mercoledì 3 ottobre 2012

La seconda udienza del processo a Gabriele nella ricostruzione di TMNews


Vaticano/ Scontro maggiordomo-gendarmi: Maltrattato in cella

Non colpevole ma ho tradito Papa. La deposizione di don Georg

Città del Vaticano, 2 ott. (TMNews) 

Attriti, veleni e divergenze, emersi da mesi in Vaticano con il caso della fuga di documenti riservati (Vatileaks), si sono trasformati oggi in un vero e proprio scontro tra i protagonisti della vicenda. Da una parte Paolo Gabriele, il maggiordomo accusato di furto delle carte, dall'altra gli uomini che lo hanno arrestato e detenuto, i gendarmi vaticani del comandante Domenico Giani, già bersaglio di un capitolo di 'Sua Santità', il bestseller che Gianluigi Nuzzi avrebbe scritto grazie ai documenti avuti dal maggiordomo.
Arrestato il 23 maggio, ai domiciliari dal 21 luglio, Paolo Gabriele è rimasto in una cella di sicurezza della caserma della gendarmeria vaticana per quasi sessanta giorni e oggi ha deposto al processo che lo vede come unico imputato. L'ex assistente di camera del Pontefice si è dichiarato, a sorpresa, innocente: "Riguardo al furto aggravato mi dichiaro innocente. Mi sento colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre, che io sento di amare come un figlio". Paolo Gabriele ha precisato di non avere avuto complici ("Nessun altro, né su mia richiesta né su mia iniziativa"), ma di essere stato "suggestionato dall'ambiente".
In particolare, ha confermato di essere stato in contatto con sette persone che aveva citato negli interrogatori durante l'istruttoria: "padre Giovanni", suo confessore, i cardinali Angelo Comastri, vicario del Papa per la basilica di San Pietro, Paolo Sardi, ex 'ghostwriter' di Benedetto XVI ed ex vice-camerlengo, monsignor Francesco Cavina - oggi vescovo di Carpi ma fino al 2011 funzionario della segreteria di Stato - e l'ex governante di Ratzinger Ingrid Stampa. Sardi e Stampa, in particolare, erano stati menzionati in un'articolo del quotidiano tedesco 'Die Welt' che faceva anche il nome dell'ex segretario personale del Papa, il vescovo Josef Clemens, che, ascoltato nell'istruttoria, non è stato invece nominato oggi.
Il maggiordomo del Papa ha poi citato "il dottor Mauriello e Luca Catano". Il secondo, in particolare, gli sarebbe stato presentato da un amico di liceo, Enzo Vangeli, che gli era sembrato "molto addentro" alle questioni della gendarmeria vaticana, tanto da scambiarlo per un magistrato, e con cui aveva poi stretto "amicizia". "Sapeva delle cose riguardanti il comandante Giani e mi ha consegnato l'articolo 'Napoleone in Vaticano'" poi finita nel libro di Gianluigi Nuzzi 'Sua Santità'. "Posso precisare - ha detto - che era un momento particolare nella gendarmeria e i gendarmi erano sconcertati per il trattamento poco corretto nei confronti del cappellano", mons. Giulio Viviani, tornato nella sua Trento nel 2010.
Proprio con la gendarmeria è nato un contenzioso giuridico velocemente sfociato in scontro. In un primo momento - gli ha domandato nel corso dell'interrogatorio la sua avvocata, Cristiana Arru - Gabriele sarebbe stato tenuto in una "cella di isolamento" nella quale non c'era spazio neppure per "allargare le braccia". "Sì è vero", ha risposto l'imputato. La legale ha domandato se vi è rimasto per venti giorni e il 'pm' Nicola Picardi ha precisato che si è trattato di "meno di venti"), per poi precisare che il tribunale ha poi organizzato una cella più adeguata e anche il pranzo gli veniva dato non attraverso la presa d'aria ma consegnato personalmente. Gabriele - è stato spiegato - sarebbe stato tenuto in quella cella anche perché un'altra è stata occupata per una notte dall'altro imputato Claudio Sciarpelletti. L'avvocato Arru ha allora domandato conferma del fatto che nella cella è stata tenuta accesa la luce 24 ore su 24 e non vi era interruttore. "E' vero che non c'era l'interruttore e che la luce è rimasta accesa 24 ore al giorno, ciò che mi ha provocato un abbassamento della vista". Gabriele ha parlato anche di "pressione psicologiche" ed ha raccontato che la prima notte non li è stato dato neppure il cuscino. Su invito del presidente del tribunale Giuseppe Dalla Torre, il 'promotore di giustizia' (pm) del Vaticano, Nicola Picardi, ha immediatamente aperto un fascicolo per "accertare se vi siano stati abusi nel corso della detenzione" di Paolo Gabriele.
Dando la notizia, il portavoce vaticano, Federico Lombardi,ha precisato che anche la prima cella in cui è stato detenuto è "a norma degli standard internazionali fissati dalle convenzioni firmate dalla Santa Sede". Il fascicolo, ha detto, è stato aperto sia per accertare le eventuali violazioni che per verificare "se sono state fatte accuse non giuste verso l'autorità giudiziaria". Lombardi ha poi ricordato che nella sentenza di rinvio a giudizio, al punto numero due, sono stati elencati 39 provvedimenti a favore del detenuto (come l'assistenza sanitaria e spirituale), ed ha concluso: "Che venga fuori adesso una condizione apparentemente inumana pone qualche interrogativo".
