Il coraggio della testimonianza
di Mario Ponzi
«Io ci credo fermamente: questo documento, il messaggio che contiene, aiuterà tantissimo la Chiesa che è in Iraq. L'aiuterà a capire cosa è urgente fare per dare maggiore forza ai cristiani, e aiutarli così a riacquistare il coraggio della testimonianza». Monsignor Louis Sako, arcivescovo di Kerkūk dei Caldei, quando domenica scorsa, 16 settembre, ha ricevuto a Beirut dalle mani del Papa, una copia dell'esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente -- rappresentava l'assemblea dei vescovi cattolici dell'Iraq -- l'ha appoggiata sul cuore e l'ha stretta forte, mentre scambiava alcune parole con Benedetto XVI. «È stato un gesto spontaneo -- ha detto nell'intervista rilasciata al nostro giornale -- perché credo in questo documento».
Con quali sentimenti ha accolto il dono dell'esortazione apostolica dalle mani del Papa?
Ho provato una sensazione molto forte. E ringraziandolo gli ho espresso la mia certezza che con quel documento la nostra Chiesa stava entrando in una nuova primavera.
E il Papa cosa le ha risposto?
Mi ha detto che questa era la sua stessa speranza. Soprattutto per il bene della Chiesa in Iraq e in tutto il Medio Oriente.
Da dove viene questa sua convinzione?
Dall'esperienza avuta nei giorni dell'assemblea sinodale a Roma, nell'ottobre 2010. Ho vissuto quell'avvenimento con tanta speranza. Per la prima volta noi, patriarchi e vescovi della Chiesa mediorientale, ci siamo ritrovati tutti insieme. Ci siamo parlati con franchezza per più di due settimane e abbiamo riflettuto a lungo sui nostri problemi, sulle sfide poste dalla drammatica situazione in cui vivono i cristiani in tutto il Medio Oriente, e abbiamo cercato di capire cosa avremmo potuto e dovuto fare. Abbiamo trovato l'aiuto e il sostegno di tutta la Chiesa. Ora il Papa ci ha dato quella che lui stesso ha definito una guida per tracciare il nostro cammino futuro. Ecco perché l'ho stretta forte tra le mani appena me l'ha consegnata.
In cosa questo documento potrà aiutare la Chiesa in Iraq?
Per come è stato accolto da tutti i fedeli indistintamente, io credo che potrà rivelarsi fondamentale. Lo mediteremo a fondo in seno alle nostre comunità. Ciò che mi auguro più di ogni altra cosa è che esso faccia cadere le barriere che dividono ancora i cristiani, perché solo riscoprendo l'unità tra noi potremo poi abbattere anche quelle che ci separano dai musulmani.
E per ciò che riguarda l'emorragia dei cristiani dal Paese?
La situazione dei cristiani in Iraq oggi è veramente drammatica. Ma se ci si dovesse fermare alla realtà delle cose a livello della vita quotidiana, del rapporto esistente tra la gente comune, che riesce a convivere pacificamente nonostante le diversità, sarebbe veramente difficile spiegarsi il perché di tante tragedie.
Lei che idea si è fatta?
Che tanti comportamenti violenti non appartengono alla maggioranza della gente irachena. Ciò che accende gli animi è qualcosa che viene da altre parti, da altri interessi.
Cosa le è rimasto più impresso dell'esperienza vissuta in questi giorni in Libano accanto al Papa?
Intanto l'accoglienza che ha ricevuto da tutti, indistintamente. Poi l'incontro con i giovani e quanto è seguito. È stato emozionante vedere il futuro della nostra terra esprimersi nell'entusiasmo di tanti giovani uniti da un unico ideale, sentirli parlare davanti al Papa definendosi non giovani libanesi, né giovani siriani, né giovani iracheni, ma giovani della Chiesa. A livello più spirituale direi che l'esperienza più toccante per me è stata la preghiera che, proprio dopo l'incontro con i giovani, abbiamo recitato insieme con il Papa nella cappella del patriarcato maronita. È stato un momento di grande spiritualità. Al termine Benedetto XVI ci ha raccomandato di continuare a pregare, a pregare insieme e anche con i musulmani. I cristiani, ha detto, sono aperti a tutti. Anzi, il cuore aperto di Gesù, ha specificato, è la vera identità della Chiesa, mentre il suo vero volto è quello che ama. E infine ci ha confortato ripetendoci che, se anche la situazione è difficile, non dobbiamo scoraggiarci, perché sappiamo bene che Cristo ha vinto il mondo. Siamo usciti sicuramente rafforzati da quell'incontro. Tornando in patria ne farò partecipi i cristiani iracheni perché anche loro riscoprano nuovo coraggio.
(©L'Osservatore Romano 29 settembre 2012)
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