L'arrivo del Pontefice nella capitale libanese
Amico di tutti
dal nostro inviato a Beirut Mario Ponzi
Non lascia dubbi Benedetto XVI. È arrivato in Libano, ma -- e lo dice subito, appena giunto poco dopo le 13.30 di questa mattina, venerdì 14 settembre, all'aeroporto di Beirut -- è come se fosse venuto a visitare «simbolicamente tutti i Paesi del Medio Oriente». Ed è venuto «come pellegrino di pace, come amico di Dio, e come un amico di tutti gli abitanti di tutti i Paesi della regione, qualunque sia la loro appartenenza e il loro credo». Non sono parole di circostanza. Sono parole che caratterizzano subito la visita, al di là dell'ufficialità, come testimonianza disinteressata di un sentimento che ignora le asprezze della potenza e la complessità della diplomazia laddove un popolo soffre per l'ennesimo momento drammatico, uno dei tanti per la verità, che segna la vita della martoriata regione mediorientale.
È arrivato qui «a mani vuote» -- come amava ripetere Paolo VI -- di strumenti politici o militari, ma ricco di condivisione, di saggezza, di esperienza umana. E ha scelto il Libano come porta d'ingresso, perché notoriamente terra di convivenza pacifica, di armoniosa coesistenza nel rispetto dei diritti di tutti. Un esempio, si vorrebbe, per tutti i popoli di questa stanca regione. E invece è un modello che fatica a uscire dai propri confini e che addirittura rischia di esporre il fianco alle correnti contrarie che spirano alle porte.
Quanti sono all'aeroporto per accoglierlo -- personalità religiose, autorità civili e religiose ma anche tanta, tanta gente comune -- non faticano a comprenderlo. Seguono il suo discorso e annuiscono. Sembrano condividerne ogni singola parola. E non sono tutti cattolici, né tutti cristiani. È innegabile che, seppure la motivazione della visita sia la firma e la consegna del documento post-sinodale dell'assemblea speciale per il Medio Oriente celebratasi nel 2010, sulla figura del Papa si appuntino oggi attese e speranze che vanno ben al di là della dimensione esclusivamente ecclesiale di questo viaggio. Inequivocabili del resto, in questo senso, le dichiarazioni rilasciate da esponenti di diversa estrazione religiosa o politica già all'indomani del primo annuncio della visita di Benedetto XVI, e rinnovate nelle espressioni di benvenuto all'illustre visitatore, affidate ai principali quotidiani libanesi in edicola questa mattina. Lo stesso presidente Michel Sleiman, nel suo discorso di benvenuto, ha sottolineato la specificità di quella «formula libanese» che -- nata sulle rovine della tragica guerra durata circa sedici anni (1975-1990), che ha messo in pericolo persino la stessa esistenza dello Stato -- ancora oggi resiste nonostante tutto e consente la convivenza pacifica di diverse comunità cristiane e musulmane.
Sarà forse anche per questo che negli striscioni e nei manifesti dedicati al Papa nelle vie di Beirut a volte è difficile leggere, oltre al messaggio, la firma nascosta. Unica la speranza che anima questa gente, identico il desiderio della pace che invoca da Benedetto XVI. Nessuno reclama qualcosa per sé o per la propria comunità, né affiora alcuno spirito di rivalsa. Sta di fatto che l'accoglienza al Papa è calorosa e senza distinzioni.
Breve e garbatamente coreografica la cerimonia di benvenuto presso l'aeroporto internazionale dedicato da alcuni anni a Rafiq Hariri, musulmano sunnita che ha legato fortemente il suo nome alla storia del Libano per essersi tra l'altro adoperato instancabilmente per preparare gli accordi di Ta'if, grazie ai quali fu possibile mettere fine alla guerra civile. Hariri fu assassinato nel corso di un attentato nel 2005.
L'inizio della visita del Pontefice è stato annunciato in tutto il Paese dal suono argentino delle campane di ogni chiesa, così come avevano chiesto i vescovi nei giorni della vigilia. Sull'aereo, parcheggiato proprio dinanzi al padiglione presidenziale, sono saliti l'arcivescovo Gabriele Caccia, nunzio apostolico in Libano, e il capo del protocollo libanese. Ai piedi della scaletta attendevano il Pontefice il patriarca Béchara Boutros Raï, il presidente Sleiman con la consorte e le più alte cariche dello Stato, numerosi patriarchi e vescovi del Libano, autorità religiose, membri del Corpo Diplomatico.
Dopo il tradizionale omaggio floreale da parte di due bambini, il Papa e il presidente hanno raggiunto a piedi il palco, dal quale hanno pronunciato i loro discorsi. Il presidente ha parlato in arabo. Il Pontefice ha risposto in francese, anche se non sono mancate citazioni in arabo, soprattutto quando si è trattato di ripetere le parole di Cristo divenute il motto della visita: «Vi do la mia pace».
Conclusi i discorsi, il Papa e il capo dello Stato si sono recati nella sala presidenziale dell'aeroporto, per un primo incontro privato durato alcuni minuti. All'esterno della sala si notavano le due targhe che ricordano la presenza in questo stesso luogo di altri due pontefici: Paolo VI il 2 dicembre 1965, anche se per lui fu solo uno scalo lungo il pellegrinaggio in Terra Santa; e Giovanni Paolo II il 10 maggio 1997. E già è pronto il posto per collocare la terza targa ricordo. Porterà la data odierna del 14 settembre 2012.
Concluso il cerimoniale, il Papa si è diretto in automobile verso la nunziatura apostolica, sua residenza durante la permanenza in Libano. La sede della nunziatura è ad Harissa, cittadina posta su una collina sempreverde a circa 37 chilometri dall'aeroporto di Beirut. Ha avuto l'onore di accogliere anche Giovanni Paolo II il 10 maggio di quindici anni fa, ospitando l'incontro con i giovani.
Il percorso, tranne i primi due chilometri, è stato abbastanza veloce. Tuttavia si è potuto avere un anticipo di quella che sarà la festa libanese di questi giorni: in uniforme blu, un nutrito gruppo di studenti musulmani di tutte le età -- le studentesse con il caratteristico chador -- sventolava bandiere in segno di festa al passaggio del corteo; più avanti su uno striscione si poteva leggere in arabo e in francese «Gli Hezbollah salutano Benedetto XVI messaggero di pace».
(©L'Osservatore Romano 15 settembre 2012)
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