La visita di Benedetto XVI a Rebibbia
Mario Ponzi
A Rebibbia, il carcere romano che il Papa visita domenica 18 dicembre, ne sono convinti: il regalo di Benedetto XVI per loro è arrivato prima di lui.
Per una felice coincidenza, infatti, il cosiddetto «decreto svuota carceri» è stato discusso e approvato dal Governo italiano venerdì sera, a meno di quarantott’ore dalla visita. Una pura coincidenza — anche se un’acceleratina all’iter per l’approvazione del provvedimento l’annuncio dell’arrivo del Papa potrebbe averla effettivamente data — ma resta il fatto che tra i detenuti a Rebibbia l’euforia è salita di livello.
Il provvedimento effettivamente consente di dare un po’ di respiro a un ambiente nel quale da anni ci sono uomini e donne che vivono in situazioni drammatiche, privati non solo della libertà ma della stessa dignità umana. Proprio per questo il Papa ha voluto portare il conforto della sua presenza e ha deciso di andare a vivere uno spicchio del suo Natale in mezzo a loro.
È consuetudine che durante questo periodo dell’anno il Papa si rechi in visita laddove c’è gente che soffre. Nei precedenti ci sono incontri con i degenti in ospedali romani, con malati terminali ricoverati in hospice, con i bambini nei reparti pediatrici. La scelta di recarsi nella casa circondariale alla periferia di Roma è stata dettata proprio dalla gravità della situazione delle carceri, e non solo di quelle italiane, dove la disperazione è compagna quotidiana. Quando non diventa assassina. Le sue ultime vittime sono di appena due giorni fa, a Busto Arsizio e a Civitavecchia. Solo nell’anno che sta per chiudersi i morti nelle carceri italiane sono stati una settantina.
In un ambiente così la visita di una persona come il Papa assume chiaramente un significato di grande valore, soprattutto per quanti condividono, seppure con ruoli diversi, un’esperienza tanto drammatica. Un significato che, stando almeno alle dichiarazioni rilasciate in questi giorni dal direttore dell’istituto di pena, Carmelo Cantone, e dal cappellano, don Pier Sandro Spirano, i detenuti di Rebibbia hanno ben capito tanto da aver tutti contribuito con entusiasmo a rifare il belletto a quella che è oggi, nel bene e nel male, la loro dimora. C’è da attendersi dunque un’accoglienza festosa nei confronti del Papa.
Non è la prima volta che Benedetto XVI entra in un penitenziario.
Il 18 marzo 2007 ha infatti visitato i detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo, riprendendo così una consuetudine inaugurata da Giovanni XXIII con la visita al carcere romano di Regina Coeli il 26 dicembre 1958.
Anche Paolo VI si recò a Regina Coeli. Lo fece il 9 aprile 1964. E a ricordo di quella giornata resta la preghiera che egli recitò con i detenuti, il cui testo è stato riproposto nel cartoncino preparato dalla Prefettura della Casa Pontificia in occasione della visita di Benedetto XVI.
Giovanni Paolo II si è recato più volte nelle carceri, e non solo in quelle romane. La visita più nota resta quella compiuta il 27 dicembre 1983 proprio a Rebibbia: quel giorno vi tornò — c’era già stato il 6 gennaio 1980 — per incontrare Alí Agca, il turco che il 13 maggio 1981 lo aveva ridotto in fin di vita in piazza San Pietro. A Regina Coeli il Pontefice polacco celebrò poi la messa giubilare il 9 luglio 2000.
È comunque lungo l’elenco delle visite compiute da Papa Wojtyła ai reclusi in varie parti d’Italia e del mondo. Solo alcuni luoghi tra i più significativi: Viterbo e Reggio Calabria nel 1984; Cagliari e Venezia nel 1985; Volterra nel 1989; Caltanissetta nel 1993. All’estero il primo carcere da lui visitato fu in Cile nel 1987; e il 7 giugno 1991 si recò per la prima volta in un penitenziario polacco, a Płock.
L’attenzione manifestata dai Pontefici per i detenuti è il frutto dell’amore che la Chiesa nutre per ogni uomo che soffre. Un cammino che ha le sue radici nelle Beatitudini evangeliche e che oggi Benedetto XVI riattualizza con la sua visita a Rebibbia.
(©L'Osservatore Romano 18 dicembre 2011)
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