venerdì 2 dicembre 2011

La presentazione degli "Opera omnia" storico-teologici di Inos Biffi. Alla scuola della tradizione cristiana (Paolo Vian)

La presentazione degli "Opera omnia" storico-teologici di Inos Biffi

Alla scuola della tradizione cristiana

di PAOLO VIAN

Si può essere stupiti dal lancio nell'aprile 2007, da parte dell'editrice milanese Jaca Book, degli Opera omnia di Inos Biffi, ormai giunti al nono volume, già con migliaia e migliaia di pagine. Chi conosce altre iniziative del genere, anche dello stesso editore (come quella delle opere di John Henry Newman), sa che esse in linea di massima - recente eccezione è costituita dalla raccolta degli scritti del sacerdote e storico delle religioni belga Julien Ries - riguardano autori che hanno concluso la loro attività. Solo allora diviene possibile un'equa valutazione e un'accurata suddivisione degli scritti per ambiti tematici. Insomma, anche per il genere degli Opera omnia, scomodando Hegel, si direbbe che l'uccello di Minerva possa levarsi in volo solo al tramonto.
I lettori de "L'Osservatore Romano" sanno invece quanto la scrittura di Biffi sia un processo sempre felicemente aperto e creativamente in corso, con interventi frequenti su un'ampia scelta di argomenti della teologia e della vita cristiana.
Lo svantaggio di porre mano a un quadro ancora in movimento e in evoluzione, in un cantiere quasi febbrilmente operoso, appare però largamente compensato dall'opportunità che sia lo stesso autore a divenire interprete autentico di se stesso, disponendo i mattoni della sua opera nell'ordine e nelle articolazioni che li rendono veramente comprensibili, in un'architettura complessiva che non è meno importante del contenuto degli scritti. Questo è il senso profondo, il merito indiscutibile dell'iniziativa di Jaca Book, che introduce all'opera vastissima di un teologo atipico. È raro, infatti, nel panorama teologico italiano (e non solo italiano) incontrare un autore così agguerrito sul piano tecnico quanto impegnato sul piano pratico della concreta vita cristiana ed ecclesiale. Come accadeva ai grandi maestri del cristianesimo antico e medievale, il teologo Biffi non si chiude in una "turris eburnea" ove gli addetti ai lavori si scambiano incomprensibili messaggi specialistici in un linguaggio astruso e indigesto. Con la sua scrittura tagliente, secca, essenziale, senza fronzoli e abbellimenti, densa ma al tempo stessa comprensibilissima, Biffi scende invece e spazia nei diversi campi della vita sacramentale e della catechesi, della preghiera e della liturgia.
Certo, come un suo grande maestro ed esempio, il cardinale Giovanni Colombo, Biffi ama la letteratura, soprattutto quando (come in Dante e Manzoni) essa si nutre di teologia e ne esprime una, cristologicamente orientata; e in particolare predilige gli inni di Ambrogio, ove i misteri divengono "poesia della Chiesa, e il dogma si è fatto suo canto". Ma la scrittura del teologo brianzolo non è letteraria, senza per questo cadere in un arido tecnicismo. Sua prima e costante preoccupazione è quella di farsi comprendere perché "se si parla e si scrive, lo si deve fare per farsi capire". Curioso che ad affermarlo sia uno che non si cura affatto dell'attualità e dell'attendibilità mondane del suo discorso.
È uno dei tanti (apparenti) paradossi di Biffi (lecchese di Lomagna, nato nel 1934, sacerdote ambrosiano dal giugno 1957), che ancora non disdegna curare messalini festivi e feriali per i fedeli introducendoli alle ricchezze della liturgia, accompagna i tempi dell'anno liturgico con brevi meditazioni spirituali e non ritiene una perdita di tempo occuparsi di catechismi (anche illustrati) per bambini. In questa continua dedizione all'umile popolo cristiano, nella concreta effettività dei suoi bisogni e non nelle astrazioni di una teologia tanto "illuminata" quanto lontana dalla realtà, Biffi si colloca - lo abbiamo accennato - nel solco e alla scuola dei grandi teologi cristiani, da Ambrogio ad Agostino, da Anselmo d'Aosta a Bernardo di Chiaravalle, da Tommaso d'Aquino a Bonaventura da Bagnoregio. Un giorno bisognerà ricostruire quanto Biffi abbia contribuito - dall'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, con la sua "Biblioteca di cultura medievale" (anch'essa pubblicata dalla Jaca Book) e con altre iniziative (la collana "Eredità medievale", le edizioni degli "Opera omnia" di Ambrogio e di Anselmo, la cattedra di teologia e spiritualità cistercensi) - alla riscoperta nella cultura italiana della tradizione medievale, dalla carolingia Dhuoda alla squisita Christine de Pizan, dai trovatori provenzali all'inquietante (ma forse non senza accenti evangelici) dualismo cataro, dalla teologia eucaristica di Baldovino di Ford alla straordinaria e sconosciuta Confessio theologica di Giovanni di Fécamp. Aprendo nel contempo ai lettori italiani pagine indimenticabili dei migliori esegeti del pensiero medievale e dei maggiori medievalisti del secolo scorso, da Étienne Gilson a Henri-Irenée Marrou, da Raffaello Morghen a James A. Weisheipl, da Régine Pernoud a Marie-Madeleine Davy, da Raymond Oursel a Léo Moulin.
