martedì 23 ottobre 2012

Anno della Fede. I 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica e la comunicazione (Sir)

Su segnalazione di Laura leggiamo:


ANNO DELLA FEDE

Per contatto personale

I 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica e la comunicazione

“Norma sicura per l’insegnamento della fede e fonte certa per una catechesi rinnovata”, e impostata sul Credo. È il Catechismo della Chiesa cattolica, nelle parole di Benedetto XVI. A don Salvatore Currò, presidente dell’Associazione italiana dei catecheti (Aica), Maria Michela Nicolais, per il Sir, ha posto alcune domande sul “senso” del 20° anniversario del Catechismo, all’inizio dell’Anno della fede

I 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica coincidono con il 50° del Concilio e con l’apertura dell’Anno della fede. Che significato ha questo legame?

“Questo legame deve aiutare a dare la giusta collocazione e il giusto significato al Catechismo, che s’inserisce innanzitutto in un cammino ecclesiale segnato dal Concilio. In apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII, nel famoso discorso ‘Gaudet Ecclesia’, invitava a una serena adesione alla tradizione dottrinale della Chiesa ma, nello stesso tempo, a misurarsi con i problemi del tempo e a prendere a cuore le preoccupazioni comunicative e della forma della dottrina. Il Catechismo può aiutarci a sentirci nella tradizione, se necessario anche a riconciliarci con la tradizione; può aiutarci anche, come insiste ripetutamente Benedetto XVI, a non interpretare il Concilio in termini di rottura con la tradizione. Sarebbe un errore però non prolungare lo sforzo del Concilio di dialogo sincero, profondo e insieme critico, col mondo di oggi. Non dobbiamo lasciarci prendere dalla nostalgia del passato, tantomeno da un giudizio unilaterale e tutto negativo sul rinnovamento ecclesiale suscitato dal Concilio. L’Anno della fede, poi, mettendo al centro la questione del credere, ci aiuta a pensare il Catechismo, che ci richiama i contenuti della fede, in rapporto alle questioni relative all’atto stesso di credere, che è il primo problema. Le domande fondamentali di oggi sono: perché credere? Che senso ha credere nella società di oggi? Qual è il significato umano del credere?”.

La Chiesa ha il “dovere” di trasmettere la fede: con quale linguaggio?

“La Chiesa ha il dovere di trasmettere la fede ed ha anche la capacità, attestata dalla tradizione, di valorizzare tanti linguaggi e di aprirsi a nuovi linguaggi; dai linguaggi verbali a quelli del corpo, dai linguaggi che parlano più alla mente a quelli che parlano di più ai sensi e al cuore, dal linguaggio dell’arte a quello liturgico e a quelli dei nuovi media, ecc. Non si tratta di prendere una via escludendo le altre; vanno superate le posizioni unilaterali ed esclusiviste. Credo che tali linguaggi vanno valorizzati non come se fossero semplici strumenti per far arrivare meglio il nostro messaggio. Vanno inseriti, piuttosto, in ottiche educative che sanno aiutare l’interiorità, che sanno dare la parola anche all’altro, che sanno educare al silenzio e che sanno mettere nelle condizioni di poter udire una parola che viene da Dio. Se devo dare una priorità, la darei alla relazione interpersonale e alla sua qualità, alla quale, in certo senso, vanno ricondotti tutti i linguaggi. Credo che, in fondo, la trasmissione della fede passi sempre da un contatto personale. E forse il linguaggio è, prima di tutto, contatto”. 

“Il cristiano spesso non conosce neppure il Credo”, il grido d’allarme lanciato dal Papa: il Catechismo può essere un modo per superare l’analfabetismo religioso?

“L’analfabetismo religioso è un grave problema, come lo è la difficoltà a percepire che l’atto di fede ha un senso nella vita, anzi s’iscrive in un movimento che dà verità alla vita. La questione dei contenuti (della ‘fides quae’) e quella dell’atteggiamento di fede (‘fides qua’) sono sempre legate tra loro. Il Catechismo è certamente un richiamo a essere attenti, nell’educazione religiosa, nella catechesi, nelle varie esperienze di evangelizzazione, a far conoscere i contenuti della nostra fede. D’altra parte, la pratica del primo annuncio, che si diffonde sempre di più, è sfidata continuamente a dire l’essenziale della nostra fede. Oggi c’è bisogno di far percepire, da subito, qual è l’essenziale della fede cristiana, e quali sono i contenuti fondamentali. Ciò implica, prima di tutto, una preparazione dei catechisti e degli evangelizzatori. Il Catechismo può aiutare evidentemente, ma non da solo e tenendo conto che di per sé non è pensato come uno strumento da utilizzare direttamente coi destinatari dell’annuncio. È uno strumento per gli operatori pastorali prima di tutto e uno strumento da utilizzare insieme agli altri strumenti del progetto catechistico italiano”.

Relativismo e sincretismo, denuncia sempre Benedetto XVI, possono sfociare in una religione “fai-da-te”. Non c’è il rischio che l’uomo contemporaneo percepisca il Catechismo come qualcosa di “moralistico”, e quindi distante dalla sua vita quotidiana?

“Il fai-da-te è atteggiamento diffuso oggi, non solo in fatto di religione e di fede. Il senso della soggettività, del partire da se stessi, del ripensare le proposte in rapporto a se stessi, sono inevitabili. Bisogna, più che predicare contro il soggettivismo e più che contrapporsi con un atteggiamento moralista e di giudizio, imparare ad accompagnare con atteggiamento educativo. La questione educativa, che la Chiesa italiana ha messo al centro, è davvero centrale. Bisogna aiutare il senso critico, l’approfondimento delle esperienze, il gusto del pensare, il senso dell’interiorità, per dilatare la propria soggettività e per aprirsi al senso vero delle cose e anche al senso vero della fede. Questa problematica è educativa e va oltre il ruolo che può giocare il Catechismo”.

La Chiesa italiana, con “Educat”, ha scelto di servirsi del digitale per mettere a disposizione il Catechismo della Chiesa cattolica e i Catechismi. È questa la “nuova frontiera” su cui si gioca l’accessibilità e la plausibilità dell’annuncio?

“Educat è una bella iniziativa della Chiesa italiana. Può essere di grande aiuto a tutti, penso soprattutto ai catechisti. Essa aiuta, tra l’altro, a cogliere i legami tra i vari Catechismi della Chiesa italiana, a cominciare da quello degli adulti, e il Catechismo della Chiesa cattolica. Aiuta anche a valorizzare in modo giusto il Catechismo, pensandolo in rapporto a tutto il progetto catechistico italiano. È importante oggi superare mentalità settoriali, aiutare sguardi armonici, sinottici; è importante rendersi conto della complessità delle problematiche, comprese quelle della catechesi e dell’evangelizzazione. Educat è un segno che la Chiesa si apre ai nuovi linguaggi, e può aiutare senz’altro lo sforzo di annuncio. Senza sminuire, lo ripeto, tutte le altre vie, a cominciare da quella, che mi sembra via maestra, del contatto personale”.

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