«Non siamo figli di un Dio minore» la speranza può nascere tra le sbarre
Lorenzo Attianese
ROMA
Ora sono convinti che «qualcosa possa cambiare» anche per le loro condizioni, commossi per aver vissuto momenti di un «Natale diverso».
Fuori dalle celle, sulle panche della chiesa del carcere romano di Rebibbia, un centinaio di detenuti ha respirato «l'orgoglio di non sentirsi più figli di un Dio minore».
La visita pastorale di Papa Benedetto XVI, che ieri nella casa circondariale ha ascoltato domande e pregato, ha acceso le loro speranze.
Indossavano felpe, giubbotti, maglioni. Ma qualcuno si era «fatto arrivare dalla famiglia il vestito con la giacca, perché anche se siamo in un carcere questo è un grande evento».
«È stato uno dei momenti più belli mia vita – spiega Fabio, un romano di 45 anni in carcere per spaccio di droga – Lui può fare qualcosa per migliorare le nostre condizioni. Questo Natale qualcuno pensa a noi».
Sante, che ha il volto tatuato e le mani ingiallite dalle decine di sigarette che fuma ogni giorno, spiega con un proverbio che «la speranza è l'ultima a morire, ma chi vive solo di speranza muore disperato. Per questo da adesso ci aspettiamo di più, perchè le parole del Santo Padre sono state inequivocabili. E ora non si può far altro che aspettare».
C'è anche chi, come Fabio, in carcere da tre anni per rapina, nonostante la gioia dice autoironico: «Un Papa non veniva qui da quasi 20 anni. Allora c'era Giovanni Paolo II, mi ha ricordato un compagno di cella. Dovevo andare in carcere per riuscire a stringere la mano ad un Papa».
E sulle panche della chiesa non c'erano solo cattolici. «Sono musulmano, ma questo non vuol dire niente – dice Omar, somalo di 30 anni – Non dimenticherò mai la giornata di oggi. Magari un giorno verrà anche l'Imam della grande moschea di Roma». Ma ci sono anche critiche e delusioni per il "decreto svuota carceri" del ministro della giustizia, Paola Severino.
«Non servirà a nulla – dicono in molti – Bisogna lavorare sulla sorveglianza, sul monitoraggio di chi ha la possibilità di uscire e cercare di poter essere utile alla società».
Dalle finestre carcerarie e dietro le transenne in tanti hanno gridato al Papa «amnistia».
«Da oggi – dicono – oltre a pregare abbiamo anche cominciato a sperare»
Intanto ieri un detenuto è morto nel carcere di Monza dopo aver inalato il gas della bomboletta, che tutti i reclusi hanno a disposizione per cucinare e riscaldare cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario. Lo rende noto il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, precisando che sono ancora in corso accertamenti per stabilire se si è trattato di suicidio.
© Copyright Gazzetta del sud, 19 dicembre 2011
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