VATICANO: PM APPELLO, GABRIELE RISCHIA 4 ANNI;PAPA PUO' GRAZIARLO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 set.
Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa che fu arrestato lo scorso 23 maggio perche' aveva in casa documenti riservati e valori sottratti dall'appartamento pontificio, rischia al massimo 4 anni di carcere nel processo che inizia sabato davanti al Tribunale Vaticano.
Lo ha detto ai giornalisti il professor Giovanni Giacobbe, promotore di giustizia presso la corte d'appello dello stesso Tribunale. Secondo Giacobbe, se all'imputato verra' comminata una pena da scontare in carcere cio' avverra' pero' in Italia, grazie a una convenzione internazionale. Ma il Papa potrebbe graziare il suo ex cameriere.
Benedetto XVI che finora non ha interferito in alcun modo nell'inchiesta per Vatileaks, esortando anzi la Gendarmeria e i giudici vaticani a "procedere con solerzia", puo' teoricamente intervenire in qualunque fase del processo o attendere la sentenza o ancora lasciare che l'imputato sconti la pena almeno in parte. "Il perdono del Papa non ha scadenze temporali, quando interviene finisce tutto, e se c'e' una condanna vengono meno gli effetti", ha chiarito il pm di appello ricordando che in questo i poteri del Pontefice equivalgono a quelli di un normale Capo di Stato: "anche negli stati laici - ha detto - e' cosi'".
"La logica della situazione - ha chiosato pero' il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi - e' che se non e' intervenuto prima del processo il Papa attende ora la sentenza, se Gabriele fosse assolto non ci sarebbe nulla di cui perdonarlo". In merito ai poteri del Pontefice, il professor Giacobbe ha ricordato che il Papa poteva anche fermare il processo, in quanto in Vaticano e' lui che detiene il potere legislativo.
Secondo il giurista, inoltre "il Papa non puo' essere considerato personalmente 'parte lesa' mentre lo e' la Chiesa Cattolica nel suo insieme".
Riguardo al computo della pena, che secondo lui sara' al massimo di 4 anni, il promotore della Corte d'Appello ha ricordato che a Gabriele viene contestato in questo processo unicamente il reato di furto aggravato, che si consuma non solo attraverso la sottrazione dei beni ma anche con la riproduzione illegale di documenti riservati, dei quali ci si appropria cosi'. Va ricordato pero' che la somma delle aggravanti che si possono applicare al caso, elencate in un altro precedente briefing dal giudice a latere del processo, professor Paolo Papanti Pellettier, darebbe invece una pena tra i 6 e gli 8 anni.
Quanto all'altro imputato, l'informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento, secondo il professor Giacobbe rischia pochi mesi. Il giurista, che ha tenuto il briefing di oggi unicamente come esperto di procedura penale e non in quanto sara' eventualmente il pm del processo d'appello, non si e' invece sbilanciato sui tempi che saranno necessari per arrivare alla sentenza. "Il fatto che l'imputato abbia collaborato in istruttoria e ammesso il reato non esclude - ha spiegato - che tutto debba essere provato. In ipotesi, un imputato potrebbe confessare un delitto non proprio. Ed anche se in istruttoria la confessione risulta convalidata da accertamenti e circostanze, la sentenza non sara' motivata solo dalla confessione". Da cio' deriva l'impossibilita' di stabilire a priori la durata del dibattimento: "non e' prevedibile - infatti - se ci saranno eccezioni o istanze".
Al professor Giacobbe, i giornalisti hanno chiesto cosa accadra' invece se emergeranno altri reati o altri colpevoi (la denuncia della Gendarmeria parla anche di attentato alla sicurezza dello Stato, violazione della segretezza della corrispondenza e evoca che altri abbiano "concorso al reato").
"Secondo un principio generale in vigore sia in Italia che in Vaticano, il dibattito - ha risposto - deve svolgersi sulla base del capo di imputazione.
Se emergono circostanze che modificano il capo d'accusa o se ci sono altri coinvolti il Tribunale potrebbe decidere di rimettere gli atti alla procura". Nessun rischio corre comunque il giornalista Gianluigi Nuzzi, che ha pubblicato in un libro i documenti fornitigli da Paolo Gabriele: l'eventuale reato di ricettazione sarebbe stato commesso in Italia e il Tribunale presieduto dal professor Giuseppe Dalla Torre non ha competenze per quello che avviene fuori dal territorio dello Stato della Citta' del Vaticano.
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