martedì 17 gennaio 2012

Da Ouidah a Cuba, passando per il Messico: Benedetto XVI sulla rotta degli afrodiscendenti (Radio Vaticana)

Da Ouidah a Cuba, passando per il Messico: Benedetto XVI sulla rotta degli afrodiscendenti

La “Porta del Non-ritorno” e la “Porta del Perdono”. Sono lì a pochi metri di distanza l’una dall’altra, tra la spiaggia e la cittadina di Ouidah che ha visto partire milioni di africani incatenati, e l’arrivo del Vangelo, portato dai missionari. Sono lì a richiamare al dovere di “denunciare e di combattere ogni forma di schiavitù” - ha detto Benedetto XVI, che ha scelto, lo scorso novembre, proprio Ouidah, con tutta la sua carica simbolica di sofferenze e speranza, per consegnare ai vescovi africani, nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Maria, l’esortazione apostolica “Africae Munus”, sottolineando che “la Chiesa in Africa è chiamata a promuovere la pace e la giustizia” nello spirito di riconciliazione che ci viene da Dio.

Il Papa era ancora in Benin che già si annunciava il suo viaggio, a marzo prossimo, in Messico e Cuba, due dei punti di approdo di quei milioni di africani passati dalla Porta del Non-ritorno. Due Paesi dove si trovano oggi parte di quei circa 300 milioni di afrodiscendenti sparsi per il mondo, soprattutto nelle Americhe e Caraibi.
A loro le Nazioni Unite hanno dedicato l’intero anno 2011. L’intento: “rinforzare le azioni nazionali e la cooperazione regionale e internazionale a beneficio delle persone di discendenza africana” affinchè possano godere di tutti i diritti umani, possano partecipare e integrare tutti gli ambiti della vita sociale e sia promossa una “maggiore conoscenza e rispetto della loro eredità culturale”. Le stigmate lasciate dalla ‘tratta’ transatlantica sono infatti lungi dall’essere cancellate e il razzismo e la discriminazione che ne derivano continuano a condizionare la vita delle persone di discendenza africana ovunque si trovino. “La comunità internazionale non può accettare che comunità intere siano marginalizzate a causa del colore della pelle”, sosteneva Ban Ki-moon, sollecitando progetti e programmi di attività mirati a dare corpo agli obbiettivi dell’Anno Internazionale degli Afrodiscendenti. E risposte in tal senso non sono mancate. A cominciare dall’ONU stesso con il progetto di un imponente monumento nella propria hall in memoria delle vittime di quel criminale traffico attraverso gli oceani. Ma poi, dall’Angola al Brasile, dal Gabon al Perù, seminari, incontri culturali, studi, vertici, pubblicazioni, misure giuridiche o un maggior sforzo di applicazione di quelle già esistenti… Hanno cercato di richiamare l’attenzione sulle ingiustizie e disparità che rendono difficile l’integrazione e l’ascesa sociale degli afrodiscendenti. I quali tuttavia hanno dato un enorme contributo all’arricchimento non solo economico ma anche umano e culturale al mondo. Basti pensare nelle lingue creole, nelle diverse espressività religiose, nel jazz o nel tango che fanno oggi gioire molte persone, ignare della loro origine nelle piantagioni del nuovo mondo, dove hanno rappresentato per lo schiavo nero una forma di resistenza all’annientamento fisico, culturale e spirituale.

Riconoscere tutti gli ostacoli razziali allo schiudersi sociale dell’afrodiscendente, e farne fronte seriamente, è non solo un dovere morale di tutti, ma anche un grande contributo alla pace, giustizia e riconciliazione su scala mondiale. Dal canto suo l’Africa dovrà fare il massimo per uno sviluppo integrale, in modo da avere un riflesso positivo sui suoi discendenti nel resto del mondo, che l’Unione Africana ha convenuto di definire “sesta regione”, nel tentativo di cogliere la grande energia che la diaspora rappresenta per la costruzione della Grande Africa.

