venerdì 9 dicembre 2011

Seconda predica d'Avvento. Padre Cantalamessa: chi prega senza parlare evangelizza meglio di chi parla senza pregare

Seconda predica d'Avvento. Padre Cantalamessa: chi prega senza parlare evangelizza meglio di chi parla senza pregare

Un’evangelizzazione efficace si ha quando si fa discendere l’azione apostolica dalla preghiera profonda. Lo ha affermato padre Raniero Cantalamessa nella sua seconda predica d’Avvento, tenuta questa mattina in Vaticano davanti al Papa e alla Curia Romana. Il predicatore pontificio ha ripercorso l’epoca della Chiesa al tempo delle invasioni barbariche e dei grandi monaci che evangelizzarono la nuova Europa. Il “grande deserto”, ha detto, “sono oggi le grandi città secolarizzate”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

È il 476 dopo Cristo quando le certezze vanno in frantumi. L’impero romano è crollato e i suoi territori preda delle popolazioni barbare. Smarrita e travolta dagli eventi, la Chiesa deve prendere una decisione: come gestire la nuova situazione? Padre Cantalamessa parte da questo scenario per parlare di quella seconda ondata evangelizzatrice che, non senza fatica, verrà lanciata all’alba del Medioevo dai Papi e da una serie di grandi figure di Santi dell’epoca. Quando nel 410 i Goti mettono a sacco Roma per tanti, come S. Girolamo, sembra arrivata la fine del mondo. Invece, ha spiegato il predicatore pontificio, si tratta “solo della fine di un mondo”. Superato lo smarrimento, da “minaccia” i barbari cominciano ad apparire ai cristiani “un vasto campo di missione”. Ma evangelizzarli farà emergere aspetti nuovi rispetto a quelli del mondo greco-romano:

“Lì, il cristianesimo aveva davanti a sé un mondo colto, organizzato, con ordinamenti, leggi, dei linguaggi comuni; aveva, insomma, una cultura con cui dialogare e con cui confrontarsi. Ora si trova a dover fare, nello stesso tempo, opera di civilizzazione e di evangelizzazione; deve insegnare a leggere e scrivere, mentre insegna la dottrina cristiana. L’inculturazione si presentava sotto una forma del tutto nuova”.

È in’inculturazione alla quale prestano ingegno, coraggio e ansia apostolica “grandi figure di monaci”. Il loro è uno spirito avventuroso, “paolino”, fatto di viaggi in lande mai toccate dal Vangelo. San Benedetto, San Columba, i Santi Cirillo e Metodio portano l’Europa a ricoprirsi di monasteri. E quella stagione, ha detto tirando le somme padre Cantalamessa, presenta “una certa analogia” con la situazione attuale:

“Allora il movimento di popoli era da Est a Ovest, ora esso è da Sud a Nord. La Chiesa, con il suo magistero, ha fatto, anche in questo caso, la sua scelta di campo che è di apertura al nuovo e di accoglienza dei nuovi popoli. La differenza è che oggi non arrivano in Europa popoli pagani o eretici cristiani, ma spesso popoli in possesso di una loro religione ben costituita e cosciente di se stessa. Il fatto nuovo è dunque il dialogo che non si oppone all’evangelizzazione, ma ne determina lo stile”.

Ma c’è una cosa, per il predicatore francescano, che l’epoca dell’Europa invasa dai barbari insegna alla nostra, ovvero “l’importanza della vita contemplativa in vista dell’evangelizzazione”, come dimostrano le numerose esperienze nate anche in tempi moderni, dalla Comunità di Taizé a quella di Bose:

“Non basta, in altre parole, la preghiera ‘per i’ missionari, occorre la preghiera ‘dei’ missionari. I grandi monaci che rievangelizzarono l’Europa dopo le invasioni barbariche erano uomini usciti dal silenzio della contemplazione e che vi rientravano appena le circostanze lo permettevano loro (...) Di questo abbiamo un esempio ben più autorevole dei Santi. La giornata di Gesù era un intreccio mirabile tra preghiera e predicazione”.

Un intreccio che oggi è però in pericolo nella Chiesa, esposto com’è – ha osservato padre Cantalamessa – da una parte al pericolo dell’“inerzia” di chi non fa nulla e, dall’altro, a quello di “un attivismo febbrile e vuoto”, di chi dimentica il “contatto con la sorgente della parola”. E alla frequente obiezione per cui non è possibile “starsene tranquilli a pregare” quando “la casa brucia”, il predicatore replica così:

“E' vero, ma immaginiamo cosa succederebbe a una squadra di pompieri che accorresse a sirene spiegate a spegnere un incendio e poi, una volta sul posto, si accorgesse di non avere con sé, nei serbatoi, neppure una goccia d'acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare senza pregare. Fa più evangelizzazione chi prega senza parlare che chi parla senza pregare”.

E chi è – ha concluso – il modello perfetto di chi porta Cristo? Certamente Maria:

“Ella portava la Parola nel seno, non sulla bocca. Era piena, anche fisicamente, di Cristo e lo irradiava con la sua sola presenza. Gesù le usciva dagli occhi, dal volto, da tutta la persona. Quando uno si profuma, non ha bisogno di dirlo, basta stargli vicino per accorgersene e Maria, specie nel tempo in cui lo portava in seno, era piena del profumo di Cristo”.

© Copyright Radio Vaticana

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me il concetto espresso da p. Cantalamessa è quantomeno fuorviante.
Alessia

Raffaella ha detto...

Esatto...e non e' la prima volta.
R.

Anonimo ha detto...

Perché non esprimersi con la semplicità propria del S. Padre?
Alessia

Anonimo ha detto...

Già Raffy. Come il credere senza dirlo di tettamanziana memoria :-)
Alessia

Raffaella ha detto...

:-))
R.

Fabiola ha detto...

Il problemas dei cristiani di oggi mi sembra proprio l'inverso.
Cioè testimoniare "per Chi" (come dice Scola) fanno ciò che fanno, pena essere considerati una delle tante agenzie di intervento sociale, tra volontariato e no-profit.

A.R. ha detto...

Da quello che ho letto della predica di Cantalamessa penso che non sia per nulla reticente o fuorviante. Non sta parlando della testimonianza silenziosa della vita che ogni cristiano è tenuto a dare, ma dell'impegno specifico della evangelizzazione, cioè della diffusione della fede cristiana. Ed evidentemente si riferisce a quelli che hanno il compito e la vocazione di insegnare. Si evangelizza meglio pregando senza parlare (il riferimento è alla vita religiosa, alla via dei monaci) che parlando senza pregare (perchè quelle parole non possono convertire nessuno, sanno di fasullo). Ma è evidente che per Cantalamessa - vista anche la sua attività - la cosa migliore è pregare E parlare, tenendo insieme interiorità ed attività. Non lasciamoci prendere dai dubbi: la Chiesa ha sempre creduto e sempre crederà nella priorità della vita contemplativa e della preghiera: non per nulla patrona delle missioni è una monaca di clausura, santa Teresina di Lisieux.