«Il Foglio» ritorna sul ritrovamento nella Biblioteca Apostolica Vaticana del manoscritto dell’«Ethica» di Spinoza
La normalità di una scoperta eccezionale
«Non c’è nulla di stupefacente». Sembra questa la frase che più sorprende nell’intervista rilasciata a «Il Foglio» da Paolo VIan, direttore del Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana. «Non c’è nulla di stupefacente» nel fatto che il manoscritto sull’Ethica di Spinoza, opera che fece mettere all’indice il filosofo, sia stato scoperto soltanto ora.
«Contrariamente a quanto comunemente si pensa — spiega lo studioso a Paolo Rodari — le scoperte nelle biblioteche e negli archivi sono frequenti. Solo limitandoci agli ultimi anni, in Vaticana possiamo per esempio ricordare la scoperta, nel 2003, da parte di Francesco D’Aiuto, di circa 200 versi di una commedia sconosciuta di Menandro, il celebre autore della “commedia nuova”, nascosti nella scrittura inferiore di un palinsesto: un rinvenimento straordinario che rivoluziona quanto si sapeva della tradizione manoscritta di Menandro e del suo naufragio in epoca tardo-antica. Poco dopo, nel 2004, Germana Ernst ha individuato fra i manoscritti della Biblioteca Barberiniana il testo autografo italiano dell’Ateismo trionfato di Tommaso Campanella, opera sino a quel momento nota solo attraverso la veste latina delle edizioni seicentesche. Sequestrato a Campanella nel 1615 nella detenzione napoletana di Castel Sant’Elmo, il manoscritto fu inviato a Roma ed entrò nella biblioteca dei Barberini che la Santa Sede acquisì nel 1902. Da allora, per oltre un secolo, era a disposizione nei cataloghi, senza il nome dell’autore (presto perduto), ma con un titolo assolutamente chiaro ed esplicito. Ma i cataloghi della Barberiniana non sono ancora “in linea” e per consultarli bisogna fisicamente frequentare la Vaticana».
La questione principale è proprio questa. Non c’è niente di nascosto, ma come rilevava in un’intervista di qualche tempo fa monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto, «le meraviglie, i veri “segreti” di una biblioteca o di un archivio non si scoprono spingendo un bottone. Ci vuole — continua Vian — una lunga e faticosa pazienza che, come nel caso del manoscritto dell’Ethica, accosti elementi separati, riannodi fili spezzati, valorizzi tracce minute e quasi invisibili. Ci vuole insomma la pazienza e la tenacia di un innamorato e solo allora si può arrivare alla meta. Ma la vita contemporanea è terribilmente dispersiva, quella accademica è soffocata dagli appesantimenti burocratici e le settimane, i mesi, gli anni trascorsi nelle biblioteche o negli archivi sono lussi che nessuno può più permettersi. La rivoluzione digitale, che sta trasformando profondamente biblioteche e archivi, diffonde poi la falsa impressione di poter conoscere questi secolari luoghi di conservazione della memoria anche telematicamente, mentre è solo a chi li frequenta di persona, con una reale militanza sul campo, che essi possono concedere i loro segreti».
In questo caso l’amore e l’abnegazione hanno portato alla scoperta del manoscritto da parte di Pina Totaro, autrice di un lungo articolo che occupa per intero, con l’intervista di Rodari, la bella pagina dedicata, su «Il Foglio» del 3 dicembre, al ritrovamento (trattato da «L’Osservatore Romano» nei numeri del 5 giugno, del 19 ottobre e del 14-15 novembre di quest’anno). Collegare tutti i fili non deve essere stato facile se — spiega lo studioso — «il manoscritto era anepigrafo e adespoto, cioè senza titolo e senza indicazione di autore. Pervenuto alla Vaticana nel 1922 per versamento dalla Congregazione del Sant’Uffizio, fu accessionato all’interno del fondo “aperto” dei manoscritti in alfabeto latino; nel giro di pochi anni fu catalogato ma con il generico titolo di Tractatus theologiae e senza l’identificazione dell’autore. Divenuta possibile solo quando si sono accostati i dati derivanti dalla ricostruzione della vicenda di Tschirnhaus e di Stensen e le indicazioni dell’inventario dattiloscritto consultabile in Biblioteca vaticana. Insomma, nulla era nascosto, ma solo collegando i dati, con intelligenza storica e acume di ricerca, si poteva “fare la scoperta”».