Nel giro di pochi minuti, la sala stampa vaticana ha poi diffuso un duro e dettagliato comunicato della gendarmeria vaticana, nel quale il corpo guidato dal comandante Giani ha assicurato di aver trattato Paolo Gabriele con il "massimo rispetto", ha sottolineato le "attenzioni" di cui è stato oggetto in ragione della "pregressa amicizia e conoscenza", ha chiarito che Gabriele è stato tenuto nella prima cella perché le altre erano in ristrutturazione ed ha sottolineato che la luce era accesa per assicurarsi che il maggiordomo non compisse gesti autolesionistici. "Nel caso dovessero risultare infondate" le sue accuse di maltrattamento - è la conclusione della nota - "egli potrebbe essere passibile di una controdenuncia".
Nel corso dell'udienza odierna sono stati ascoltati, oltre al maggiordomo, i testimoni monsignor Georg Gaenswein, segretario particolare del Papa, Cristina Cernetti, una delle 'memores domini' che svolgono servizio presso l'appartamento pontificio, e i gendarmi Giuseppe Pesce, Gianluca Gauzzi Broccoletti, Costanzo Alessandrini. 'Don Georg' è apparso poco a suo agio, schermendosi con una battuta: "E' la prima volta che faccio una cosa del genere".
"Durante gli anni del suo servizio non ho avuto mai ragione di dubitare di lui", ha detto il prelato tedesco, seduto a pochi metri da Paolo Gabriele. I due non si sono scambiati nessuno sguardo, sebbene l'ex assistente di camera di Ratzinger si sia alzato ogni volta che Georg Gaenswein è entrato nell'aula. Il segretario del Papa ha detto di aver dubitato per la prima volta di Paolo Gabriele quando ha visto nel libro di Gianluigi Nuzzi 'Sua Santità' tre documenti che aveva solo lui: una lettera a lui indirizzata da Bruno Vespa, una seconda lettera di una banca milanese e un appunto del portavoce vaticano Federico Lombardi sul caso di Emanuela Orlandi. "Non mi sono accorto che gli originali mancavano", ha detto più in generale Gaenswein, "ma erano riconoscibili perché avevano il timbro dell'ufficio". Il 21 don Georg ha convocato una riunione dell'appartamento pontificio ed ha formulato le prime accuse a Paolo Gabriele, che le ha respinte, poi, il 23 maggio, dopo una decisione della commissione cardializia responsabile, ha comunicato a Gabriele la sospensione 'ad cautelam'. Quel pomeriggio stesso i gendarmi hanno perquisito casa del maggiordomo e lo hanno portato in cella.
Nel tempo "ho maturato la convinzione che è facile manipolare la persona che ha un potere decisionale così importante", ha detto il maggiordomo a proposito del Papa. "A volte, quando sedevamo a tavola, il Papa faceva domande su cose di cui doveva essere informato". L'ex assistente di camera del Papa ha spiegato: "Cercavo una persona di fiducia con cui sfogare il mio stato d'animo di sconcerto per la situazione divenuta insopportabile, uno sconcerto che in Vaticano era ad ampio raggio". Paolo Gabriele ha anche precisato: "Non ero così illuso da non sapere di doverne pagare le conseguenze ma non mi ritengo l'unico ad aver dato nel corso degli anni documenti riservati alla stampa". Il maggiordomo ha chiarito che quando ha raccolto le informazioni sulla gendarmeria, "ho cominciato a sentire la responsabilità di come gestire le informazioni che raccoglievo, tanto che fu il segretario particolare del Papa (mons. Georg Gaenswein, ndr) a chiedermi cosa sapevo della gendarmeria. Io ho risposto aprendogli il mio cuore, offrendogli la possibilità di fargli conoscere chi mi aveva fatto queste confidenze". Ciò, ha spiegato Gabriele, perché già "a inizio del mio incarico chiesi a don Giorgio come comportarmi quando raccoglievo informazioni, cosa che accedeva poiché lavoro in Vaticano dal 1997 sono conosciuto e avevo la fiducia di tantissime persone". Don Georg ha riferito che gli sono stati trovati in casa documenti fotocopiati e originali. Tra questi, carte che risalgono al 2008, quando ha preso servizio.
Il processo prosegue domani, con una nuova udienza - la terza - nella quale verranno ascoltati gli ultimi quattro testimoni, i gendarmi vaticani Luca Cintia, Stefano de Santis, Silvano Carli e Luca Bassetti. Giovedì 4 ottobre, con ogni probabilità, non ci sarà udienza poiché il Papa si recherà a Loreto nel giorno di San Francesco patrono d'Italia. Le ultime udienze dovrebbero svolgersi nei giorni seguenti, con l'arringa difensiva della legale di Paolo Gabriele, Cristiana Arru, la replica del 'pm' Nicola Picardi, la camera di consiglio e la sentenza.

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