Il Papa e la moglie di Lot
Cosa sta davvero a cuore al Papa? Con chiarezza crescente la risposta viene dallo stesso Benedetto XVI, che di nuovo ha scelto l’essenziale nel bilancio dell’anno che si conclude. Con una lettura perfettamente aderente alla realtà e che nello stesso tempo sa andare dritta al cuore delle questioni, sfrondandole dalle contingenze e confermando che a essere in cima alle preoccupazioni di Papa Benedetto è la crisi della fede, in qualche modo raffigurata dall’immagine biblica della moglie di Lot.
Ma la preoccupazione non equivale a pessimismo, nonostante rappresentazioni ormai un po’ fruste e che i fatti smentiscono giorno dopo giorno. No, Benedetto XVI non è pessimista né stanco e il suo stile gentile di governo, attento e concreto, si radica appunto nell’essenziale, come ha anticipato all’inizio del pontificato presentando il suo vero programma, e cioè l’abbandono alla parola e alla volontà dell’unico Signore, «cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia» disse nella messa inaugurale
Nella sua aderenza alla realtà il Papa è tornato a parlare della crisi economica e finanziaria che opprime l’Europa, e ha ripetuto che questa si fonda su una crisi etica perché manca spesso la forza che induca a rinunce e sacrifici. Come trovarla allora? È questa domanda alla quale deve rispondere l’annuncio del vangelo in società che l’hanno dimenticato o rimosso, un’urgenza che ha motivato l’istituzione di un nuovo organismo curiale e che spiega la scelta del tema al centro della prossima assemblea sinodale e l’indizione di un «anno della fede» nel cinquantesimo del Vaticano II, il maggiore avvenimento religioso del secolo scorso.
Vi è una crisi della Chiesa in Europa e il suo nocciolo è proprio la crisi della fede, che si risolve in una stanchezza e addirittura in «un tedio dell’essere cristiani». L’analisi di Benedetto XVI non si ferma però a questa diagnosi impietosa e, soprattutto, non lascia spazio ad alcun pessimismo. Proprio due dei più recenti viaggi internazionali — in Africa e in Spagna — hanno mostrato che si trova nella gioia di essere cristiani il rimedio, anzi la «grande medicina» contro questa stanchezza del credere.
Il Papa l’ha delineata sulla base dell’esperienza della giornata mondiale della gioventù di Madrid. Così la cattolicità della Chiesa permette di sperimentare l’unità profonda della famiglia umana, mentre l’attento uso del proprio tempo, anche nella vita quotidiana, è decisivo. Ed ecco l’immagine — scelta da Benedetto XVI come emblema della crisi della fede — della moglie di Lot, che guardò indietro preoccupata di se stessa e si trasformò in una statua di sale, irrimediabilmente vuota.
È invece il rapporto personale con l’unico Dio a salvare, un rapporto autentico non motivato dal desiderio di guadagnare il cielo o dalla paura dell’inferno — ha detto il Papa — ma semplicemente «perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello». Con l’alimento di quello che è il cuore della fede cattolica, l’adorazione di Dio realmente presente nell’eucaristia: quel Dio che perdona e vince la forza di gravità del male nella penitenza e ama davvero ogni essere umano.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 23 dicembre 2011)
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