Vaticano/ Maggiordomo resta unico imputato in processo-lampo
Martedì parla Paolo Gabriele, possibile conclusione in 4 udienze
Città del Vaticano, 29 set. (TMNews)
Lui ha già confessato. Ha agito - ha detto nel corso dell'istruttoria - per "aiutare il Papa", che vedeva circondato da "male e corruzione". E ora Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI arrestato il 24 maggio per furto aggravato dei documenti riservati della Santa Sede finiti sui giornali italiani e, da ultimo, nel bestseller 'Sua Santità' di Gianluigi Nuzzi, rischia una condanna fino a sei anni. In un processo che si annuncia breve fin dalla prima seduta, quella che si è svolta stamane nell'aula del tribunale vaticano alle spalle della basilica di San Pietro. Tanto più che la posizione dell'altro imputato, il tecnico informatico della segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti, è stata stralciata e verrà esaminata in un successivo processo che verrà celebrato "a data da destinarsi".
Alla prossima udienza, martedì due ottobre, deporrà lo stesso Gabriele. Poi verranno sentiti i testimoni, tra cui il segretario personale di Benedetto XVI, mons. Georg Gaenswein. Il processo - è l'auspicio espresso dal presidente del tribunale, Giuseppe Dalla Torre - potrebbe esaurirsi nel giro di altre quattro sedute, comunque entro la prossima settimana. Prima che si celebrino due appuntamenti molto attesi in Vaticano, l'avvio del sinodo sulla nuova evangelizzazione, il sette ottobre, e l'avvio dell'anno della fede, l'undici ottobre.
In una sala del tribunale 15 metri, alla presenza di un pubblico composto da un 'pool' di dieci giornalisti e pochi altri dipendenti vaticani, Paolo Gabriele è apparso "impassibile". Completo grigio chiaro, ben rasato, l'ex assistente di camera di Benedetto XVI è entrato salutando silenziosamente, poi si è seduto su una panca alla destra dello scranno dei giudici e, sempre silenziosamente, ha seguito la prima udienza braccia spesso conserte, pochi segni di nervosismo, lo sguardo a tratti assente. Solo durante la pausa per la camera di consiglio - con un colloquio fitto e qualche risata - con la sua avvocata, Cristiana Arru, e l'avvocato dell'altro imputato assente. La seduta, iniziata alle 9.30, si è conclusa alle 11.50 ed è stata interrotta per un'ora e venti, dalle 10.20 alle 11.40, per la camera di consiglio. Durante la seduta il comandante dei gendarmi vaticani, Domenico Giani, ha precisato che presso le abitazioni di Paolo Gabriele sono stati sequestrati documenti e file informatici che hanno riempito 82 scatoloni di cartone. Tra le tante carte, anche quelle trafugate o fotocopiate nel Palazzo apostolico.
Nella mattinata di oggi il collegio giudicante (composto dal presidente Dalla Torre e dai giudici Paolo Papanti-Pelletier e Venerando Marano) ha preso in esame - e per lo più respinto - le eccezioni sollevate dagli avvocati Cristiana Arru (legale di Paolo Gabriele) e Gianluca Benedetti (legale dell'assente Sciarpelletti) e contestate dal pm Nicola Picardi. L'avvocata Arru - unica rimasta a difendere il maggiordomo del Papa dopo la defezione improvvisa, questa estate, dell'altro legale, il focolarino Carlo Fusco - ha avanzato alcune contestazioni tanto raffinate da un punto di vista giuridico quanto difficili da accogliere per i giudici vaticani. Cristiana Arru ha chiesto l'annullamento della sentenza di rinvio a giudizio, ha contestato l'incompetenza del collegio giudicante, ha chiesto una planimetria dello studio del segretario del Papa. Tutte istanze rigettate, come è stata respinta la richiesta di acquisire nel dibattimento le testimonianze rese sul caso Vatileaks ad una commissione cardinalizia creata 'ad hoc' dal Papa. La commissione, ha ricordato il presidente del tribunale, è stata istituita secondo l'ordinamento canonico con l'incarico di riferire esclusivamente al Pontefice, per cui non ha rilevanza per l'ordinamento vaticano. "Me lo aspettavo", ha ammesso l'avvocata ai cronisti che le hanno potuto rivolgere una domanda. Bocciata - in quanto infondata - anche la contestazione che l'avvocata ha avanzato nei confronti di una telecamera installata sul pianerottolo di casa di Paolo Gabriele. Il dispositivo, ha argomentato il tribunale, era stato autorizzato dalle competenti autorità l'otto giugno (Paolo Gabriele era stato arrestato il 23 maggio).
