Monsignor Soueif all'incontro della Comece
I cristiani in Medio Oriente presenza da proteggere
Bruxelles, 27. «Ci vuole tempo per vedere i frutti della cosiddetta “primavera araba”. È necessario avere pazienza». È questo il convincimento che monsignor Antoine Youssef Soueif, di origini libanesi, arcivescovo di Cipro dei Maroniti, ha espresso ieri a Bruxelles, nella sede della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), presentando l'esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente. Nel concludere il dibattito attorno alla questione mediorientale e alla presenza e partenza dei cristiani da queste terre, l'arcivescovo ha affermato che «adesso è il momento giusto per essere presenti, per dialogare, per lavorare attraverso le istituzioni sociali, culturali e l'esercizio della cittadinanza».
Occorre fare presto perché i due terzi della comunità cristiana sono sotto minaccia in Iraq, in Siria e altrove. Spesso sono costretti a lasciare le proprie case in cerca di una maggiore sicurezza, per cercare lavoro, per sentirsi anche psicologicamente più protetti. Una condizione che impoverisce tutti: la Chiesa, le comunità locali, la società civile. «I mass media -- ha commentato -- non aiutano a creare consapevolezza sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente», anche per questo «occorre rafforzare le iniziative di pellegrinaggi, gemellaggi, legami tra le Chiese in Europa e le Chiese locali per conoscere, sostenere, incoraggiare».
«L'esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente traccia una road map che servirà per i prossimi 20-25 anni, per il tempo che sarà necessario a raggiungere la maturità» ha sottolineato l'arcivescovo Soueif. I temi di cui Benedetto XVI scrive nel secondo capitolo del documento, ha spiegato, rappresentano delle sfide positive molto alte: «L'ecumenismo spirituale e del servizio, il dialogo interreligioso nella sua dimensione di dialogo della e nella vita quotidiana, la “sana laicità”, la libertà religiosa» e, parafrasando il n. 28 del documento post-sinodale, ha affermato: «Se il Medio Oriente imparasse a vivere la fratellanza universale diventerebbe anche una esperienza positiva per il mondo intero».
Il presule ha quindi raccontato di come, nella ordinarietà della vita e degli incontri, «i musulmani ci dicono che la nostra presenza è un bisogno per loro perché esprime la possibilità di un dialogo», e che «nonostante le divisioni, le esperienze in comune sono molto ricche e vive».
Secondo l'arcivescovo, uno dei frutti del Sinodo è stato il fatto che Benedetto XVI abbia scelto come titolo per il suo viaggio in Libano la frase di Gesù risorto «Vi dono la pace», a indicare che nella regione «è necessaria la pace politica, ma soprattutto è necessaria la pace dei cuori, interiore, che è un dono di Gesù per tutti». E a chi nel dibattito ha chiesto quali fossero le reazioni, la disponibilità delle altre comunità a questi inviti, il presule ha risposto: «Credo nel valore del prendere iniziative, nel rispetto per le diverse sensibilità, sempre pronti al dialogo, anche in settori diversi come la musica, l'arte, la dimensione sociale. Prudenti, ma aperti».
Un esempio di questa prudenza, è stato rintracciato ad esempio nel fatto che l'esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente non usi mai il termine «democrazia», ma faccia riferimento ai valori di libertà, cittadinanza, rispetto della dignità umana e di diritti fondamentali, anche presenti nelle altre culture e religioni.
(©L'Osservatore Romano 27 settembre 2012)
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