La Chiesa si è lanciata a capofitto in questo processo. “Africae Munus”, frutto della riflessione dei vescovi sul ruolo della Chiesa nella promozione della pace, giustizia e riconciliazione nel Continente, ne è un esempio eloquente e nello stesso tempo è un’incitamento all’Africa, a far tesoro delle energie positive che ha in sé e a renderle utili al resto del mondo: “Africa, Buona Novella per la Chiesa, diventa proprio questo per il mondo intero” – ha esortato il Papa in Benin.

Benedetto XVI si recherà in Messico per il bicentenario dell’indipendenza dei Paesi latino-americani. Ma molto prima di questo evento gioioso (l’indipendenza), a volere una rottura con la Spagna erano stati gli schiavi dell’attuale Angola, che già nel XVII/XVIII secolo cercarono, invano, di proclamare un regno africano in terre messicane. Maggioritaria nell’esercito, allora formato essenzialmente di schiavi, la presenza africana in Messico è andata, tuttavia, diluendosi. Oggi sarebbe forse necessario uno studio del DNA (tra l’altro già in uso), per trovarne traccia nella popolazione. Lo stesso non si può dire di Cuba, dove gli afrodiscendenti e il loro apporto culturale sono ben visibili. Secondo una leggenda, un loro ascendente sarebbe, addirittura, tra coloro che hanno avvistato in mare la Madonna della Carità del Cobre, il cui giubileo porta il Papa in quell’importante isola caraibica. Anzi, proprio a El Cobre si sono verificate le prime rivolte dei neri a Cuba già a partire dal XVI secolo. All’epoca della conquista dell’Africa e della tratta negriera la Chiesa, impotente di fronte alla forza del mercantilismo, diede tuttavia un segno positivo, chiedendo che gli schiavi fossero battezzati e ricordando, in un certo qual modo, che erano persone e non “cose”, come li classificò giuridicamente il famigerato “Codice Nero” promulgato nel 1685 da Luigi XIV.

Il Papa ha a cuore il “cammino d’integrazione” dell’America Latina e “del suo nuovo protagonismo emergente nel concerto mondiale”, così come la ricerca di una sana libertà a cui anelano quei popoli e che sin dai primordi ha tenuto accesa la fiamma della speranza, nell’animo di quegli schiavi strappati violentemente alla Madre Africa, culla dell’umanità.
Che questa integrazione e questo nuovo protagonismo non si faccia senza di loro, e che la benedizione che il Papa porterà a tutta l’America Latina giunga anche a loro.

E che questo sostegno, in un’ottica di giustizia e pace per tutti, aiuti a percorrere fino in fondo le piste tracciate dall’Anno Internazionale degli Afrodiscendenti e dal “Gruppo di Lavoro di Esperti su Persone di Ascendenza Africana”. Secondo questo Gruppo di Lavoro, creato nel 2001 in seguito alla Conferenza di Durban sul razzismo, le maggiori sfide che gli afrodiscendenti affrontano riguardano la loro rappresentazione sociale e il trattamento, spesso iniquo, nelle strutture amministrative di giustizia, educazione, salute, abitazione … Le quali diventano in questo modo, secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, “strutture di peccato”. Che la visita del Papa contribuisca a renderle più umane.

Tutto sommato, il bilancio dell’Anno internazionale dell’Afrodiscendente è stato positivo. Alcuni esperti vedono ad esempio nella nomina dell’afrodiscendente, Susana Baca al posto di Ministra della Cultura del Perù, proprio nel 2011, un’espressione positiva degli obbiettivi voluti da Ban Ki-moon con la proclamazione dell’Anno Internazionale degli Afrodiscendenti.”

La palla è dunque lanciata, speriamo che il gioco continui e che abbia su di sé più riflettori di quanto ha avuto nell’Anno 2011, pur se ricco di eventi e riflessioni sulle persone di discendeza africana. Un segno di speranza viene forse dal fatto che il Brasile promette di riunire i frutti di queste riflessioni e di pubblicare diversi libri nell’ambito della “Collana Conosca di Più”, orientata a soddisfare la domanda di materiale didattico nell’area della cultura afro-brasiliana.
Che la Madonna di Guadalupe, Patrona dell’America Latina, vegli su tutto questo.

(Maria Dulce Araújo Évora – Programma Portoghese/Africa).

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