Nella capitale libanese la messa conclusiva del viaggio celebrata da Benedetto XVI
Il coraggio della fede
dal nostro inviato a Beirut Mario Ponzi
Un Papa tanto simile al Cristo sofferente, al Cristo servitore e non liberatore politico onnipotente, come lo racconta l'evangelista Marco mentre ai discepoli, curiosi di comprendere sino in fondo la sua identità, chiede in tutta umiltà: «e voi chi dite che io sia?».
Così Benedetto XVI si è presentato alla folla riunita per la messa al City Center Waterfront di Beirut la mattina di domenica 16 settembre, data destinata a entrare nella storia del Libano e del Medio Oriente, qualsiasi cosa accada a partire già da domani.
Parlava alle migliaia di persone che aveva davanti, ma il suo pensiero andava oltre; là dove ancora oggi si combatte e si muore. Era come se avesse di fronte a sé l'intera popolazione mediorientale. Popoli per i quali ha sfidato dubbi, perplessità, paure rivelatesi fortunatamente ingiustificate. Popoli che hanno bisogno di gente capace di prendere su di sé la croce di Cristo e di farsi servitore. Benedetto XVI ha preso sulle sue esili spalle le croci di quanti soffrono in ogni angolo di questa terra e le ha portate coraggiosamente dinanzi al mondo. Ha parlato della forza redentrice di ognuna di quelle croci, ha chiesto a tutti, potenti e non, di farsi servitori di quella pace e di quella riconciliazione che quelle croci reclamano silenziose. Solo così ogni sofferenza, ha detto, non sarà vana.
Si scriveranno forse pagine e pagine sul viaggio del Papa in Libano, appena concluso. Ognuno avrà qualcosa da dire, da osservare. Quel che resta però è l'immagine, disarmante per la sua semplicità, di un uomo di Dio che è venuto con grande coraggio a parlare di pace nel cuore di una terra in cui ogni giorno si ode il crepitio delle armi, a seminare comunione e amore tra chi vacilla assalito dalla disperazione.
«Purtroppo -- ha detto prima di recitare l'Angelus -- il fragore delle armi continua a farsi sentire, come pure il grido delle vedove e degli orfani! La violenza e l'odio invadono la vita, e le donne e i bambini ne sono le prime vittime. Perché tanti orrori? Perché tanti morti?». E si è rivolto a quanti hanno nelle mani il futuro di questa gente, per implorare di aiutare a capire che per costruire la pace bisogna «smettere di vedere nell'altro un male da eliminare».
Quale sarà il domani è difficile da prevedere. Ma almeno per questa domenica la pace ha mostrato il suo volto smagliante in un angolo di terra comunque benedetta. La gente ha compreso l'accoramento del Pontefice e ha fatto festa attorno a lui, quasi a confortarlo. Una festa che è andata avanti tutto il giorno, il primo e unico trascorso da Benedetto XVI a Beirut. La nunziatura, sua residenza in queste giornate, si trova ad Harissa, a oltre trenta chilomentri dalla capitale e tutti gli incontri, sino a domenica, si erano svolti in altre località.
Città straordinaria Beirut. Durante il tragitto percorso dal corteo ha mostrato al Papa ciò che ha di più bello, la spontaneità della gente. Enorme la quantità dei poster che tappezzavano strade e piazze percorse. Ovunque in città campeggiava la scritta «Pax vobis», lo slogan della visita. Finestre e terrazzi erano addobbati con sgargianti drappeggi con i colori del Vaticano e del Libano. E certamente erano esposti non solo su case abitate da cristiani; tra l'altro a Beirut la maggioranza della popolazione è musulmana.
Cose certamente già viste altrove, ma che in Libano hanno assunto un tono diverso per la straordinaria armonia che ha caratterizzato ogni manifestazione d'entusiasmo. Un po' ovunque, anche nelle più semplici forme di omaggio all'ospite, si è notata la sottile eleganza innata nel popolo libanese. E la capitale rispecchia in tanti aspetti questa eleganza.
