venerdì 30 marzo 2012

Padre Cantalamessa: il credente non rinuncia alla propria razionalità ma la trascende

Padre Cantalamessa: il credente non rinuncia alla propria razionalità ma la trascende

Rientrato ieri da Cuba, Benedetto XVI ha ascoltato questa mattina la quarta ed ultima predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa. Nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano, il predicatore della Casa Pontificia ha parlato della via alla conoscenza di Dio tracciata da Gregorio di Nissa, Padre della Chiesa Orientale vissuto nel IV secolo. Per incontrare Dio, ha spiegato il religioso cappuccino ricordando l’insegnamento del Nisseno, bisogna oltrepassare i confini della ragione. Il servizio di Tiziana Campisi:

“Chi si accosta a Dio deve credere che Egli è”: è la Sacra Scrittura, nella Lettera agli Ebrei, ad indicare in che modo avvicinarsi a Dio, ma è merito di Gregorio di Nissa l’aver spiegato che “la vera conoscenza e la visione di Dio consistono ‘nel vedere che Egli è invisibile’. Nella sua ultima predica di Quaresima, ricca di spunti di riflessione, padre Raniero Cantalamessa, attingendo agli scritti del Nisseno, ha ricordato che…

“… il passaggio dall’oscurità alla luce è la prima separazione dalle idee false ed erronee su Dio; l’intelligenza più attenta alle cose nascoste, conducendo l’anima attraverso le cose visibili alla realtà invisibile. Questa è come una nube che oscura tutto il sensibile e abitua l’anima alla contemplazione di quello che è nascosto; infine l’anima che ha camminato per queste vie verso le cose celesti, avendo lasciato le cose terrestri per quanto è possibile alla natura umana, penetra nel santuario della conoscenza divina (questa famosa theognosia) circondata da ogni parte dalla tenebra divina”.

Quindi il predicatore della Casa Pontificia ha spiegato che nella ricerca di Dio non è esclusa la ragione, “che non si è costretti a scegliere tra il seguire la fede e il seguire l’intelligenza”:

“Credendo, la persona umana non rinuncia alla propria razionalità, ma la trascende, che è una cosa totalmente diversa. Il credente dà fondo, per così dire, alle risorse della propria ragione, le permette di porre il suo atto più nobile, perché, come afferma Pascal, ‘l'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano’”.

E’ questa la “dotta ignoranza”: il comprendere che non si può capire. E’ questa l’inconoscibilità di Dio, che tuttavia non umilia:

“Tale inconoscibilità è fatta per riempire l'uomo di entusiasmo e di gioia; ci dice che Dio è infinitamente più grande, più bello, più buono, di quanto riusciremo mai a pensare, e che tutto questo lo è per noi, perché la nostra gioia sia piena; perché non ci sfiori neppure il pensiero che potremmo annoiarci a passare l'eternità vicino a lui”.

Ma non è lo smarrimento ciò che avverte chi entra nel mistero di Dio, ha aggiunto padre Cantalamessa, piuttosto, come lo ha definito Gregorio, il “sentimento di una presenza”, oggi assimilabile al cosiddetto “sentimento del numinoso”, cioè il senso, misto di terrore e di attrazione, che coglie improvvisamente l’essere umano di fronte al manifestarsi del soprannaturale o del soprarazionale. Una presenza sempre più luminosa man mano che ci si purifica dal peccato e dalle passioni. E se il cammino dell’intelletto e dell’anima verso Dio sembra un difficile percorso, non bisogna dimenticare che “sul monte Calvario l’uomo Dio, Gesù di Nazareth, ha unito per sempre l’uomo a Dio”.

© Copyright Radio Vaticana

Nessun commento: