Non basta fare
La crisi della Chiesa in Europa nel discorso di oggi alla Curia Romana
“Alla fine dell’anno, l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente.
Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici”. Lo ha detto Benedetto XVI questa mattina nel suo discorso alla Curia Romana in occasione dell’incontro per il Santo Natale. “La conoscenza e la volontà non vanno necessariamente di pari passo – ha proseguito –. La volontà che difende l’interesse personale oscura la conoscenza e la conoscenza indebolita non è in grado di rinfrancare la volontà. Perciò, da questa crisi emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita”.
La “stanchezza della fede”. “Con preoccupazione, non soltanto fedeli credenti, ma anche estranei osservano come le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca continuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità. Che cosa, dunque, dobbiamo fare?”, ha detto il Papa. “Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia un’inversione di tendenza. Certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa – come ho detto a Friburgo – è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”, ha affermato. “In questo senso, l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede – ha poi aggiunto – è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani”, ha sottolineato.
Liturgia, patria del cuore. Una parte ampia del discorso di Benedetto XVI è stata dedicata alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid, definita “una medicina contro la stanchezza del credere”. Il Papa ha infatti affermato che nella Gmg c’è “una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa. È questo che ha colpito in modo molto immediato i giovani e tutti i presenti: proveniamo da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima, ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia. Separazione e diversità esteriori sono relativizzate. Siamo tutti toccati dall’unico Signore Gesù Cristo”. “Le nostre preghiere sono le stesse. In virtù dello stesso incontro interiore con Gesù Cristo abbiamo ricevuto nel nostro intimo la stessa formazione della ragione, della volontà e del cuore. E, infine – ha sottolineato il Papa – la comune liturgia costituisce una sorta di patria del cuore e ci unisce in una grande famiglia. Il fatto che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia. E così abbiamo compreso anche in modo molto concreto che, nonostante tutte le fatiche e le oscurità, è bello appartenere alla Chiesa”.
È bene che io ci sia. Soffermandosi sulla Gmg, il Papa ha notato che i giovani volontari presenti “erano visibilmente e ‘tangibilmente’ colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo aveva un senso”. Ha poi aggiunto che “questi giovani hanno fatto del bene semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello”. Circa i momenti liturgici e di preghiera ha sottolineato l’importanza dell’adorazione che ha definito “un atto di fede – l’atto di fede come tale. Dio non è una qualsiasi possibile o impossibile ipotesi sull’origine dell’universo. Egli è lì. E se Egli è presente, io mi inchino davanti a Lui”. Anche sul sacramento della penitenza ha voluto notare che costituisce una risposta sanante alla “tendenza contraria all’amore” che si trova nell’uomo: “La tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male”. Infine ha concluso con una nota sul sentirsi “accolti” da Dio che dona serenità. “Solo se Dio mi accoglie – ha detto – e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia”.
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