L’apertura dell’anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano
Fra tradizione e innovazioni
Mario Ponzi
Una progressiva trasformazione dello Stato della Città del Vaticano da «Stato apparato» a «Stato di diritto». A notarla è il promotore di giustizia del Tribunale vaticano Nicola Picardi nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2012 tenuta questa mattina, sabato 14 gennaio, dopo la messa presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nella cappella del Governatorato. Una trasformazione — sottolinea la relazione — dovuta in gran parte alle recenti normative di Benedetto XVI a proposito del contenzioso nel pubblico impiego e alla parziale revisione del diritto penale nei settori economico-finanziario e monetario. Una sorta di autolimitazione dello Stato vaticano che ha sottoposto «se stesso al proprio diritto» nota il promotore di giustizia. Altra novità da rilevare è che la giurisdizione vaticana da «giustizia di natura statuale» finisce per assumere, almeno in alcune materie, funzioni di «autorità giurisdizionale ultrastatuale». In altre parole, il tribunale oggi estende la propria giurisdizione oltre lo Stato, nei confronti di soggetti ed enti ecclesiastici che, di regola, sarebbero sottratti al diritto vaticano.
Un’ampia riforma del codice penale vaticano, unitamente ad alcune innovazioni in materia amministrativo-finanziaria, si è resa necessaria a partire dalla stipula della Convenzione monetaria fra l’Unione europea (Ue) e lo Stato della Città del Vaticano, il 17 dicembre 2009. Divenuto l’euro moneta ufficiale e a corso legale nello Stato, si sono adottate, nel 2010, misure appropriate per uniformare la legislazione agli standard europei per ciò che riguarda la prevenzione del riciclaggio di denaro, la frode e la falsificazione dei mezzi di pagamento in contante e diversi dal contante. Cosa che è stata fatta «attraverso autonomi interventi legislativi» precisa la relazione. Questo per sottolineare la volontà della Santa Sede di armonizzare il diritto interno vaticano con quello dei Paesi europei, pur non essendo lo Stato membro dell’Ue.
Dal 1° marzo 2011 sono state introdotte nel codice penale vaticano fattispecie criminose in riferimento alla frode e alla contraffazione di banconote e monete in euro e, dal 1° aprile successivo, quelle relative alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio di proventi da attività criminose e del finanziamento del terrorismo. Quest’ultima normativa estende anche ai soggetti vaticani «che svolgono professionalmente attività economico-finanziarie e monetarie» alcuni nuovi obblighi. Innanzitutto quello di «un’adeguata verifica della clientela» in attuazione della cosiddetta regola know your customer. Ciò significa che essi dovranno identificare il soggetto che compie l’operazione e l’eventuale titolare effettivo, e fornire informazioni dettagliate sulla natura dell’operazione. I dati raccolti dovranno poi essere registrati e conservati per cinque anni. Infine, essi hanno il dovere di segnalare operazioni sospette all’autorità di informazione finanziaria (Aif), istituita con la legge n. cXXVII, del 30 dicembre 2010, che ha sede in Vaticano e gode di piena autonomia e indipendenza. L’Aif è tra l’altro autorizzata a eseguire controlli sul denaro contante in entrata e in uscita dal Vaticano, a sospendere in via cautelativa operazioni non chiare, a congelare fondi e risorse economiche in presenza di sospetti di attività illecite. Infine può scambiare, in condizione di reciprocità, informazioni in questo ambito e collaborare con le corrispondenti autorità di altri Stati che perseguono le medesime finalità. Nel regolamentare questa ampia materia il legislatore vaticano è andato anche oltre. Così ha introdotto il reato di autoriciclaggio (cioè quello commesso dall’autore del reato presupposto), che non è previsto, per esempio, nella legislazione italiana.