Adagiata sulle rive del Mediterraneo, circondata da campagne fertili e da colline sempre verdi, è solitamente animata da un'impressionante vita sociale, economica e culturale; caratterizzata da uno stile di pacifica convivenza tra persone diverse per fede e tradizioni. Tutto sembra muoversi con straordinaria efficienza, accompagnata dalla amabilità della gente; tanto da far sentire veramente ognuno come fosse a casa sua.
È bella e singolare Beirut. Ci sono uffici e palazzi maestosi, alberghi da far invidia ai più rinomati centri turistici, accanto a memorie storiche che raccontano pagine ultramillenarie, anche dolorose.
Straordinariamente la gente è come non mai espressiva delle diverse dimensioni che qui si incrociano e, nonostante gli echi della guerra alle porte di casa, non manca di mostrare il volto di un popolo che ha fatto della concordia uno stile di vita, del sorriso un modo di interpretare la quotidianità.
Tutto questo è stato portato domenica mattina ai piedi dell'altare eretto nel City Center Waterfront, un terreno recuperato dal mare con la terra di riporto e le macerie dei palazzi abbattuti dalla furia della guerra. Oltre trecentocinquantamila i presenti. In prima fila il presidente della Repubblica -- non è mancato a nessuna cerimonia -- con la consorte e le più alte cariche dello Stato. Numerosi anche i fedeli giunti da diverse parti del Medio Oriente.
Benedetto XVI è stato accolto al suo arrivo dal sindaco, che gli ha offerto le chiavi della città. All'altare è salito con i prelati del seguito e circa trecento patriarchi e vescovi, mentre centinaia di sacerdoti in camice bianco facevano corona ai piedi della mensa eucaristica. Il saluto liturgico è stato presentato dal patriarca Béchara Boutros Raï. La messa è stata celebrata in francese, in arabo e in latino.
L'immagine più significativa che resta di questa giornata è forse lo sfilare, al termine della celebrazione, di quindici patriarchi e vescovi del Medio Oriente, tra i quali i presidenti delle Conferenze episcopali di Turchia e Iran; di cinque laici, tra i quali una portatrice d'handicap e un rappresentante dei rifugiati che hanno trovato assistenza in Libano, e di tre religiosi, per ricevere dalle mani del Papa un libricino con su scritto semplicemente Ecclesia in Medio Oriente, l'esortazione post-sinodale che Benedetto XVI è venuto a portare loro. Ognuno, discendendo dall'altare, serrava il libretto tra le mani tradendo ora emozione, ora gioia, ora perplessità per un futuro comunque difficile. E c'era anche un po' di preoccupazione per la grande responsabilità che il Papa aveva appena messo nelle loro mani, anche quella di guardare seriamente all'interno della propria casa per vedere, capire.
Si è compiuto così il momento culminante di questa visita. Il più significativo, il più importante per la Chiesa in queste terre, chiamata a riaccendere quella speranza di cui è portatrice, a rinvigorire la forza di cui necessita per affiancare un popolo che ha estremamente bisogno della sua vicinanza. A Nostra Signora del Libano, durante l'Angelus, il Pontefice ha quindi affidato gli sforzi di quanti da oggi ripartiranno alla ricerca del dono della pace, in particolare in Siria. Alla Vergine «domandiamo -- ha detto -- di intercedere presso il suo Figlio divino per voi e, in modo particolare, per gli abitanti della Siria e dei Paesi vicini implorando il dono della pace». Ma perché ciò diventi possibile Benedetto XVI ha chiesto aiuto ai libanesi prima di ripartire nel tardo pomeriggio domenicale alla volta di Roma. Li ha esortati a «fortificare la comunione tra tutti gli abitanti, qualunque sia la loro comunità e la loro religione» e a rifiutare risolutamente «tutto ciò che potrebbe condurre alla divisione». Missione che i libanesi sono pronti a portare avanti, soprattutto dopo aver mostrato in questi giorni al mondo intero che, «pur in questi tempi agitati» come li ha definiti il Papa, i cristiani e i musulmani possono unirsi «per celebrare la pace». Benedetto XVI ha lasciato Beirut alle 19 circa. Poco dopo le 22 il rientro a Castel Gandolfo.
(©L'Osservatore Romano 17-18 settembre 2012)
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