Nel saluto rivolto al Pontefice dal cappellano dell'istituto di pena
Un sogno divenuto realtà
Per dare il benvenuto al Papa, don Pier Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia, ha scelto di raccontare un suo sogno premonitore dell'evento che stavano vivendo. Due anni fa, alla vigilia della festa della Vergine Assunta in cielo, «ho immaginato -- ha detto -- che tu, Santo Padre, la mattina del 15 ti presenti qui, a Rebibbia, senza scorta e senza insegne». Tra lo sbigottimento generale «ti accompagnano emozionatissimi all'area verde antistante la chiesa del Padre Nostro, dove tutto è pronto per celebrare la solennità dell'Assunta. Stupore, incredulità, tanta meraviglia sono evidenti sul volto dei trecento detenuti seduti sulla gradinata. Ti fanno un applauso di almeno dieci minuti. Intanto io, più sorpreso e incantato di loro, ti cedo la casula della presidenza e celebriamo insieme l'Eucaristia. Mi sveglio ora dal sogno. Ora davvero lei, Santo Padre, è venuto a trovarci. Grazie».
Poi ha chiesto al Papa di aiutarlo a far comprendere ai detenuti il valore «della riconciliazione con se stessi, la riconciliazione con la società, la riconciliazione con Dio Padre, perché questo è il fine ultimo ed è la nostra salvezza». E a convincere «i cristiani fuori da queste mura a pregare per chi è in prigione -- uomini, donne, bambini, anziani -- che hanno sbagliato e peccato come sbagliamo e pecchiamo tutti. Hanno compiuto azioni anche orrende e provocato tragedie spesso insanabili. Ma restano e sono figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, e desiderosi di essere considerati ancora fratelli e sorelle».
Ha chiesto poi perdono a nome dei detenuti, ne ha interpretato la voglia di riparare al male compiuto e ha rilanciato la preghiera affinché non si continui a identificarli con le loro azioni sbagliate: essi chiedono solo «di poter tornare nella società senza il marchio di “mostri del male”». Ha poi chiesto ai responsabili politici di leggere, anche attraverso la visita del Papa «l'urgenza di coniugare le esigenze della giustizia umana con quelle della misericordia e del perdono».
Poi ha mostrato al Pontefice il volto sofferente della Chiesa in questo carcere romano, che, al tempo stesso, rivela il volto di una Chiesa viva. «Tanti uomini di questa Chiesa fatta di detenuti, di poliziotti penitenziari, di direttori, di volontari, di cooperative sociali, di tanti operatori -- ha detto -- qui si vogliono bene, lavorano sodo, insieme, per migliorare la dignità e favorire la libertà di ognuno. Tanti ascoltano la Parola di Dio e si mettono in cammino verso nuovi cieli ed una terra nuova». E dopo aver ricordato l'impegno quotidiano profuso dal cardinale Vallini, dai vescovi e sacerdoti romani, e via via di tutte le altre componenti della comunità ecclesiale a testimonianza dell'amore «della Chiesa di Roma per queste sorelle e fratelli più deboli, bisognosi e desiderosi di far ritorno nella Casa del Padre», ha rinnovato l'impegno dei cappellani nella missione «che ci è stata affidata e che da più di venti anni portiamo avanti con gioia».
(©L'Osservatore Romano 19-20 dicembre 2011)
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