La relazione ha messo in evidenza un altro importante particolare. Con il Motu proprio per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario, del 30 dicembre 2010, Benedetto XVI ha inteso dare seguito al suo insegnamento circa l’etica dell’economia contenuto nella Caritas in veritate, stabilendo il rinvio alle normative sul riciclaggio e sul finanziamento del terrorismo anche per i dicasteri della Curia romana e per tutti gli organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede che svolgono professionalmente attività economico-finanziarie o monetarie, ivi compreso l’Istituto per le Opere di Religione. La relazione precisa che, trattandosi di «soggetti che sono regolati dall’ordinamento canonico e, quindi, di regola sottratti al diritto vaticano», questo diritto si estende a essi «solo in forza del rinvio mobile operato dal Motu proprio». Il Papa ha inoltre delegato i competenti organi giudiziari dello Stato a esercitare «in ordine ai delitti previsti nella suddetta legge, la giurisdizione anche riguardo a fatti e attività che concernono Dicasteri della Curia Romana e Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede». È questa una tipica forma di «estensione — rispetto ad organismi soggetti alla legislazione canonica — della giurisdizione» del tribunale per cui questo assume la funzione di autorità giurisdizionale ultrastatuale, analogamente a quanto accade, per esempio, per i tribunali penali internazionali temporanei o per la Corte internazionale permanente dell’Aja.
Naturalmente la relazione fa il punto su molte altre questioni. In 146 pagine, suddivise in otto capitoli e 62 paragrafi, il testo ripropone il cammino della macchina giudiziaria vaticana, dalla preistoria del tribunale sino a oggi. Trattata l’evoluzione della giustizia da Pio IX a Benedetto XVI, la relazione si sofferma sull’attualità e sottolinea gli aspetti innovativi delle recenti normative. A ispirare le nuove regole, secondo il testo, sono state l’evoluzione dei rapporti internazionali, con la conseguente necessità di adottare un modello istituzionale capace di confrontarsi con quello delle altre Nazioni, e in generale il più largo diffondersi di fenomeni criminosi. In proposito, già nel 2009, il 1° gennaio, è entrata in vigore la nuova legge sulle fonti del diritto, in sostituzione di quella del 1929, il cui articolo 1 stabilisce che l’ordinamento giuridico — ferme restando quelle principali (l’ordinamento canonico e la legge fondamentale dello Stato, la vera ossatura dell’ordinamento stesso) — doveva conformarsi «alle norme di diritto internazionale generale e a quelle derivate da trattati e accordi di cui la Santa Sede è parte, sempre che non siano contrarie ai principi del diritto canonico».
Nella relazione ci sono infine dati che attirano la curiosità dell’opinione pubblica e sono concentrati nell’ultimo capitolo, dove vengono pubblicati i consuntivi dell’anno giudiziario. Le percentuali riferite ai procedimenti penali e civili nei confronti degli abitanti nella Città del Vaticano sono anomale, soprattutto se paragonate a quelle dell’Italia, dove a fronte di circa 57 milioni di abitanti si registra un rapporto tra popolazione e processi civili pari al 9,8 per cento e, in campo penale, del 5,7. In Vaticano le due percentuali farebbero registrare rispettivamente il 130 per cento e il 49,5. Sembrerebbe cioè che in casa del Papa si litighi molto di più che in Italia. Ma il carico complessivo dei 640 processi civili e dei 226 penali registrati nello scorso anno nello Stato non riguarda i 492 abitanti effettivi della Città del Vaticano, ma si riferiscono ai circa 18 milioni tra pellegrini e turisti che annualmente transitano nel territorio, basilica e musei compresi. Per i residenti le percentuali sono esigue: per il penale non sfiorano neppure un punto percentuale.
Altro dato interessante è quello sulla cosiddetta lungaggine processuale. Qui la situazione è davvero invidiabile: nel giro di un anno sono stati conclusi il 95 per cento dei processi civili, anche se, rispetto al 2010, il 2011 ha fatto registrare un aumento della durata delle procedure civili quantificabile in 12,9 giorni. È diminuito il tempo per le procedure più complesse: dai 3.759 giorni nel 2010 agli 892,2 giorni nel 2011. Per quanto riguarda i procedimenti penali il rapporto di estinzione davanti al tribunale era nel 2010 del 97,5 per cento, con una lieve flessione nel 2011: il 92,1. C’è da considerare però che è stata data precedenza all’assistenza giudiziaria internazionale. La durata dei processi penali davanti al tribunale, che nel 2010 era in media di 36 giorni, nel 2011 è scesa a 18,8 giorni.
(©L'Osservatore Romano 15 gennaio 2012)
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