La giornata conclusiva di Benedetto XVI nella capitale cubana
Al ritmo di un’immensa preghiera
dal nostro inviato Mario Ponzi
Di nuovo a Roma. Il Papa è rientrato giovedì mattina, 29 marzo, in Vaticano dopo i sei giorni di viaggio apostolico in Messico e a Cuba.
Un viaggio lungo per le distanze percorse, entusiasmante per l’accoglienza che al Papa è stata riservata, denso di emozioni vissute con due popoli, quello messicano e quello cubano, che, nonostante stiano attraversando, anche se per motivi diversi, un momento particolarmente difficile nella loro storia, guardano al futuro con una rinnovata speranza nella certezza di avere nel Pontefice un amico in più.
Un viaggio che, nella sostanza, ha inteso abbracciare simbolicamente i popoli dell’intero continente dell’America latina e dei Caraibi, proprio mentre celebrano i duecento anni dell’indipendenza e la grande missione continentale che, iniziata ad Aparecida, è ormai al giro di boa. Un viaggio, inoltre, che si è svolto alla luce della patrona dell’America latina, la Vergine Maria celebrata ovunque anche se con titoli diversi, nel ricordo di Giovanni Paolo II, il Papa che proprio a Maria ha dedicato vita e pontificato.
Se viva e familiare è apparsa in Messico la figura del Papa, quasi prorompente è sembrata a Cuba, dove il cammino intrapreso sulla via del rinnovamento, ha mosso i primi passi, come preso per mano da Giovanni Paolo II e oggi spinto decisamente in avanti da Papa Ratzinger. Un passaggio di testimone nello spirito della continuità apostolica, reso concreto proprio nell’ultima giornata del viaggio, all’Avana, su quella stessa piazza della Rivoluzione che aveva ospitato quattordici anni fa la messa di Papa Wojtyła. Non è cambiato molto lo scenario di allora. Uniche differenze l’immagine di Camilo Cinfuegos, il filosofo della rivoluzione, rimessa al posto della gigantografia del Cristo del Sacro Cuore che nel 1998 campeggiava su uno dei Palazzi affacciati sulla Piazza, accanto al ritratto di Che Guevara, e il posizionamento dell’altare messo questa volta sotto il monumento a José Martí. Dove era stato posto l’altare per la celebrazione di Papa Wojtyła è stata esposta una grande immagine della Vergine della Carità del Cobre.
La Mambisa, la copia dell’originale custodito nel santuario del Cobre, la stessa che era stata portata in tutte le diocesi del Paese nel grande pellegrinaggio che ha caratterizzato l’anno centenario, è giunta sulla piazza scortata da migliaia di giovani. I giovani si sono resi testimoni di una fede matura, pronti a occupare il posto che loro compete nella società cubana. Si sono radunati martedì sera davanti alla cattedrale, dove la Mambisa è custodita. La facciata della chiesa è apparsa in una veste inconsueta. Su di essa alcuni potenti proiettori hanno come disteso, fin sulle punte del campanile, l’immagine del quadro che la pittrice Natalia Tsarkowa ha donato a Roma a Benedetto XVI. Lo ritrae sul trono circondato da angeli. Un’immagine significativa davanti alla quale i giovani si sono accampati per trascorrere una vigilia di preghiera in attesa di partecipare alla messa dell’indomani in piazza della Rivoluzione. Era stato chiesto loro di sistemarsi all’interno della cattedrale. Ma hanno deciso di pregare non nelle chiese bensì nelle piazze e sulle strade della città. E così hanno fatto anche quando, alle prime luci dell’alba, si sono messi in cammino dietro alla Mambisa che hanno portato in piazza a piedi. Quasi dodici chilometri punteggiati da soste di preghiera dinanzi a ognuna delle chiese incontrate nell’itinerario. Quando sono giunti sulla piazza si sono ritrovati, gli uni accanto agli altri, i giovani di ieri, oggi uomini maturi, e i giovani di oggi, uomini del domani. Insieme hanno continuato a pregare, per guardare avanti, forti dell’esperienza degli uni e della freschezza degli altri.
Rappresentavano praticamente tutta l’isola. Sono arrivati da ogni angolo. C’era chi ha viaggiato per oltre sei ore, come quelli giunti da Santa Clara, una città posta al centro dell’Isola, e chi proveniva da ancor più lontano, come i trecentocinquanta fedeli cubani stabilitisi ormai a Miami, in Florida, negli Stati Uniti. Si sono ritrovati tutti uniti nel segno della carità, come era scritto su un grande striscione disteso tra due palazzi.
Questa volta il consueto giro tra la folla prima della messa è apparso quanto mai evocativo: Benedetto XVI è sembrato come cementare quell’unione ritrovata davanti all’altare. Poi, dall’alto della cattedra, ha detto loro che cambiare si può e si deve. Basta farlo nel modo giusto. Lo hanno ascoltato mentre pronunciava parole tanto attese; hanno colto ogni sfumatura della sua omelia.
A Cuba la popolazione sta cambiando, diminuisce e invecchia. Ma i giovani sono determinati e stanno crescendo in consapevolezza. Tanti chiedono ora di entrare in seminario. La Chiesa acquista un ruolo decisivo nella loro vita. Tuttavia molti problemi, dal punto di vista pastorale, non mancano, anche se non sono diversi da quelli avvertiti in diversi Paesi dell’America latina.
