Il viaggio di Benedetto XVI in Benin alla luce dei due Sinodi per l'Africa
Una Chiesa in cerca di riconciliazione, giustizia e pace
di Peter Kodwo Appiah Turkson
La prima Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, annunciata da Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1989, ebbe il seguente tema: «La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000: “Sarete miei testimoni” (At 1, 8)». Doveva considerare l'evangelizzazione come proclamazione, inculturazione, dialogo, giustizia e pace, e comunicazione. Nello stesso tempo, il Papa stava terminando la sua enciclica Redemptoris missio, che quindi accompagnò e guidò i preparativi del Sinodo chiamato ad affrontare la missione della Chiesa in Africa.
Tuttavia, lo svolgimento reale del Sinodo fu caratterizzato da due segni dei tempi che nel 1994 evidenziarono la triste condizione della giustizia nel continente: il crollo del regime sudafricano dell'apartheid, vestigia dell'imperialismo coloniale, e il genocidio in Rwanda con il suo volto brutale di etnocentrismo. Mentre la liberazione del Sud Africa ebbe un tono euforico, il genocidio in Rwanda lo soffocò con un drappo tetro e cupo. Ciononostante, quell'assemblea fu definita un Sinodo di risurrezione.
In essa, svoltasi dal 10 aprile all'8 maggio 1994, i padri sinodali colsero il significato delle sessioni pasquali. Infatti il Sinodo stesso volle essere occasione di speranza e di risurrezione, proprio quando gli eventi umani sembravano spingere l'Africa allo scoraggiamento e alla disperazione. Alla luce del messaggio pasquale di speranza e di vita nuova, il Sinodo riuscì a portare una parola di speranza e di incoraggiamento alla Chiesa e all'intero continente per rafforzare in tutti gli africani la speranza di una liberazione autentica. La missione della Chiesa era di continuare ad annunciare in Africa la speranza della mattina di Pasqua, la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte e della libertà dalla schiavitù del peccato, nelle sue varie manifestazioni, nei singoli individui e nelle comunità, nelle società e nelle strutture.
La successiva adozione del modello ecclesiologico Chiesa-famiglia di Dio, nell'esortazione post-sinodale, fu una scelta di un locus e di un'immagine pertinenti, in cui la Chiesa in Africa -- turbata da esperienze stranianti di etnocentrismo, conflitti, ingiustizia, abuso dei diritti e delle dignità ecc. -- poteva fare un'esperienza di vita comunitaria come Chiesa, attraverso l'eliminazione dei peccati di divisione e di straniamento e la risurrezione quotidiana alla nuova vita di comunione, per manifestare la coerenza fra fede e vita del discepolo. A tal fine, la raccolta dei frutti del primo Sinodo nell'esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II Ecclesia in Africa, ha fatto essenzialmente due cose: innanzitutto ha adottato il paradigma Chiesa-famiglia di Dio, con cui ha cercato di descrivere l'identità e la natura della Chiesa in Africa chiamata a vivere nella comunione di un'appartenenza inclusiva di ogni tribù e popolo (come nel Regno di Dio) in risposta al Vangelo. Quindi ha formulato un insieme di priorità pastorali: evangelizzazione come proclamazione, come inculturazione, come dialogo, come giustizia e pace e come comunicazione, per contribuire a edificare la Chiesa-famiglia di Dio.
Con queste misure, Giovanni Paolo II e il primo Sinodo speravano di dare alla Chiesa in Africa un nuovo impulso e un nuovo slancio per la sua vita e la sua attività nel continente come Chiesa missionaria, ovvero, Chiesa con la missione di evangelizzare, inculturare, dialogare, fare giustizia e pace e scoprire modalità per comunicare con le sue culture e tradizioni, nonché con una modernità emergente in modo sempre più rapido. Hanno cercato in tal modo di approfondire l'esperienza del Sinodo e di mettere in atto l'Ecclesia in Africa, nello sforzo costante e concertato per restituire una forza rinnovata e una speranza più saldamente radicata a un continente ferito gravemente in vario modo da conflitti etnici e religiosi (a volte sfruttati politicamente), mal governo, investimenti oppressivi e iniqui, traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani, migrazioni, degrado ambientale, povertà, malattia.
Il primo Sinodo era stato convocato sullo sfondo di una visione mondiale prevalentemente pessimistica dell'Africa e di una situazione particolarmente difficile e «deplorevolmente sfavorevole» del continente (Giovanni Paolo II, discorso ai partecipanti al XII incontro del Consiglio post-sinodale della segreteria generale del Sinodo dei vescovi per l'Assemblea speciale per l'Africa, 15 giugno 2004) per la missione evangelizzatrice della Chiesa negli ultimi anni del ventesimo secolo. Ma è anche stato descritto come un «Sinodo di risurrezione e pace»; e ci si aspettava che segnasse una svolta nella storia del continente («Instrumentum laboris» dell'Assemblea speciale per l'Africa, 1993, n. 1. Lo stesso documento affermava: «Sembra essere giunto il tempo per l'Africa, un tempo favorevole, che invita i messaggeri di Cristo a prendere il largo al fine di fare una pesca abbondante per Cristo» (n. 24).
