprendo il convegno, il prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica monsignor João Braz de Aviz, arcivescovo emerito di Brasilia, aveva detto ai convegnisti: le nuove comunità e i loro carismi trovano e debbono trovare un'unica base nel battesimo.
(©L'Osservatore Romano 4 dicembre 2011)
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