BENEDETTO XVI VIAGGIO IN CENTRO AMERICA
Il Papa da Fidel ma non vede gli oppositori
GIACOMO GALEAZZI
INVIATO ALL’AVANA
Dietro la cortesia di facciata, il duello diplomatico tra Roma e L’Avana. Sì all’incontro oggi con Fidel Castro (dopo quello ieri con il fratello Raúl), no all’udienza ai dissidenti. In extremis stanotte è slittato il «vis-à-vis» con il «líder máximo» per non offuscare il colloquio con il fratello. Il Papa vedrà il vecchio rivoluzionario nella mattinata in cui celebra la messa di commiato. Il rinvio, motivato con ragioni protocollari, vorrebbe non penalizzare mediaticamente l’incontro con l’attuale capo dello Stato, sovrapponendovi quello con il carismatico Fidel. Differire formalmente i due momenti equivale per il regime a raddoppiarne la portata comunicativa e a non delegittimare l’odierna dirigenza.
Del resto ogni tappa della missione papale viene negoziata «in fieri», istante per istante. Benedetto XVI è entrato ieri nel palazzo presidenziale dell’Avana con il dolore di non poter abbracciare gli oppositori per evitare ripercussioni sulla già oppressa Chiesa cubana. «Sono nel cuore del Pontefice», assicurano nel seguito papale. Nessuna debolezza verso il regime. Tra governo e Santa Sede, la tensione è malcelata dai sorrisi indossati dalle delegazioni negli appuntamenti ufficiali. Qui, ultimo lembo caraibico di Guerra fredda, la visita del Pontefice è materiale incandescente. I «fuori programma» sono temuti dalle autorità quanto un uragano. Da un lato la presenza del Pontefice garantisce una visibilità internazionale, dall’altro un regime agonizzante ne teme i contraccolpi interni. Benedetto XVI è stato abile a non lasciarsi intimidire e sottrarsi ad ogni strumentalizzazione propagandistica, come si è visto a Santiago nella presa di distanza dall’attacco di Raúl Castro agli Usa. Gioca nella capitale cubana una delle partite più complesse del pontificato. E’ circondato dal calore di una Chiesa locale uscita dalle catacombe. Ovunque strade piene di fedeli, canti religiosi a tutte le ore del giorno, acclamazioni e cori da kermesse vaticana.
I concerti classici e i balletti da Germania Est allestiti dal regime svaniscono davanti ai gruppi spontaei di ragazzi con la chitarra che riversano su Benedetto XVI l’entusiasmo e il senso di liberazione covati in segreto per anni.
Il Papa teologo e pastore si è subito sintonizzato sulla loro lunghezza d’onda. Apre scenari col soffio della profezia mentre il regime si trincera dietro antiquate barriere difensive rispolverando un linguaggio da soviet. Il Papa entra nel merito e chiede al governo un «cambiamento di rotta morale», il regime risponde che «a Cuba non ci saranno cambiamenti politici, ma aggiorneremo, per quanto necessario, il modello economico». Il Pontefice decreta la morte del marxismo e il vicepresidente Marino Murillo replica che «a Cuba c’è un aggiornamento del modelloeconomicoperrendere sostenibile il nostro modello di socialismo». Ratzinger prega per «è privo di libertà» e ricorda i detenuti e «coloro che soffrono», intanto nella «isla bonita» è in corso l’ennesima ondata di arresti degli oppositori.
Il messaggio papale non fa sconti nel denunciare le violazioni dei diritti umani e le persecuzioni inflitte alla Chiesa. Grazie al «nuovo vigore» della loro fede, i cattolici cubani debbono impegnarsi «con le armi della pace, del perdono e della comprensione»,«acostruireunasocietà aperta, rinnovata, migliore, più degna dell’uomo e che rifletta la bontà di Dio». Perché «quando Dio è estromesso, il mondo si trasforma in un luogo inospitale per l’uomo».
Anche gli esiliati anticastristi vogliono fare la loro parte: uno spettacolo pirotecnico e una flottiglia di sette barche, con partenza da Key West. I dissidenti dell’isola hanno cercato di raggiungere il Malecon con torce e candele in un simbolico abbraccio. Il papa visita «un Paese oppresso che vuole essere libero e invoca il rispetto dei diritti umani», aggiunge Carmelo Diaz Fernández, uno dei 75 dissidenti arrestati nelle retate del 2003. La Primavera nera di Cuba.
© Copyright La Stampa, 28 marzo 2012
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