Il viaggio apostolico di Benedetto XVI nel Messico e a Cuba è una tappa dell’evangelizzazione iniziata con il concilio Vaticano II
Cammino aperto verso la libertà
dal nostro inviato Mario Ponzi
Papa Wojtyła ha aperto il cammino. Lungo una strada che per i popoli del Messico e di Cuba significa speranza, libertà, pace. Ma ora bisogna seguirla e far sì che siano in molti a fare altrettanto, alla luce della fede.
È con questo spirito che Benedetto XVI affronta il suo nuovo viaggio internazionale, sulle orme di Giovanni Paolo II. Guarda al Messico e a Cuba, ma il suo pensiero è rivolto a tutto il grande continente latinoamericano. Lo ha spiegato il Papa stesso ai giornalisti che lo seguono in questa visita pastorale. L’obiettivo del viaggio resta quello di portare Cristo e il suo amore al centro della storia, per riportare l’uomo al centro della vita.
Si è svolto come sempre in un clima di grande cordialità l’incontro con i 72 rappresentanti della stampa internazionale all’inizio del viaggio. Durante il volo verso la città messicana di León, il Papa ha raggiunto i giornalisti alle 11 in punto, accompagnato dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Le domande al Pontefice hanno riguardato anche la difficile situazione del Messico tormentato dalla violenza distruttiva del narcotraffico, il ruolo della Chiesa nel continente tra contrasti sociali e dibattiti sull’eredità della «teologia della liberazione», la questione dei diritti umani a Cuba con i riflessi della perdurante precarietà degli equilibri internazionali in riferimento all’isola caraibica, le numerose sfide che si presentano all’orizzonte della Chiesa latinoamericana, impegnata nella missione continentale iniziata subito dopo la conferenza di Aparecida.
Il primo pensiero, dunque, è stato per Papa Wojtyła, sulle cui tracce Benedetto XVI ha detto di voler camminare. Nel segno della continuità. I tempi sono diversi e anche le situazioni risultano differenti dal punto di vista sociale e politico. Però non cambia il messaggio che Benedetto XVI porta con sé. E poi in Messico desiderava tornare da Papa. Conosce il Paese per esserci stato, ma anche per le tante persone che — lo ha ricordato — ogni mercoledì si fanno sentire durante l’udienza generale. In qualche modo ha voluto ricambiare questo affetto andandoli a trovare nella loro terra.
L’attenzione si è poi concentrata sulla drammatica questione della violenza in Messico. Argomento non nuovo per il Papa, che ne ha parlato in diverse occasioni con rappresentanti diplomatici, capi di governi, vescovi. L’ultima occasione è stata la celebrazione della messa del 12 dicembre 2011 nella basilica di San Pietro per il bicentenario dell’indipendenza dei popoli latinoamericani.
Non è cambiato, dunque, il senso della condanna di ogni forma di violenza espressa questa mattina nei confronti del ruolo distruttivo del narcotraffico. La droga, ha detto il Pontefice, distrugge l’uomo, distrugge soprattutto i giovani. Il ruolo della Chiesa in questo contesto è di smascherare il male ovunque esso si annidi. È perciò necessario continuare ad annunciare Dio per farlo conoscere al mondo. Se non ha questa conoscenza, infatti, l’uomo si costruisce i suoi paradisi artificiali e non scopre la via della salvezza.
Più articolata la riflessione sul ruolo di supporto della Chiesa nel perpetuarsi di quello strano fenomeno per cui ancora oggi — a duecento anni dalla conquistata indipendenza e nonostante l’innegabile balzo in avanti di molte economie continentali — continua ad aumentare il divario tra ricchi e poveri. Alla Chiesa è stato mosso il rilievo di non essersi troppo impegnata in questo settore. Ed è stata evocata una nuova «teologia della liberazione», senza quegli eccessi che l’avevano segnata agli inizi.
La Chiesa, ha risposto il Papa, deve naturalmente interrogarsi su quello che fa, per valutare come lo fa e se è sufficiente. Bisogna però ricordare che essa non è un partito politico, ma una realtà morale che educa la persona umana. È anche vero che la politica implica in qualche modo la morale. E dunque la Chiesa finisce per entrare in contatto con la politica. Ma la sua missione resta sempre quella di educare le coscienze. In questo campo, ha rilevato il Pontefice, si nota tra i cattolici una sorta di dicotomia, nel senso che c’è una profonda differenza tra il loro modo di comportarsi individuale e il loro modo di esprimersi e di vivere in pubblico. Quasi che la loro fede sia qualcosa da vivere solo nella sfera privata e da rinnegare nella sfera pubblica.
In tal senso, la missione della Chiesa è aiutare gli uomini a superare questo comportamento schizofrenico. Soprattutto c’è bisogno di educare a costruire una morale pubblica. Certo, ha sottolineato il Papa, per i credenti è più facile, perché si tratta di esprimere la forza insita nella fede. Quanto all’eventualità di una «teologia della liberazione purificata», il Pontefice ha ribadito che la questione è semplicemente di educare alla morale.
Riguardo all’attualità dell’esortazione con cui Giovanni Paolo II salutò i cubani sul finire del suo viaggio nel 1998 — «Che Cuba si apra al mondo, che il mondo si apra a Cuba» — e sulle voci degli oppositori al regime che si sono fatte sentire alla vigilia del viaggio, Benedetto XVI ha, forse, anticipato alcune delle cose che dirà direttamente ai cubani, sia per quanto riguarda la loro situazione interna, sia per quanto riguarda l’atteggiamento della comunità internazionale. Anche in questo caso il Papa ha ribadito la sua volontà di continuare sul cammino tracciato da Papa Wojtyła. Egli, ha detto, ha aperto una strada, una lunga strada, e noi intendiamo seguirla. Certo oggi ci troviamo di fronte — ha notato — a nuove convinzioni, a ideologie che si adattano di più alle necessità del mondo, che richiedono di collaborare per una società più giusta. Ma la Chiesa, ha concluso, è sempre dalla parte della libertà, di ogni libertà.
Infine uno sguardo allargato all’America latina e alla missione continentale della Chiesa. Al Papa è stato chiesto di leggerla alla luce dei due prossimi grandi appuntamenti ecclesiali: il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e la celebrazione dell’Anno della fede in un contesto segnato da sfide profonde quali il secolarismo incipiente e le minacce delle sètte. La nuova evangelizzazione — ha ricordato il Papa — è iniziata con il concilio Vaticano II. Giovanni XXIII intuì infatti la necessità di portare Cristo nel mondo ai tanti che non lo conoscevano. Giovanni Paolo II ne ha fatto una ragione del suo pontificato. Noi oggi — ha notato Benedetto XVI — ci troviamo in un contesto di razionalizzazione estrema e molti non conoscono Dio o rifiutano di conoscerlo. Nostro compito è annunciare quel Dio che risponde alle domande della nostra ragione.
L’incontro con i giornalisti si è concluso con l’inusuale cerimonia di consegna di alcuni doni che i colleghi della stampa messicana hanno voluto fare al Papa. Tra i più singolari, un ipod con musiche messicane e musica classica. «Santità — gli è stato detto al momento della consegna — conoscendo il suo amore e la sua perizia per la tecnologia, per Twitter e per tanto altro, abbiamo pensato di aggiungere anche questo alle sue conoscenze».
(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2012)
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