Effettivamente, quando i vescovi della Chiesa in Africa si sono riuniti per la seconda volta in Sinodo nel 2009 con Benedetto XVI e altri presuli, anche la situazione nel continente era cambiata considerevolmente (cfr. Ecclesia in Africa, nn. 13-14; «Lineamenta»: seconda Assemblea Speciale per l'Africa «Prefazione» e nn. 6-8). Si sperava che la ricerca di riconciliazione, giustizia e pace, resa cristiana in particolare dal suo essere radicata nei valori evangelici di amore e di misericordia, avrebbe ripristinato l'integrità della Chiesa-famiglia di Dio nel continente, e guarito «i cuori umani feriti, l'ultimo riparo dalle cause di ogni cosa che destabilizza il continente africano» (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et poenitentia, n. 2.).
Quando l'assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi si è riunita di nuovo quindici anni dopo la prima volta, non era più per considerare la Chiesa in Africa nella sua identità e nella sua comprensione di sé come «testimone di Cristo» (con una missione evangelizzatrice) e come «famiglia di Dio». Fu invece per riflettere sulla sua attività e missione come «sale della terra» e «luce del mondo» e «al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Nel secondo Sinodo la Chiesa-famiglia di Dio doveva riflettere sulla sua missione nel continente e nel mondo. Per questo il Pontefice -- soffermandosi sulle parole del canto di apertura della preghiera di metà mattina: nunc, sancte, nobis Spiritus -- al primo incontro dell'assemblea sinodale, disse: «Noi preghiamo che la Pentecoste non sia solo un avvenimento del passato, il primo inizio della Chiesa, ma sia oggi, anzi adesso». E proseguì: «Preghiamo il Signore affinché ci doni lo Spirito Santo, susciti una nuova Pentecoste, ci aiuti a essere i suoi servitori in questa ora del mondo» (Benedetto XVI, riflessione durante la prima Congregazione generale, 5 ottobre 2009). Essere «servitori: al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace» era il frutto auspicato della nuova Pentecoste del secondo Sinodo per l'Africa. E il recente viaggio di Papa Ratzinger in Benin per la consegna dell'esortazione apostolica post-sinodale Africae munus, lo ha confermato pienamente.
Un indizio significativo della comprensione di sé della Chiesa in Africa emersa dal secondo Sinodo lo si trova nel passaggio dalla sua caratterizzazione nella prima Assemblea sinodale come Chiesa-famiglia di Dio all'invito nella seconda assise a intendere se stessa come al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace e come «sale della terra e luce del mondo». Infatti, quando fu annunciato il secondo Sinodo per l'Africa, alcuni gruppi ecclesiali importanti nel continente si chiesero se non fosse troppo presto per convocare una nuova assemblea per l'Africa, ma una volta cominciata, fu chiaro, in particolare dal tema, che essa aveva a che fare con questioni di giustizia sociale, di società umana, vita in società e sfide ed esigenze di rapporti interpersonali, e le opinioni cominciarono a cambiare.
Le persone iniziarono a comprendere che dovevano distinguere fra i temi dei due Sinodi e tuttavia vedere quanto fossero strettamente collegati fra loro. Il primo, nel considerare la Chiesa come testimone e famiglia di Dio, aveva affrontato la questione della sua identità e della sua natura. Il secondo, invece, affrontava la missione della Chiesa-Famiglia di Dio, «le opere di un gruppo di fede».
L'immagine della Chiesa-Famiglia di Dio descriveva soprattutto la comunione come natura e identità fondamentali della Chiesa. La Chiesa-famiglia di Dio, quindi, è l'espressione dell'identità della Chiesa come realtà in comunione: con Dio e gli uni con gli altri (e con il mondo). In questa luce, il tema del secondo Sinodo segue quello del primo come espressione di missione per una Chiesa-testimone e per una Chiesa-famiglia di Dio, la cui identità e la cui natura sono la comunione.
