Il microcosmo magico di Ildegarda
Franco Cardini
Si sentono spesso lamentele da parte femminile, se non addirittura femminista, sul fatto che il medioevo sarebbe stato un’età troppo macha, tutta santi re guerrieri e mercanti, con poche donne, per giunta defilate. In linea di massima e in senso generale può essere anche vero: e tradizioni come quella del divieto per le donne di accedere al sacerdozio o – in forza della cosiddetta “legge salica”, non dappertutto valida – di cingere corona regia hanno senza dubbio messo il gentil sesso medievale in difficoltà.
Non sempre né dappertutto, peraltro. Anche se oggi il parlar di classi sociali non va più di moda, è pur necessario osservare che la segregazione e l’inferiorità femminile potevano esser forti se non addirittura totali ai livelli subalterni (da qui, forse, la “scappatoia-ribellione” della stregoneria), ma non certo a quelli più alti. I secoli medievali, e in special modo quelli della “cultura cortese”, sono dominati da figure femminili mitico-simboliche, come anzitutto la Vergine Maria, quindi le leggendarie Ginevra e Isotta.
Vi sono donne che hanno esercitato con intelligenza e vigore il potere: da Matilde di Toscana a Eleonora d’Aquitania a Melisenda di Gerusalemme. Vi sono state religiose e mistiche di primissimo piano: in Umbria, le sante-mistiche (Chiara d’Assisi, Angela da Foligno, Chiara di Montefalco, Margherita da Cortona) hanno scritto alcune pagine indelebili nel campo della spiritualità, seguite da Caterina da Siena e da Brigida di Svezia; e alla radice del cammino delle nazioni europee verso la conquista di un’identità moderna e di una libertà incontriamo ancora una donna, l’enigmatica pastorella-guerriera Giovanna d’Arco. Né si creda che l’elenco si arresti qui, a queste “eccezioni”.
Per niente. Il medioevo è pieno di donne badesse, mercantesse, amministratrici, pellegrine. Anche sul piano culturale, a dispetto della diffusa ignoranza femminile che poteva giungere all’analfabetismo generalizzato, le figlie di Eva hanno un ruolo di eccellenza. La storia della medicina femminile e dell’ostetricia comincia con una misteriosa medichessa che pur aveva rapporti con la prestigiosa scuola medica di Salerno, la magistra Trotula; quella della logica e dell’università moderna si apre con la figura straordinaria e inquietante di Pietro Abelardo e con il suo romanzo prima d’amore quindi di ardente sodalizio spirituale con la sua allieva Eloisa. Insomma, altro che solo monache o streghe! Ma all’inquietante crocevia tra religione, mistica, disciplina monastica, teologia, filosofia e perfino profezia, e in quel XII secolo che per molti motivi fu e resta davvero centrale e fondamentale nella nostra storia, incontriamo una straordinaria, gigantesca, indecifrabile e – diciamolo pure – inquietante figura di principessa e badessa benedettina, Ildegarda di Bingen.
Fiumi d’inchiostro sono stati versati per illustrare la sua personalità e per tentar di penetrare il segreto dei suoi scritti: eppure, si continua a saperne pochissimo. Ora, una sintetica ricostruzione della personalità, delle opere e del contesto nel quale visse Ildegarda ci viene proposta da un’interessante, versatile giovane scrittrice e giornalista: Annalisa Terranova, medievista allieva di Edith Pasztor che si è lasciata attrarre dalla carriera giornalistica la quale (con probabile suo vantaggio economico) l’ha strappata al mondo universitario, ma che ha mantenuto intatte qualità e passione per la ricerca scientifica.
Della Terranova si conosceva un apprezzato saggio su La Riforma come origine della modernità (2000) e un interessante, intelligente, spiritoso e divertente libro-inchiesta sulla presenza femminile nel mondo della destra politica italiana, Camicette nere (2007).
Ma l’interesse per il medioevo non l’ha mai abbandonata ed essa, da parte sua, non ha mai tradito il suo originario oggetto di studio, com’è testimoniato dai molti saggi da lei pubblicati su Avallon e su Quaderni medievali. Esce ora nelle librerie il suo Ildegarda di Bingen: mistica, visionaria, filosofa (Rimini, Il Cerchio, 2011, pp. 78, euro 10, con un’introduzione di Jacques le Goff): un libro breve ma denso, partecipato, problematico, davvero frutto – come direbbe Dante – di «lungo studio e grande amore». Sin da bambina, la giovane Ildegarda “soffriva” di visioni: ora splendide, ora spaventose, e non stupisce l’interesse che un altro grande visionario-filosofo suo quasi compatriota, Carl Gustav Jung, nutriva per lei: il suo Libro Rosso è terribilmente “ildegardiano”. Nata nel 1098 nella ricca ma inquieta Renania, terra di eretici catari, cominciò a “vedere cose” – lo testimonia il suo biografo Goffredo di Rupertsberg – già verso i cinque anni; prese i voti nel 1113 accedendo quindicenne all’ordine benedettino, ma già da prima aveva vissuto come una reclusa, di preghiera e di studio.
A trentotto anni, nel 1136, divenne badessa del monastero di Disibodenberg: già da allora stava concependo l’opera alla quale avrebbe posto mano cinque anni dopo e che l’avrebbe occupata per un decennio, lo Scivias (vale a dire “Sci vias”, conosci le vie: del Signore, naturalmente).
Un libro strano e inquietante, che fu stranamente apprezzato da papa Eugenio III – il cui consigliere era il grande e terribile Bernardo di Clairvaux – e al quale negli anni successivi, in mezzo alle cure monastiche, a molti contrasti e addirittura a viaggi intrapresi per predicare, essa accompagnò opere di teologia, di mistica e di medicina.
Ebbe contatti anche con l’imperatore Federico I, il Barbarossa, che la rispettava e la temeva. Morì nel 1179, dopo una vita per quei tempi lunghissima e piena di sacrifici, di tensioni, di sofferenze. Le visioni di Ildegarda non avevano caratteristiche né di perdita di coscienza, né di esperienze oniriche: erano autentiche esperienze spirituali vissute in stato di veglia e di vigilanza, “uscite dal corpo” accompagnate da chiara lucidità.
Non c’è dubbio che la filosofia ildegardiana, secondo del resto le caratteristiche del XII secolo, si possa definire neoplatonica e agostiniana: la sua “natura” è quella egemonizzata dall’anima mundi, e qui la Terranova si avvale degli ancora attualissimi, splendidi studi del grande Tullio Gregory.
Non c’è dubbio che molte idee di Ildegarda appartengano a un territorio pericoloso, di quelli segnalati da Guglielmo di Saint-Thierry come ereticali: in particolare, rischioso e affascinante appare il tema del rapporto tra anima mundi e Spirito Santo. Ildegarda chiama viriditas, “verdeggiare”, la relazione profonda tra spirito, fisicità e intimità femminile. La Viriditas nobilissima è la Vergine Maria.
Nella visione fisio-cosmologica di Ildegarda, s’inscrive il concetto di uomo come “microcosmo”, universo compendiato, che per molti versi anticipa la filosofia rinascimentale.
La sua “magia” – celebri le ricette a base di mandragora – si radica quindi profondamente nella conoscenza della struttura del cosmo, animata da un pensiero e da un linguaggio di alto e intenso valore simbolico. Una pensatrice straordinaria, interpretata qui con misura e finezza.
© Copyright Europa, 23 dicembre 2011 consultabile online anche qui.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento