venerdì 20 gennaio 2012

Il "caso" Maciel e la situazione dei Legionari di Cristo nel fondamentale dossier di Sandro Magister (Espresso)

La battaglia di Benedetto XVI contro la pedofilia nella Chiesa: il "caso" Maciel Degollado, la "visitazione apostolica" ordinata dal Papa nei confronti dei Legionari di Cristo e la nomina del "Delegato pontificio"

Su segnalazione di Gemma leggiamo:

I legionari di Cristo

di Sandro Magister

Le malefatte del defunto fondatore Marcial Maciel non hanno spento l'ardore di molti giovani della discussa congregazione. Che il Vaticano sta cercando di risanare

L'avventura dei Legionari di Cristo è di quelle che abbagliano. Un enigma irrisolto. Persino il papa ha detto d'essersi arreso davanti al "mistero" di tanti giovani così carichi di entusiasmo e di fede "chiamati a ciò che è giusto da un falso profeta". E che mantengono viva la fede anche dopo che al falso profeta è caduta la maschera.
Il nome Legione ricorre in un passo sconvolgente del Vangelo di Marco, là dove gli spiriti impuri che infestano un indemoniato gridano in coro di chiamarsi, appunto, "Legione" e si riversano in un branco di porci che dalla rupe si precipitano in mare. Ma qui è diverso. La Legione fondata dal falso profeta Marcial Maciel vuol essere di Cristo, non sua. È sinceramente impegnata a traversar la bufera gettando a mare, man mano, i pesi di un proprio passato mortifero: uomini, strutture, poteri. Ma il naufragio è ancora possibile, l'approdo un'incognita.
C'è la Legione, con centinaia di sacerdoti di molti Paesi, la maggior parte di giovane età, e ci sono le consacrate e i consacrati di Regnum Christi, l'associazione laicale contigua.
E gli uni e gli altri erano sembrati davvero sul punto di naufragare quando, tra il 2006 e il 2008, dopo la condanna e la morte del loro fondatore Maciel, vennero allo scoperto le sue inconfutabili e innumerevoli malefatte, le dissolutezze, le violenze, gli inganni, i figli, le amanti. La quasi totalità degli affiliati ne era stata per decenni totalmente all'oscuro.
La loro "Pravda" garantiva che erano solo calunnie le accuse che circolavano contro la persona del riveritissimo fondatore.
Molti continuarono a non crederle vere nemmeno dopo che la Santa Sede aveva ordinato al reprobo di ritirarsi per sempre a una vita di penitenza. Si era infatti costituita attorno all'onnipotente Maciel, quando lui era in vita, una squadra di pretoriani che ne proteggevano le gesta da ogni sguardo indiscreto e dettavano agli inconsapevoli seguaci la leggenda alla quale attenersi.
Dopo la morte di Maciel, questa nomenklatura è rimasta intatta al comando della Legione, con l'obbedienza di tutti, fingendo anch'essa sorpresa e dolore. In Vaticano e fuori continuava a godere di protezioni potenti, del cardinale Sodano, del cardinale Rodé, del cardinale Dziwisz, di quegli alti prelati che avevano beneficiato delle generose elargizioni di Maciel e dei suoi. Anche Giovanni Paolo II, a suo tempo, era stato conquistato dalla loro propaganda.

C'è voluta nel 2010 la decisione personale di Benedetto XVI, dal quale erano già discese la condanna del 2006 e poi nel 2009 la visita apostolica con quattro ispettori di sua nomina, per legare le mani al gruppo dirigente della Legione, imponendo a capo di tutti e di tutto un delegato papale con i pieni poteri, il cardinale Velasio De Paolis.