Si cominciò dunque a capire che esisteva una tensione dialettica fra l'identità e la missione della Chiesa; e che nell'affrontare questa tensione dialettica la Chiesa in Africa comprende il suo carattere storico e comincia a rispondere al suo carattere e alla sua identità autentici come testimone e Chiesa-famiglia di Dio. Nel secondo Sinodo, la Chiesa in Africa ha riconosciuto che diventa veramente Chiesa-testimone e Chiesa-famiglia di Dio, nella misura in cui promuove una Chiesa e una società africane che siano veramente una famiglia, dove le persone siano riconciliate al di là dei loro vincoli tribali ed etnici, delle loro appartenenze razziali e di casta e dei loro pregiudizi di genere. La Chiesa in Africa ha riconosciuto di poter divenire veramente quella testimone di Cristo e quella famiglia di Dio che pretende di essere solo nella misura in cui diventa e promuove una società africana sincera nel suo rispetto del diritto e dell'ordine, per il rispetto del diritto degli altri, per un accesso equo alle risorse della terra e dell'acqua, e, quindi, una società che pratica la giustizia sociale, vive in comunione e beneficia della pace. In altre parole, la Chiesa-famiglia di Dio realizza la propria natura e la propria identità di famiglia e di fraternità, nella misura in cui fa realizzare la «famiglia» e la «fraternità», si incarna sulla terra, nelle comunità cristiana, nella società e nella storia umana. Infatti, la Chiesa in Africa deve essere la forma storica del Regno di Dio nel continente, facendo germogliare ovunque la giustizia e i valori del Regno. Infatti la Chiesa non può avere un'identità che non divenga storica e reale nella storia. Quindi l'invito alla Chiesa-famiglia di Dio in Africa da parte del tema del Sinodo a essere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, sale della terra e luce del mondo, è una sfida alla Chiesa in Africa a essere all'altezza della propria natura nella vita storica e concreta del continente, promuovendo la riconciliazione, la giustizia e la pace. È una sfida all'importanza storica e alla testimonianza concreta dell'identità nella vita e nelle esperienze del continente.
Ora dalla necessità d'inculturare l'identità della Chiesa in Africa e renderla rilevante e ricettiva verso le esperienze di giustizia sociale degli abitanti del continente sorge la questione del metodo: che cosa bisogna fare per inculturare la Chiesa-famiglia di Dio e renderla rilevante? Che cosa bisogna fare affinché predominino la giustizia sociale e la pace nel continente? Come si può fare?
Infatti, l'immagine e l'identità della Chiesa come testimone e famiglia di Dio non può essere una mera affermazione, ma deve generare una missione, un'azione; come infatti ha osservato Benedetto XVI durante la messa di apertura del Sinodo fare proposte senza passare all'azione è un'ideologia.
Di conseguenza, riflettendo sul tema del Sinodo, come affermazione di missione per la Chiesa in Africa, il Papa ha osservato: «Compito dei Vescovi era di trasformare la teologia in pastorale, cioè in un ministero pastorale molto concreto, in cui le grandi visioni della Sacra Scrittura e della Tradizione vengono applicate all'operare dei Vescovi e dei sacerdoti in un tempo e in un luogo determinati» (Benedetto XVI, discorso ai membri della Curia Romana, 21 dicembre 2009). Nel fare ciò, è molto importante non confondere «pastorali» con «politiche» ed è esattamente la chiarezza sulla propria identità e sulla consapevolezza di essere una Chiesa con un'identità precisa e insostituibile, una Chiesa-famiglia di Dio e testimone, a salvaguardare dalla confusione fra «azione pastorale» e «azione politica».
Questo, infatti, è il modo in cui il primo Sinodo e la sua adozione del modello ecclesiologico Chiesa-famiglia di Dio trovano il loro significato e la loro pertinenza più grandi. Essi risiedono nel modo in cui il modello ecclesiologico Chiesa-famiglia di Dio distingue tra sociologia, filosofia politica e antropologia culturale da una parte e teologia e cura pastorale dall'altra. È la chiarezza sull'identità della Chiesa come testimone e famiglia di Dio a orientare il modo in cui perseguire la pace e la giustizia sociale e persino incontrare le ricche tradizioni e culture del continente.
Quindi, il secondo Sinodo è inseparabile dal primo. Entrambi sfidano la Chiesa in Africa a passare all'azione senza indugio, soddisfacendo le necessità della riconciliazione, della giustizia e della pace del continente, ma rimanendo sempre concentrata sulla propria specifica identità come famiglia di Dio. È questo concentrarsi sull'identità specifica della Chiesa come famiglia di Dio, che deriva dal primo Sinodo, a evitare che la missione e l'attività apostolica di essere sale della terra e luce del mondo, derivanti dal secondo Sinodo, sfocino nella politica e divengano ideologie politiche. È nel suo contenuto e nel suo carattere teologico di famiglia di Dio che la Chiesa-famiglia diviene immagine e anticipazione del Regno di Dio sulla terra e nella storia, animando la società africana e il mondo con i valori del Regno di Dio, ovvero conversione del cuore, riconciliazione, giustizia, verità e pace. Quando la Chiesa in Africa ha concluso il secondo Sinodo, ha dunque sperato che la sua promozione e la sua ricerca della riconciliazione, della giustizia e della pace, rese cristiane in particolare dal loro essere radicate nella conversione autentica e nei valori del Regno, avrebbero ripristinato l'integrità della Chiesa del continente e dei suoi abitanti e avrebbero concesso a questi ultimi l'esperienza della giustizia e le opportunità e le doti donate da Dio.
(©L'Osservatore Romano 2 dicembre 2011)
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1 commento:
Non una parola sui prodigi astronomici ! Evidentemente Dio ha sbagliato..
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