L'avvocata Cristiana Arru ha poi chiesto di espungere alcune delle prove documentali che erano state inserite nel fascicolo. Per alcune di essere il tribunale vaticano ha acconsentito. In particolare, salta un articolo apparso settimane fa sul quotidiano tedesco 'Die Welt' nel quale il giornalista Paul Badde focalizzava la propria attenzione sul coinvolgimento dell'ex segretario di Ratzinger Josef Clemens, della sua ex governante Ingrid Stampa e e dell'ex 'ghostwriter' del Pontefice Paolo Sardi. Espunti anche i due interrogatori che il comandante dei gendarmi Domenico Giani ha condotto con Paolo Gabriele nella cella di sicurezza della caserma della gendarmeria senza la presenza degli avvocati, nonché il colloquio avuto tra lo stesso Giani e mons. Georg Gaenswein a proposito della possibilità di riscuotere un assegno di centomila euro intestato al Papa e rinvenuto a casa di Paolo Gabriele. Al processo a carico di Paolo Gabriele è prevista la testimonianza di otto persone: il segretario del Papa, mons. Ganswein, Cristina Cernetti, una delle quattro 'memores domini' (laiche consacrate di Comunione e liberazione) che servono il Papa in appartamento, e sei gendarmi vaticani: Giuseppe Pesce, Costanzo Alessandrini, Luca Cintia, Stefano De Santis, Silvano Carli, Luca Bassetti.
Il tribunale vaticano, oggi, ha accolto la richiesta sollevata dall'avvocato del coimputato Sciarpelletti, Gianluca Benedetti, di stralciare la propria posizione. Sciarpelletti, al contrario di Paolo Gabriele, si dichiara "non colpevole". E' stato arrestato in Vaticano per una notte il 25 maggio perché trovato in possesso di una busta con alcuni documenti "non riservati", ha precisato il legale, una "corrispondenza mail" e un "libello inqualificabile" ossia - lo aveva rivelato la requisitoria del 'promotore di giustizia' (pm) Nicola Picardi - "una relazione dal titolo 'Napoleone in Vaticano' riprodotta da Nuzzi nel volume 'Sua Santità'" e relativa alla gendarmeria vaticana. In un primo momento - è sempre la ricostruzione del pm - Sciarpelletti aveva affermato che la busta (con timbro a secco sul retro della segreteria di Stato ufficio Informazioni e documentazioni) gli era stata consegnata da Paolo Gabriele, poi ha rettificato dicendo che gli era invece stata consegnata da un monsignore - coperto per omissis dalla lettera W - per Paolo Gabriele. In questo senso, ha sostenuto il suo avvocato, il tecnico informatico ha indirizzato gli inquirenti verso Paolo Gabriele e il favoreggiamento si configurerebbe, di conseguenza, a carico del monsignore. "Tra me e Paolo Gabriele non c'era una grande amicizia, ma ci conoscevamo e scambiavamo opinioni", ha peraltro puntualizzato Sciarpelletti per bocca del suo legale.
Al processo - rinviato - a carico di Sciarpelletti sono previsti cinque testimoni: lo stesso maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, il vicecomandante della Guardia svizzera William Kloter, il comandante della gendarmeria vaticana Domenico Giani e il gendarme Gianluca Gauzzi Broccoletti (citati entrambi in 'Napoleone in Vaticano) e mons. Carlo Polvani. Quest'ultimo è responsabile informazione della segreteria di Stato vaticana nonché nipote di quel mons. Carlo Maria Viganò che, oggi nunzio apostolico negli Stati Uniti, contestò l'anno scorso la decisione del cardinale Tarcisio Bertone di allontanarlo dalla segreteria del governatorato vaticano con lettere di denuncia della corruzione presente in Vaticano che finirono sui giornali italiani e costituirono l'antefatto del caso Vatileaks.
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