La visita del Papa a Rebibbia. Il ministro Severino: un segnale importante, tutelare i diritti umani nelle carceri
Domani mattina il Papa compirà una visita pastorale presso la Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia, a Roma. Alle 10, nella chiesa centrale del “Padre Nostro”, Benedetto XVI incontrerà i detenuti e risponderà alle loro domande. Proprio ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto pacchetto "svuota-carceri", presentato dal ministro della Giustizia Paola Severino. Tra i primi effetti, l'uscita progressiva dal carcere di circa 3300 detenuti, che potranno scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di pena. Previsto un sistema di detenzione non carceraria ma domiciliare per pene fino a 4 anni. I provvedimenti dovrebbero far uscire gradualmente dalle sovraffollate carceri italiane oltre 25mila detenuti. Le nuove misure sono state prese proprio alla vigilia della storica visita di Benedetto XVI a Rebibbia. Una felice coincidenza, afferma - al microfono di Davide Dionisi - il Guardasigilli Paola Severino:
R. - Direi davvero felicissima! Il fatto che le più alte istituzioni dello Stato e quelle religiose si occupino così intensamente del tema della tutela dei diritti umani nel carcere mi sembra un segnale di grandissima importanza. Naturalmente, quando parlo dei vertici non parlo di me, ma parlo del presidente della Repubblica, parlo di Sua Santità e questa visita credo che non solo recherà conforto a coloro che la riceveranno, ma darà un segnale molto importante della presenza, nei nostri cuori, nel nostro spirito e nelle nostre menti, del problema del carcere come uno dei problemi fondamentali della nostra vita e del nostro assetto sociale.
D. - Che significato assume in questo momento particolare di difficoltà dei nostri Istituti di pena la visita di Benedetto XVI?
R. - Di grande conforto. Ho constatato personalmente che ogni visita al carcere è un’avventura umana straordinaria, si incontra una profondità di sentimenti che non avrei mai immaginato. E naturalmente moltiplico queste sensazioni, dal punto di vista di chi è in carcere, alla vista del Papa, a questa presenza cristiana che è sempre molto forte nelle carceri. Questa è un’altra cosa che mi ha molto colpita: il sentimento della religione è un sentimento che dà grandissimo conforto ai carcerati e credo quindi che la visita del Papa arrecherà un grande sollievo a coloro che soffrono.
D. Ministro, con i nuovi provvedimenti, come cambia il sistema carcerario nazionale?
R. - Io spero che cambi in meglio, anche se naturalmente tanto ci sarebbe ancora da fare, tanto ci sarà ancora da fare. Il mio impegno per il carcere è un impegno estremamente forte. Oggi vi sono delle disponibilità economiche che ci consentono di affrontare il problema della ristrutturazione di alcune carceri, ci sono alcune misure che prevedono l’alleggerimento del numero delle persone detenute in carcere. Ho avuto molta cura di questi provvedimenti proprio perché credo che il sovraffollamento carcerario porti a delle condizioni di vita disumane e che la tutela dei diritti umani rappresenti uno dei valori fondamentali della nostra civiltà e della nostra Costituzione e che quindi vada tutelato con il maggior numero di misure possibili.
D. - Dalle precarie condizioni di convivenza ai limitati percorsi di reinserimento lavorativo, la distanza tra il carcere e il mondo è sempre più ampia e i dati riguardo ai suicidi è sempre allarmante. I nuovi provvedimenti saranno sufficienti a colmare tali distanze?
R. - Sarebbe forse un po’ troppo ottimistico pensarlo; la mia speranza è semplicemente che aiutino a dare una prospettiva, ad indicare che il governo, la vita politica di questo Paese, i cittadini che stanno fuori dal carcere hanno comunque a cuore la sorte dei carcerati. Io credo che ogni suicidio che avvenga in carcere sia il fallimento di tutto il sistema giudiziario e carcerario e che tutti lo debbano soffrire come tale. Naturalmente, il reinserimento è l’obiettivo che dovrebbe avere il carcere. Sappiamo tutti, poi, che così non è. Allora, la prossima tappa dei miei sforzi è rivolta proprio a questo. Sto studiando molto, so che ci sono molte organizzazioni che si occupano del reinserimento e soprattutto del recupero lavorativo del carcerato, lavoro di qualità naturalmente, perché il carcerato può imparare a fare lavori di qualità, dei lavori anche raffinati. Ed io credo che se non si sentirà inutile, ma si sentirà utilizzato ed utilizzabile per il futuro nel suo reinserimento, questo gli darà molto conforto.
D. - Tra il recupero del condannato e sicurezza dei cittadini può esserci sinergia o c’è solo contrapposizione?
R. - Ci può essere sinergia se si superano dei pregiudizi, naturalmente. Il pregiudizio che chi è stato in carcere, chi è stato condannato abbia delle possibilità di recidiva è forte, nella popolazione. E’ inutile che ci nascondiamo questo dato. Ma se si provasse ad approfondire questo discorso, a verificare che soprattutto per certe tipologie di reati, i margini di recidiva, le percentuali di recidiva sono molto bassi, si avrebbe un recupero di fiducia e questo potrebbe consentire la coesistenza dei due temi e dei due valori.
D. - La religione, all’interno del carcere, può avere una funzione rieducativa?
R. - Io credo proprio di sì, perché comunque rappresenta un filo di speranza, la speranza in qualcosa: la speranza nella redenzione, la speranza di poter ritornare ad una vita migliore… Da questo punto di vista, temi laici e temi religiosi percorrono le stesse strade, percorrono binari paralleli. La nostra Costituzione prevede che nella pena ci sia una parte retributiva ed una parte rieducativa, una parte di sofferenza ed una parte di speranza e nella religione c’è un concetto analogo: c’è il peccato, c’è l’espiazione e c’è la redenzione. Naturalmente, lo sviluppo dei due concetti è molto diverso, però le basi mi sembrano molto simili.
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