domenica 18 dicembre 2011

Benedetto XVI a Rebibbia seconda visita in un carcere. Lo storico Vian «Il Papa ha conosciuto l’internamento» (Galeazzi)

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Benedetto XVI a Rebibbia seconda visita in un carcere

Lo storico Vian «Il Pontefice ha conosciuto l’internamento»

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

I precedenti Il 26 dicembre 1958 papa Giovanni XXIII entra a Regina Coeli (prima foto). Stessa visita per papa Wojtila l’8 luglio del 2000
Benedetto XVI Il 4 luglio 2010 il Pontefice ha visitato il carcere di Sulmona Nella foto è insieme a un detenuto
Pietro oltre le sbarre. Sessant’anni fa Pio XII rivolse gli auguri di Natale ai carcerati per radio e ancora oggi è esposta in molte case la foto di Giovanni XXIII sorridente, abbracciato nel ‘58 dai detenuti di «Regina Coeli» («Sono vostro fratello Giuseppe», si presentò). Se è vero che dalla condizione delle carceri si misura la civiltà di un Paese, parimenti è (anche) dal calore delle visite negli istituti di pena che emerge l’umanità di un pontificato. Oggi, ultima domenica di Avvento, Benedetto XVI fa il bis in un penitenziario dopo la giornata trascorsa quattro anni fa nel carcere minorile di Casal Del Marmo e, per una felice coincidenza, porta in dono a Rebibbia il decreto «svuota carceri». Fedeli al precetto di Gesù, da secoli i suoi vicari (soprattutto quando univano potere temporale e spirituale) lasciano il palazzo per portare una parola di conforto ai detenuti e verificare la situazione in cui vivono. Sulle orme del predecessore Roncalli, nel ‘64 è stato Paolo VI a salire i tre scalini di «Regina Coeli», quelli che, secondo un’antica leggenda, bisogna salire per dirsi «vero romano». Toccherà poi al primo vescovo di Roma straniero in mezzo millennio, cioè Karol Wojtyla, compiere all’inizio e alla fine del suo pontificato il romanissimo pellegrinaggio nella terra di mezzo carceraria: la prima volta nel 1983 a Rebibbia per incontrare il suo attentatore Alì Agca, la seconda a Regina Coeli durante il Giubileo. E due anni dopo in Parlamento, in piena emergenza-sovraffollamento, Giovanni Paolo II levò la voce per invocare un segno di clemenza verso i detenuti. «A Rebibbia Benedetto XVI compie un gesto che si inserisce in una lunga tradizione di opere di misericordia dei pontefici, ma a personalizzarlo emotivamente sono alcuni significativi riferimenti biografici», spiega lo storico Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano. «Arruolato a forza e mandato verso est, a centinaia di chilometri da casa, a meno di 18 anni Joseph Ratzinger ha conosciuto l’internamento, quindi comprende perfettamente la sofferenza che provoca la privazione della libertà - evidenzia Vian -. In quella condizione di ingiusta reclusione, era riuscito a procurarsi un quaderno e una matita per descrivere in versi greci il proprio stato d’animo». Inoltre, prima di salire sul soglio di Pietro, Ratzinger ha prestato servizio per due decenni nella Curia Romana, dove, sottolinea Vian, «era consuetudine svolgere apostolato nelle carceri romane, com’erano soliti fare per esempio i segretari di Stato, Tardini e Casaroli». Per il Papa teologo e pastore la chiave di lettura è sempre nella predicazione. «Una vita senza Dio non funziona perché priva di luce», disse Benedetto XVI all’istituto penale minorile della capitale. «Tra adolescenti emarginati e per lo più stranieri, il Pontefice riannodò i fili della memoria e tornò studente nella «Germania anno zero» devastata dalla follia nazista e dai bombardamenti degli alleati - commenta Vian -. A Casal del Marmo raccomandò di abbandonare il peccato e scegliere di tornare a Dio percorrendo insieme un cammino di liberazione interiore».

© Copyright La Stampa, 18 dicembre 2011

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