sabato 27 ottobre 2012

Un salto in avanti. Domani l'apertura dell'Anno della fede al santuario di Deir Rafat (Sir)

Su segnalazione di Laura leggiamo:

Un salto in avanti


Domani l'apertura dell'Anno della fede al santuario di Deir Rafat

L’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) aprirà ufficialmente l’Anno della Fede domani domenica 28 ottobre, in occasione della festa della Beata Vergine Maria, Regina di Palestina e Patrona principale del Patriarcato Latino di Gerusalemme e di tutta la Terra Santa. Sarà il patriarca latino emerito, Michel Sabbah, a presiedere la messa che avrà luogo nel santuario di Deir Rafat. Si tratta di un’apertura comunitaria che vedrà presenti tutti i riti cattolici, latino, melkita, maronita, armeno, sirocattolico e caldeo. Daniele Rocchi per il Sir, alla vigilia di questo appuntamento, ha posto alcune domande a mons. William Shomali , vicario patriarcale latino per Gerusalemme e Palestina.

Eccellenza, che significato assume l’Anno della fede per le chiese di Terra Santa? 

"Innanzitutto quello di partecipare ad un evento cattolico, mondiale e questo ci dona una sempre maggiore consapevolezza di far parte della Chiesa universale. Inauguriamo quest’Anno dopo un Sinodo sulla nuova evangelizzazione che ribadisce l’urgenza di ri-dire, testimoniare la nostra fede con le parole e l’esempio. Un primo atto concreto è l’unità nella quale tutti i riti si ritroveranno nel santuario mariano di Deir Rafat per cominciare questo cammino insieme. Saremo tutti sotto il segno della cattolicità e dell’unità".

Riscoprire e rinnovare la propria fede è l’obiettivo primario di questo Anno: in che modo intendete raggiungerlo? 

"L’obiettivo, come detto, è quello di approfondire la propria fede. In Terra Santa, va detto, la fede corre il rischio di avere un carattere sociale che connota fortemente l’identità delle persone e delle comunità. La fede non è solo questo ma è soprattutto un legame forte di fiducia con Dio. Ci sono diversi livelli di appartenenza alla fede, il primo è identitario, stabilisce un’appartenenza sociale, c’è poi quello di conoscenza, che ci permette di conoscere i contenuti della nostra fede anche se ciò non significa necessariamente credere. È importante così fare un atto di fede e affidarsi a Dio e al suo piano di salvezza. Ecco il salto della fede che vorremmo fare con le nostre comunità e i nostri fedeli in questo tempo".

Come pensate di lavorare per ottenere questo salto in avanti nel cammino di fede? 

"Abbiamo approntato programmi di omelie e di catechesi, iniziative volte alla lettura della Bibbia in casa, alla formazione, alla conoscenza del Catechismo. Solo la vicinanza e la pratica quotidiana della Parola può ravvivare e far crescere la fede e spingere all’evangelizzazione".

L’Anno della fede, secondo Benedetto XVI, "è un invito ad una rinnovata conversione al Signore" che rende credibile la testimonianza, anche pubblica, di vita dei credenti. Credere non è un fatto privato, specialmente in un Medio Oriente attraversato da tensioni, conflitti ma anche da istanze di giustizia e di rinnovamento. Che significa evangelizzare per i cristiani mediorientali? 

"Innanzitutto dobbiamo essere evangelizzati e credere al Vangelo che ci può dare la giusta serenità per affrontare le difficoltà e le sofferenze del tempo presente. L’Anno della fede dovrà incidere sulla vita personale di ogni fedele perché da credente diventi anche testimone coerente. Il nostro impegno sociale, scuole, ospedali, centri di formazione, non avrebbe senso senza una testimonianza coerente di fede. Fede e opere devono camminare insieme".

Quali frutti vi aspettate da questo Anno della fede per le Chiese della Terra Santa? 

"La fede diventi la base della vita di ogni nostro fedele e si trasformi in carità. Non possiamo prescindere dall’amore verso i nostri fratelli, siano essi cristiani, ebrei e musulmani. Il dialogo, l’accoglienza, la testimonianza coerente siano i frutti sperati di questo Anno, ma anche il coraggio. Da una fede rinnovata possa scaturire quel coraggio nei nostri fedeli a rimanere in Terra Santa per rispondere così alla chiamata di Dio che qui li ha posto e fatti nascere. Abitare in Terra Santa non è una fatalità, un caso, ma una chiamata, una vocazione".

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