Il Papa ne ha parlato a lungo con i vescovi cubani. Per esempio la diffusione, ancora oggi, di riletture del Vangelo che sono più il risultato di speculazioni teoriche che di autentiche meditazioni della Parola di Dio e di un vero impegno evangelico. Causano confusione al punto da far rischiare l’allontanamento dai criteri centrali della Chiesa e di far giungere a interpretazioni temerarie e addirittura contrarie alla fede. Un pericolo segnalato più volte dallo stesso cardinale Ortega y Alamino quando, alla vigilia dell’arrivo del Papa, denunciava la pretesa di mostrare Gesù come strumento politico, come uno che combatte contro i potenti, anzi quasi implicato in una lotta di classe. «Una interpretazione — aveva detto l’arcivescovo dell’Avana — che non si compagina con la catechesi. La missione di Gesù è la salvezza integrale della persona umana attraverso un amore trasformante, pacificatore, di perdono, di riconciliazione». Ma la Chiesa, come ricordavaGiovanni Paolo II «non ha bisogno di sistemi e ideologie per amare, difendere, collaborare alla liberazione dell’uomo» perché è proprio questo il centro del messaggio della quale essa è depositaria e banditrice al tempo stesso. È lo stesso messaggio dal quale Benedetto XVI trae oggi ispirazione per reclamare ovunque fraternità e pace superando ogni discriminazione, schiavitù, violenza, aggressioni alla libertà religiosa e alla dignità dell’uomo. Lo ha aveva detto in Messico, lo ha ribadito con vigore proprio durante la messa in piazza della Rivoluzione. Egli si è rivolto a tutti. A quelli che come Ponzio Pilato «si lavano le mani e lasciano scorrere l’acqua della storia senza compromettersi», e a quelli che «interpretano male la ricerca della verità», trasformandola «nell’irrazionalità e nel fanatismo», al punto da restare chiusi nella loro verità, che poi cercano di imporre agli altri. Chi è irrazionale, ha avvertito ancora il Papa, non può arrivare a essere discepolo di Gesù. «Fede e ragione sono necessarie e complementari nella ricerca della verità». E Cristo è l’unica verità. Non esistono, non possono esistere strumentalizzazioni di sorta. Per questo la Chiesa ha bisogno di far conoscere Cristo, senza impedimenti. Il Papa non ha mancato di sottolineare gli aspetti positivi del nuovo corso cubano, richiamando, però, la necessità di andare avanti senza esitazioni. Senza esitazioni. E non perché la Chiesa cerchi privilegi. Essa, infatti, vuole solo la possibilità di essere «fedele al mandato del suo fondatore». E ha concluso invocando ancora una volta amore, fraternità, riconciliazione e pace, gli unici strumenti attraverso i quali è possibile assicurare a Cuba e al mondo quel cambiamento di cui hanno bisogno.
Forse quelle trecentomila persone che hanno riempito piazza della Rivoluzione al ritmo di un’immensa preghiera cantata, hanno oggi una consapevolezza maggiore di un futuro che li vuole protagonisti. Sarà, forse, per questo che quella piazza non volevano assolutamente lasciare. Neppure quando il Papa è andato via. Il momento che hanno vissuto è stato di quelli da non consumare in fretta. Sono rimasti a parlare, a commentare, a pregare.
Intanto in nunziatura Benedetto XVI incontrava Fidel Castro.
Nel primo pomeriggio, all’aeroporto intitolato al padre della nazione, si è svolto l’ultimo atto di questa giornata conclusiva del viaggio, la cerimonia del congedo. Sembrerebbe persino scontato parlare della festa che migliaia di cubani hanno portato in strada per salutare il Papa al momento della partenza. Se non fosse per raccontare di come sia cambiato il clima in poche ore e di come oggi i cubani amino molto di più di ieri il Papa.
Il giorno dell’arrivo si era avuta l’impressione di un’accoglienza festosa sì ma troppo composta per essere cubana. Era sembrato che fossero in soggezione. Poi via via che hanno sentito parlare Benedetto XVI, a mano a mano che hanno cominciato a comprendere il senso delle sue parole chiare, pronunciate con l’umiltà e la semplicità di chi sa di portare un messaggio d’amore tra tutti gli uomini, un messaggio di carità, di solidarietà, allora è stato come se si fossero sciolti. E hanno dato libero e spontaneo sfogo al loro entusiasmo per aver scoperto un amico in più, un uomo che parla di verità e di libertà.
E perché fosse chiara la volontà del Papa di essere al fianco al popolo cubano in questo momento di transizione, è giunto puntuale il suo appello alla comunità internazionale perché sostenga il Paese desideroso di futuro.
Ma come sempre il Papa parla a tutti senza distinzioni e tutti richiama alle proprie responsabilità. Se dunque ha rinnovato il suo appello affinché nessuna restrizione alle attività economiche sia imposta da altri al di fuori della nazione «poiché pesano iniquamente sulle popolazione», al tempo stesso ha chiesto un impegno serio affinché «Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani».
L’aereo è decollato alle 16.45 locali ed è giunto a Roma giovedì mattina, 29 marzo, dopo circa dieci ore di volo.
(©L'Osservatore Romano 30 marzo 2012)
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