venerdì 14 settembre 2012

Il viaggio del Papa in Libano nel commento di Giacomo Galeazzi


Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il Papa va in Libano a difendere i cristiani

Una difficile missione politica sotto il segno della pace “La pluralità non è un pericolo”. Vedrà tutti i capi religiosi

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ’ DEL VATICANO


Il 24° viaggio internazionale di Benedetto XVI doveva essere una visita religiosa. "Sarà anche una missione politica", riconosce il ministro vaticano per il dialogo con le altri fedi, Jean Louis Tauran. Mettendo il suo viaggio «sotto il segno della pace», il Papa parte stamattina per una delle trasferte più difficili del pontificato che lo catapulta, in una fase delicatissima, al centro di un groviglio di fedi, etnie, tensioni. A 85 anni Benedetto XVI vola in Libano, a un passo dalla sanguinosa guerra civile siriana, con centinaia di migliaia di profughi nell’area, con un ambasciatore americano ucciso in un assalto terrorista alla sede diplomatica di Bengasi, l’Egitto e altri paesi arabi percorsi da manifestazioni contro un film su Maometto prodotto negli Stati Uniti. "Vivere insieme non è una utopia e la pluralità non è sinonimo di pericolo", afferma Tauran con un occhio alla «primavera araba» i cui sviluppi hanno portato in Marocco, Tunisia ed Egitto, a maggioranze islamiche. L'appello papale sarà rivolto a tutte le parti ("si oppongano alla violenza") e alla comunità internazionale ("si impegni per la pacificazione)" affinché i cristiani possano restare in Medio oriente per contribuire alla convivenza. Sarà un blitz di 60 ore: il Papa visiterà Beirut/Harissa, Baabda Bzommar e Charfet, incontrerà autorità politiche e istituzionali, corpo diplomatico, capi delle comunità religiose musulmane, capi religiosi e rappresentanti della cultura e parteciperà anche ad un incontro ecumenico e ad un incontro con i giovani. Malgrado le crisi in atto, Joseph Ratzinger non ha desistito dalla sua idea: andare in Libano a sostenere i cristiani del Medio oriente, consegnare a popoli e autorità il testo della esortazione sulla Chiesa in Medio oriente, incoraggiare la convivenza, rilanciare il dialogo interreligioso e interculturale, tema sottolineato mercoledì dal portavoce Federico Lombardi, condannando le «offese» ai simboli religiosi dell’islam. 
La Santa Sede ieri ha rinnovato la sua «ferma condanna» per l’assassinio dell’ambasciatore a Bengasi. Il pellegrinaggio in Medio Oriente avviene sulle orme di Giovanni Paolo II che definì il Libano un «messaggio». Certo è un caso unico nel Medio oriente: ci sono esponenti cristiani nel governo, una architettura istituzionale complessa garantisce diritti a tutte le componenti religiose ed etniche. Inoltre è l’unico Paese dell’area in cui ciascuno è libero di professare la sua religione e libero di cambiarla, e comprende sul suo territorio l’insieme delle religioni e delle confessioni che si conoscono nel vicino oriente. Quattro patriarchi cattolici vi hanno la loro residenza principale: i capi delle chiese maronita, greca, armena e siriaca. Le chiese caldea e latina sono ugualmente rappresentate dai vescovi. 
L'Islam libanese è sciita, sunnita, alawita e druso. E da due anni il governo ha introdotto la festa della Annunciazione come festa «nazionale cristiano-islamica». Però è anche un governo filo-Assad. 
Il gesuita Paolo Dall'Oglio, scampato per miracolo agli eccidi siriani, prega perchè "non vinca il silenzio diplomatico". E' un viaggio "rischiosissimo", ammette:"Ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio potranno diventare una pietra di costruzione di una nuova società o essere strumentalmente utilizzati per rinfocolare odii atavici e conflitti religiosi". 
Una visita
"pericolosa" ma con le parole di Benedetto XVI "la testimonianza della verità sarà più chiara e queste parole aiuteranno le parti più sensibili alla posizione della Chiesa a prendere le decisioni necessarie", sostiene Dall'Oglio.

© Copyright La Stampa, 14 settembre 2012

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