Va inoltre sottolineato — dice ancora il direttore del dipartimento — che nel custodire l’Ethica, censurata dall’ex Sant’Uffizio, «la Vaticana non compie un giudizio di merito; nel tempo ha raccolto e raccoglie quanto conta nella storia morale e intellettuale dell’umanità. In questo senso la Vaticana non è una biblioteca teologica ma è una biblioteca umanistica, aperta a tutto ciò che di bello, buono, nobile, vero l’uomo ha creato nei millenni, dai codici tardo-antichi di Virgilio ai manoscritti messicani precolombiani, a quelli (dalle forme più varie) raccolti dai missionari in Oriente. Non una Wunderkammer allestita da collezionisti dai molti mezzi, come i Pontefici, ma una testimonianza resa alla grandezza dell’uomo, all’umanità dell’umano».
Ma non basta, tutto questo sapere è alla portata di tutti, non ci sono accessi privilegiati. «Dal pontificato di Leone XIII (1878-1903), quando la Vaticana si trasformò da biblioteca aulica e palatina in operoso centro di ricerche — ricorda lo storico — la Biblioteca è aperta con larghezza, senza alcun pregiudizio ideologico o confessionale, a tutti i veri studiosi, accademicamente maturi e selezionati; non possiamo permettere l’ingresso a dilettanti e sfaccendati ma non viene negato a nessun ricercatore preparato e mosso da un autentico interesse scientifico. Leone XIII era convinto che la Chiesa non avesse nulla da temere dalla verità, dalla verità della storia, e ha aperto con coraggio (proprio mentre la città di Roma era teatro di una violentissima offensiva anticlericale) i suoi tesori a tutti».
Il motivo è semplice: «Siamo convinti che ogni ricerca della verità (anche nei suoi frammenti filologici o storici) sia in qualche modo un atto religioso e che la Chiesa lo debba difendere e incoraggiare. E che la ricerca delle verità, anche nelle più umili e parziali conquiste, sia, consapevolmente o meno, già un passo verso la Verità. Questa cifra di umanesimo cristiano è la vera, profonda identità della Biblioteca Vaticana». La scoperta del codice dell’Ethica è una parte di questo percorso.
(©L'Osservatore Romano 4 dicembre 2011)
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2 commenti:
È vero, "non c'è nulla di stupefacente" nella presenza del testo manoscritto in Vaticano.
Ciò che è stupefacente è la limpida e tragica visione delle cose del beato Stenone (Stensen), che antevedeva nel 1677 i NOSTRI giorni: in nome della "ricerca scientifica" (in realtà, dando per ovvio, secondo il dettame di Spinoza, che la Verità sia una Formula Ordinamentale della Natura Sussistente) si combattono a morte Cristo-Verità (Verità coincidente con un Uomo conoscibile, realmente esistente) e la Chiesa.
Esattamente come antevisto dal beato Stenone (vedi l'articolo della Totaro sul "Foglio"), la "lebbra" si è diffusa tramite Catesio e i "medici e scienziati cartesiani" che avevano studiato in Olanda o in Inghilterra. In quell'ambiente e in quei tempi nasce il "deismo" settecentesco, che oggi il Papa condanna ogni giorno.
Lì nasce il fatto che gli uomini "avveduti", se il sole e la luna appaiono prodigiosamente "diversi" in Benin mentre il Papa svolge il Suo ministero, guardano sdegnosamente altrove.
comunque Baruch Spinoza era un ebreo sefardita eretico anche per la sua gente,quindi dove sta la cosa stupefacente?Piuttosto bisognerebbe cercare in Francia tra tutti i documenti vaticani rubati da Napoleone,se non altro per onestà intellettuale....
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