Coi cubani (e con Fidel) il Papa parla di Dio per parlare di embargo e libertà
di Stefano Fontana
«Sono venuto qui come testimone di Gesù Cristo, nella ferma convinzione che, dove Egli arriva, lo scoraggiamento lascia il posto alla speranza, la bontà allontana le incertezze, ed una forza vigorosa apre l’orizzonte a inusitate e benefiche prospettive. Nel suo Nome, e come Successore dell'Apostolo Pietro, ho voluto ricordare il suo Messaggio di salvezza perché rafforzi l'entusiasmo e la sollecitudine dei Vescovi cubani, come pure dei loro sacerdoti, dei religiosi e di coloro che si preparano con impegno al ministero sacerdotale e alla vita consacrata. Che serva anche come nuovo impulso a quanti cooperano, con costanza ed abnegazione, nell’opera di evangelizzazione, specialmente ai fedeli laici, affinché, intensificando la loro dedizione a Dio negli ambienti di vita e nel lavoro, non si stanchino di offrire con responsabilità il loro apporto al bene e al progresso integrale della patria».
Con queste parole Benedetto XVI ha lasciato Cuba mercoledì 28 marzo all’Aeroporto internazionale José Martí di La Habana. Sono parole che di politico non hanno nulla. Sono parole religiose perché il viaggio ha avuto un senso religioso, compreso l’incontro con Fidel Castro, anticipato da indiscrezioni su una sua presunta “conversione”, su incontri frequenti con un sacerdote o comunque su un possibile lavorio intimo della sua coscienza che non sta a nessuno interpretare ma che ha dato certamente un tono diverso all’incontro rispetto a quello con Giovanni Paolo II.
Mercoledì 28 marzo, tutta l’omelia di Benedetto XVI alla messa nella piazza della Revolución a L’Avana, a cui i lavoratori avevano potuto accedere perché il governo aveva concetto l’astensione dal lavoro, è stata di ordine spirituale. Il Papa ha toccato il suo tema preferito della verità di Cristo: «Cari amici – egli ha detto -, non esitate a seguire Gesù Cristo. In Lui troviamo la verità su Dio e sull'uomo. Egli ci aiuta a sconfiggere i nostri egoismi, ad uscire dalle nostre ambizioni e a vincere ciò che ci opprime. Colui che opera il male, colui che commette peccato, è schiavo del peccato e non raggiungerà mai la libertà. Solo rinunciando all'odio e al nostro cuore indurito e cieco, saremo liberi, ed una nuova vita germoglierà in noi».
Lunedì 26, sempre a L’Avana, aveva pronunciato una omelia tutta mariana, favorita dal 400mo anniversario del ritrovamento della statua della Virgen de la Caridad del Cobre, coincidente con la solennità dell’annunciazione del Signore, ed ha così concluso: «Cari fratelli, davanti allo sguardo della Vergine della Carità del Cobre, desidero fare un appello perché diate nuovo vigore alla vostra fede, viviate di Cristo e per Cristo, e, con le armi della pace, del perdono e della comprensione, vi impegnate a costruire una società aperta e rinnovata, una società migliore, più degna dell’uomo, che rifletta maggiormente la bontà di Dio».
Insomma, se qualcosa stupisce in questo viaggio del Papa è la rara presenza o addirittura l’assenza di accenti sociali e politici. E in un Paese come Cuba, che li richiamerebbe senza troppa fatica, la cosa non può passare inosservata. A pensarci bene, però, tutto è nello stile di Benedetto XVI, che si prodiga per togliere dalla proposta cristiana le eccessive sovrapposizioni di ragionamenti etico-sociali di corto respiro. Nonostante i giornalisti cerchino di carpire la frasetta di sapore politico per farne il titolo di un servizio, Benedetto XVI va al fondo della questione: la fede. Alla centralità della persona umana, tanto enfatizzata dopo la “svolta antropologica”, Benedetto XVI preferisce la centralità di Dio, la riscoperta della fede, la vita della grazia da cui poi può anche nascere una società rinnovata, libera e giusta. In un’isola che è stata tanto importante per la teologia della liberazione e laboratorio di utopie politiche disastrose, il Papa ha voluto indicare un percorso totalmente diverso. E lo ha fatto in modo molto radicale, senza concedere nulla al politichese.
Al momento del congedo, all’aeroporto di L’Avana, dopo aver sottolineato l’indole religiosa del suo viaggio, ha tratto però anche le conclusioni pratiche, perché dalla luce di Cristo deriva anche l’aiuto per una società migliore: «Il cammino che Cristo propone all'umanità, e ad ogni persona e popolo in particolare, non la coarta in nulla, anzi è il fattore primo e principale per il suo autentico sviluppo. La luce del Signore, che ha brillato con fulgore in questi giorni, non si spenga in chi l'ha accolta ed aiuti tutti a rafforzare la concordia e a far fruttificare il meglio dell'anima cubana, i suoi valori più nobili, sui quali è possibile fondare un società di ampi orizzonti, rinnovata e riconciliata. Che nessuno si senta impedito a prendere parte a questo appassionante compito, per limitazione delle proprie libertà fondamentali, né si senta esonerato da esso, per negligenza o carenza di mezzi materiali. Situazione che risulta aggravata quando misure economiche restrittive imposte dal di fuori del Paese pesano negativamente sulla popolazione». Perfino per l’embargo economico la risposta vera ed ultima è Gesù Cristo.
http://www.loccidentale.it/node/114894
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