Di questa grande, ricchissima, variegata tradizione medievale Biffi è un ideale, curioso e veramente cattolico lettore, all'insegna dell'et-et, mai dell'aut-aut. Teologia monastica e teologia scolastica, Bernardo e Tommaso, per lui non si contrappongono in insanabile conflitto; rappresentano certo approcci diversi al mistero cristiano ma sono fra loro tributari e comunicanti, per vie spesso ignote e imprevedibili. Tommaso non è forse stato bambino oblato nell'abbazia di Monte Cassino? E quanto devono i Mendicanti alla ruminatio monastica nella loro lettura della Parola di Dio? Come dimenticare la componente apofatica in una teologia ritenuta razionalista come quella dell'Aquinate? L'assidua frequentazione di maestri come il domenicano Marie-Dominque Chenu, il benedettino Jean Leclercq, il gesuita André Hayen, e, innanzitutto, ça va sans dire, la grande scuola teologica di Venegono, di Giovanni Battista Guzzetti e Carlo Colombo, e i filosofi della Cattolica di Milano - da Gustavo Bontadini a Sofia Vanni Rovighi - hanno insegnato a Biffi, esistenzialmente prima ancora che teoricamente, che "multae mansiones sunt in domo Patris mei" (Giovanni 14,2) e che ogni sentiero, nella molteplicità dei versanti, può essere un efficace avvicinamento alla vetta del mistero, che sempre ci supera e ci trascende.
Un'ultima parola meritano le introduzioni ai volumi degli "Opera omnia", scritte appositamente per fornire una loro chiave interpretativa. In esse Biffi offre il backstage, intellettuale e umano, della sua scrittura, fasi e genesi delle sue ricerche, le radici personali e gli incontri umani che hanno sostanziato la sua esperienza. Come nelle pagine su Una vita trascorsa tra i santi "segni", introduttive al volume su L'esperienza del mistero. Il rosario fra le pannocchie, i rintocchi della campana dell'Angelus nella campagna lombarda, i doni liturgici di ogni stagione nello svolgimento ricorrente dell'anno sacro in quella che Paul Claudel definiva la "corona benignitatis anni Dei", sullo sfondo di un mondo contadino non ancora devastato dall'industrializzazione e dalla cementificazione a partire dagli anni Sessanta; e poi gli incontri con i grandi arcivescovi ambrosiani - Schuster, Montini, Colombo - ma anche con gli scritti di Matthias Joseph Scheeben e Romano Guardini... Pagine bellissime, che a tratti fanno pensare a quelle, nate in ambito totalmente diverso ma non senza analogie, di don Giuseppe De Luca e al suo rapporto, dall'infanzia, con la pietà meridionale nutrita dalla teologia di sant'Alfonso de' Liguori.
"Praeco diei iam sonat, / noctis profundae pervigil / nocturna lux viantibus / a nocte noctem segregans". Ambrosianamente alacre e instancabile, Inos Biffi continua così il suo servizio alla Chiesa fra ascolto attento e originale creazione, mai preoccupato delle mode e del "teologicamente corretto" perché troppo immerso nel fiume rigenerante e veramente liberante della tradizione cristiana.
"La teologia - ha detto Biffi a Marco Burini su "Il foglio" del 15 ottobre scorso - non è un'attività autonoma che si ponga in parallelo, se non al di sopra del magistero della Chiesa. Il suo è uno sforzo, un'intelligenza della Parola di Dio all'interno della vita della Chiesa e della sua tradizione". E "la tradizione è il mistero che dalla fonte si prolunga nella storia. L'autenticità di questo prosieguo è garantita dal magistero della Chiesa, la cui infallibilità è un dono ricevuto dallo Spirito Santo proprio in funzione della fedeltà alla Parola di Dio". E se la teologia dell'intellectus si coniuga naturalmente con quella dell'affectus, dell'esperienza, della bellezza, si comprende perché per Biffi quella del teologo sia una professione sui generis "che tende ad assorbire tutta la vita". E in definitiva a trasformarla. Sì, ci sono tanti motivi e vale davvero la pena di avventurarsi in questo sorprendente cantiere, sempre fecondamente aperto, che è la riflessione teologica di Inos Biffi.

(©L'Osservatore Romano 2 dicembre 2011)

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