Impresa titanica. Perché lo spirito di corpo che Maciel aveva infuso nella Legione continuava a essere vivo anche senza di lui e si concretizzava in un'obbedienza ai capi che questi si guardavano bene dall'allentare. Il nome Legione non fu scelto per caso. Chi entra nelle sue fila sa di entrare a far parte di un corpo sceltissimo di militi di Cristo e della Chiesa, di soldati del papa, dove però alla prova dei fatti il comando discende dal superiore diretto e vicino. Oltre ai voti classici di povertà, castità e obbedienza, nelle regole della Legione c'era un quarto voto che impegnava a non criticare mai, con nessuno e per nessun motivo, i propri superiori. Benedetto XVI ha voluto che fosse cancellato. Ma un costume sedimentato per decenni non sparisce d'incanto.
Le regole che governano la vita del Legionario, come anche di chi vi si candida in un tirocinio che dura molti anni, sono estremamente minuziose. Si spingono ai dettagli su come lavarsi, pettinarsi, vestirsi, camminare, sedersi, bere, mangiare, conversare, salutare, viaggiare, fare sport. Le visite, le lettere, le telefonate, la posta elettronica sono rigidamente limitate e sorvegliate. La radio, la tv, gli spettacoli, sono centellinati in dosi minime. Nessun'altra congregazione religiosa cattolica, antica o moderna, ha vincoli comportamentali così stretti, persino più stretti di quelli di una scuola militare per corpi speciali. Ma queste regole apparentemente di superficie fanno tutt'uno con uno spirito di dedizione e di obbedienza che investe l'intera persona nelle sue scelte vitali. La causa alla quale il Legionario si vota è altissima, soprannaturale. Ed è in quasi tutti abbracciata con passione. Su 800 sacerdoti, circa 150 hanno lasciato la Legione, in questi anni di tempesta. Ma non hanno abbandonato il sacerdozio, né tanto meno la fede, se non in casi rarissimi. Quasi tutti i fuorusciti si sono offerti al servizio dei vescovi delle rispettive diocesi, come sacerdoti semplici, con incrollabile slancio e dedizione.
È per questo che il cardinale De Paolis, il delegato papale, procede con passo di tartaruga.
Sa che questo apparato asfissiante di regole è destinato a sparire, ma teme che un troppo sbrigativo colpo di maglio faccia crollare anche quel tanto di buono che imprigiona. Sa che fino a quando i pretoriani di Maciel continueranno a essere obbediti e rispettati da gran parte della Legione, un loro brusco e generale licenziamento potrebbe trascinare con sé troppi abbandoni. E così fa lo sguardo severo a quei Legionari, pochi, che reclamano da lui un subitaneo e totale repulisti. Ma nello stesso tempo fa e disfa, lento ma inesorabile. Sulle cose di sostanza più che sulla crosta esteriore. Ha garantito a ciascuno la piena libertà di scegliersi il confessore, anche al di fuori della Legione.
Ha già rimosso dal vertice della congregazione alcuni dei pretoriani di Maciel e soprattutto il più potente e temibile, Luís Garza Medina, messicano.
Garza è stato trasferito a direttore territoriale dei Legionari degli Stati Uniti e del Canada. Ma in tal modo non è più vicario generale dell'intera congregazione, non è più il sovrintendente delle consacrate di Regnum Christi, non è più il manager supremo di quella holding di nome Integer da lui creata per controllare, con uomini e obiettivi suoi, tutte le proprietà della Legione nel mondo, comprese le scuole e le università. Rimosso Garza, il cardinale De Paolis ha sciolto la stessa Integer, restituendo alle singole province e comunità l'amministrazione dei rispettivi beni. In quest'opera di riordino e dimagrimento delle proprietà della Legione il delegato papale si avvale di un curiale esperto nel ramo: Domenico Calcagno, presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, in lista per essere nominato cardinale nel prossimo concistoro.
Un altro dei pretoriani di Maciel rimossi dalla cabina di comando è Francisco Mateos, spagnolo. Oltre che consigliere generale, Mateos era stato per anni "nunzio" a Roma e in Italia del direttore supremo della congregazione. Con Maciel e anche dopo, i nunzi imitavano nella Legione il ruolo che gli ambasciatori del papa esercitano nei vari paesi. Ma di fatto con poteri molto più pressanti. Erano le spie in ogni angolo dell'impero del direttore generale, del quale trasmettevano i comandi. Oggi i nunzi non ci sono più. Il cardinale De Paolis ha smantellato anche questa rete di potere e di intelligence.
Degli intimi di Maciel solo due, ormai, restano ancora ai loro posti: il direttore generale Álvaro Corcuera, messicano, e il consigliere Michael Ryan, irlandese. Ma la loro sorte è segnata. E finalmente una brezza di nuova vita sembra che inizi a soffiare tra le file dei Legionari e delle consacrate.

© Copyright Espresso n. 3/2012

Diamo atto a Magister di essere stato il primo e l'unico ad occuparsi del "caso Maciel" in tempi non sospetti, quando tutti i suoi colleghi tacevano e la Chiesa, a tutti i livelli, ad eccezione del card. Ratzinger, osannava questo signore come un profeta.
Riconosciamo a Magister anche il merito di avere continuato a parlare di questo incredibile caso nonostante il muro di omerta' eretto dalla gran parte della gerarchia cattolica e dai media che considerano Maciel ancora come un tabu', un "innominabile", le cui malefatte non devono mai essere citate, nemmeno di striscio.
Forse Magister poteva dire anche di piu' in questo articolo, ma ha fatto molti nomi ed ha riconosciuto i meriti di Papa Benedetto.
Non possiamo fare altro che ringraziare il vaticanista dell'Espresso per questo suo impegno
.
R.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La giusta prudenza a volte puo' anche invitare a un certo riserbo, per non creare guai peggiori. Ma il riserbo e' su cose vincolate da un segreto, non certo su documentazione pubblica.
Un aspetto interessante per un giornalista, Magister o chi altro, sarebbe quello di trasportare su una bella tabella i vari Elenchi Ufficiali dei LdC - quelli in cui periodicamente sono riportati tutte le persone della Congregazione, studenti inclusi - e vedere, di quelli entrati:
- quanti sono usciti quando erano studenti;
- quanti sono usciti e sono passati a diocesi o congregazione
- quanti sono usciti e hanno lasciato il sacerdozio.

Il tutto a partire fin dall'inizio dei LdC.
Questi elenchi non sono documenti riservati e gia' dall'analisi di questi dati potrebbero venir fuori cose molto interessanti.

Anonimo ha detto...

che parterre de roi tra i nomi degli sponsor!da lustrarsi gli occhi;in questi casi la prudenza è d'obbligo e non è mai troppa, in genere sono ottimi sacerdoti,ne ho conosciuti alcuni personalmente; non si può buttare il bambino con l'acqua sporca,io ho illimitata fiducia nella paziente saggezza di BXVI......