lunedì 24 settembre 2012

Dalla tolleranza alla libertà. Le ragioni dell'appello di Benedetto XVI nella ''Ecclesia in Medio Oriente'' (Sir)


Dalla tolleranza alla libertà

Le ragioni dell'appello di Benedetto XVI nella ''Ecclesia in Medio Oriente''

Un viaggio frutto di una decisione coraggiosa, vista la confinante crisi siriana, e che si è rivelato un successo anche mediatico. E un’Esortazione post-sinodale altrettanto coraggiosa che, come annotato da diversi analisti, rappresenta una testimonianza che va oltre i limiti di una tradizionale, diplomatica, prudenza. Cartina al tornasole di questa testimonianza è il dettagliato passaggio relativo al dialogo con i musulmani (punti 23-28, ndr), che s’innesta nelle questioni della libertà e della tolleranza religiosa come anche in quella della sana laicità. Benedetto XVI, nel suo viaggio in Libano (14-16 settembre) e nell’Esortazione firmata e consegnata ai vescovi e ai patriarchi del Medio Oriente, ha chiesto il superamento del fondamentalismo da parte di tutte le religioni e l’accoglienza dell’altro in nome del diritto e del rispetto della persona umana. Il ruolo della religione all’interno della società, il tema della cittadinanza e della laicità, tuttavia, superano i confini del Medio Oriente e dicono qualcosa anche all’Occidente. Daniele Rocchi, per il Sir, ne ha parlato con Silvio Ferrari, docente di diritto e religione alle Università di Milano e Leuven (Belgio). 

Come giudica il documento post-sinodale e cosa l’ha colpita maggiormente?

“Relativamente alle questioni legate ai temi del diritto e della libertà, tratteggiate nell’Esortazione dal punto 23 al 28, mi pare che l’Esortazione sia interessante sotto due profili: da un lato, la struttura del discorso e, dall’altro, le sue conseguenze. La struttura mi pare basata su tre blocchi: il riconoscimento di comuni radici religiose, ebrei, cristiani e musulmani; la libertà religiosa che è un diritto universale ma che viene riconosciuto dai credenti attraverso la loro tradizione religiosa; il richiamo alla sana laicità”. 

Per ciò che riguarda, invece, le conseguenze di questo discorso?

“Direi che non è frequentissimo un discorso che arrivi a proporre la laicità. Abbiamo avuto tutta una serie di documenti pontifici che sottolineavano l’importanza della libertà religiosa, ma proporre come estrinsecazione politica della libertà religiosa la sana laicità e proporla oggi in Medio Oriente mi pare un qualcosa di abbastanza nuovo e di molto coraggioso. Di ‘sana laicità’ aveva già parlato Giovanni Paolo II, l’11 dicembre del 1993, al IX Colloquio internazionale romanistico canonistico promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Ma un conto è parlarne a degli studiosi, altro è parlarne alla realtà sociale e civile mediorientale. Il rapporto tra politica e religione in questo tempo è quanto mai sul filo del rasoio”.

Un rapporto precario non solo in Medio Oriente ma anche in Occidente. Benedetto XVI ha voluto lanciare messaggi anche all’Occidente? 

“Il Papa parla ai cristiani per farsi capire dai musulmani ma parla ogni tanto anche ai musulmani per farsi intendere dai cristiani. Per esempio quando afferma che il diritto di libertà religiosa include la possibilità di manifestare liberamente la propria religione e i propri simboli. Dietro questo rilievo non c’è solo tutto il problema della possibilità dei cristiani di aprire le chiese in Medio Oriente ma anche, credo, la questione dei simboli religiosi e della loro presenza nello spazio pubblico europeo. Discorso che si è fatto ancora più attuale dopo le proteste violente dei musulmani contro il film ‘L’innocenza di Maometto’, che si aggiunge alle questioni del crocifisso nelle aule scolastiche, della proibizione di costruire minareti in Svizzera, del divieto del burka in Francia. C’è tutta una dialettica in corso tra un’idea di laicità rigida, un po’ escludente delle religioni e una più inclusiva che mantenendo la distinzione tra politica e religione ammette la possibilità che la politica si nutra dei contributi che vengono dalle religioni”.

Benedetto XVI parla anche della necessità di passare dalla tolleranza religiosa alla libertà religiosa, anche questo è un nodo non facile nel rapporto islamo-cristiano…

“Il Papa parla in modo netto del fatto che la tolleranza religiosa sia insufficiente perché non impegnativa, non vincolante, mentre il diritto per la libertà di religione lo è. Il Pontefice afferma in modo chiaro che la libertà di religione prevede il diritto di seguire la propria coscienza in materia di religione e, quindi, di operare le scelte religiose che sono dettate dalla coscienza individuale. Anche questo è molto coraggioso. Da qui, infatti, discende il diritto di cambiare religione senza incorrere in sanzioni penali o in conseguenze negative di tipo civile, che è ancora uno dei problemi aperti, il diritto di avere i propri luoghi di culto, e le proprie funzioni sociali come ospedali, scuole, centri sociali che sono menzionati dal Papa nell’Esortazione. Mi è piaciuto il fatto che per affermare tali cose il Papa abbia voluto sottolineare il diritto di religione come un diritto della coscienza, radicato in ogni uomo”.

Passare dalla tolleranza alla libertà religiosa significa passare anche alla piena cittadinanza ora negata in molti Paesi a maggioranza musulmana? 

“La tolleranza genera la cittadinanza di seconda classe, perché la tolleranza religiosa permette di professare la propria fede però dentro determinati limiti. Non si è titolari degli stessi diritti e doveri degli altri cittadini. Si è in situazione protetta ma di inferiorità. Se si parte dalla prospettiva del diritto della libertà di religione, in quanto radicato nella dignità dell’uomo, allora questa cittadinanza di seconda classe dovuta alla religione professata da una persona non può stare in piedi. Si parla di diritti della persona che spettano alla persona in quanto tale”.

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