domenica 7 ottobre 2012

Gabriele è colpevole di furto aggravato dei documenti del Papa, ma la pena che gli è stata inflitta è mite rispetto alla gravità dei fatti addebitatigli (Il Tempo)


Processo a Gabriele

Cronaca di una condanna annunciata: Paolo Gabriele è colpevole di furto aggravato dei documenti del Papa, ma la pena che gli è stata inflitta è mite rispetto alla gravità dei fatti addebitatigli.

Ieri il Tribunale vaticano ha condannato l'ormai ex maggiordomo del Papa a un anno e sei mesi di reclusione: esattamente la metà dei tre anni di partenza in virtù del gioco delle attenuanti.
Per giunta, senza interdizione dai pubblici uffici, richiesta che era stata avanzata in forma «perpetua» dal promotore di giustizia Nicola Picardi limitatamente agli uffici vaticani «con uso di potere». Due ore la durata dalla camera di consiglio che ha visto pronunciare la condanna dal presidente Giuseppe Dalla Torre nella quarta udienza del processo. C'è da dire intanto che Gabriele dovrà pagare le spese processuali ma che, soprattutto, non andrà ancora in carcere: al momento, in regime di arresti domiciliari, è tornato nella sua casa in Vaticano. L'ex «uomo fidato» di Benedetto XVI attenderà i termini entro i quali il suo avvocato difensore Cristiana Arru possa proporre appello: per l'esattezza, avrà tre giorni per dire se s'intende farlo, di più per presentarne le motivazioni. Ma la possibilità che sembra già farsi ampia strada è quella di una grazia che Benedetto XVI potrebbe concedere al suo servitore giudicato «infedele». Una prima conferma di questa eventualità è arrivata da Padre Federico Lombardi che ha definito «molto concreta e molto verosimile». Peraltro, «senza poterne ancora comunicare tempi o modi», ha chiarito il portavoce vaticano. Anche sullo sfondo di un atteggiamento a dir poco rasserenante nel solco della bontà e del perdono, l'avvocato rotale Cristiana Arru ha definito quella del Tribunale Vaticano «una buona sentenza, equilibrata: ora dobbiamo leggere le motivazioni». 
Un appello potrebbe anche essere possibile, ma in questo scenario il «dobbiamo valutare» dell'avvocato difensore di Paolo Gabriele appare più una risposta scontata che una reale intenzione. In attesa delle motivazioni, la sentenza di ieri ha riconosciuto Gabriele colpevole di furto aggravato (art. 404 primo comma n. 1 del Codice penale vaticano) per aver operato «con abuso della fiducia derivante dalla relazioni di ufficio» la «sottrazione di cose» che «in ragione di tali relazioni erano lasciate od esposte alla fede dello stesso». Quindi, la pena stabilita dal Tribunale è stata di tre anni (la stessa richiesta dal pm Picardi, su un massimo di pena di sei anni per quel reato), ridotta della metà grazie all'applicazione dell'articolo 26 della legge n. 50 emanata nel 1969 da Paolo VI: di fatto, sono state considerate «l'assenza di precedenti penali, le risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento soggettivo - sia pure erroneo - indicato dall'imputato quale movente della sua condotta, nonché la dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre». E Padre Lombardi non ha mancato di sottolineare l'applicazione «magnanima» di questo articolo di legge». Da registrare, prima che si ritirasse la Corte, l'ultima dichiarazione di Paolo Gabriele alla domanda del presidente se si sentisse colpevole o innocente: «Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro. La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per esclusivo, direi viscerale, amore per la Chiesa di Cristo e il suo capo visibile». Sposato e padre di tre figli, l'ex maggiordomo, 46 anni, pur sospeso dal servizio continua a percepire lo stipendio: ha ascoltato la sentenza impassibile, con un quasi impercettibile battito delle palpebre. Alla fine, disteso e quasi sorridente, ha salutato con estrema cortesia i presenti in aula. Nel dettaglio del processo, il rappresentante dell'accusa, Nicola Picardi, aveva chiesto una condanna a tre anni di reclusione, partendo da una pena di quattro anni per furto aggravato ridotta di un anno per le attenuanti generiche. In una requisitoria di circa 40 minuti, Picardi ha ripercorso i fatti e l'istruttoria, le ammissioni di Gabriele sulla fotocopiatura dei documenti nella segreteria particolare del Pontefice e le motivazioni addotte sul fatto che il Papa non fosse «sufficientemente informato» su molte questioni e che occorreva dare «uno shock mediatico» per favorire l'opera di pulizia. Da qui la decisione di consegnare i documenti al giornalista Gianluigi Nuzzi. E ieri sono spuntati anche i nomi di due sacerdoti legati al presunto «corvo»: quelli di don Giovanni Luzi, padre spirituale di Gabriele, il «padre B» citato nelle carte dell'inchiesta al quale il maggiordomo aveva consegnato una seconda copia dei documenti riservati, e don Paolo Morocutti, suo primo padre spirituale e assistente dell'Università cattolica di Roma. Quindi, Picardi ha ricordato come don Luzi, che fu presentato al maggiordomo da don Morocutti, «distrusse» le copie dei documenti consegnatigli da Gabriele. C'è da dire che entrambi i sacerdoti sono legati alla comunità «Madre del Buon Pastore» di Palestrina: don Luzi ne è il fondatore, Morocutti il confessore. Comunque, l'accusa ha escluso che sia emersa l'esistenza di complici. Picardi ha detto: «Dall'indagine istruttoria manca la prova di qualsiasi correità o complicità con Paolo Gabriele». Poi ha parlato di «persona suggestionabile», precisando però che «la suggestione non è prova della presenza di complici». E a proposito del «profitto» tratto dalla diffusione dei documenti, questo non ha riguardato il maggiordomo, ma «altri», e questo «nel caso specifico è indubbio», ha sottolineato Picardi con riferimento implicito a Nuzzi. L'avvocato Arru, in 25 minuti di arringa, ha contestato la fattispecie del furto, dal momento che i beni di cui Gabriele si è appropriato era nella sua disponibilità come membro dell'ufficio. E, occorre aggiungere, a proposito delle motivazioni, il legale ha parlato di «alti motivi morali», di «un atto condannabile e illecito», ma di un Gabriele «costretto dal male che vedeva». Dunque, le «suggestioni ambientali» che hanno spinto Gabriele erano i fatti che stavano sotto i suoi occhi. «Nessun complotto, nessuna macchinazione», ha ribadito l'avvocato che, al termine, ha chiesto di derubricare il furto in appropriazione indebita (e in subordine il minimo della pena per il furto), reato che avrebbe cancellato la pena in quanto richiede la querela di parte affinché si proceda. La vicenda finisce ancora in tv: questa sera alle 21,30 su Tgcom 24 Claudio Brachino condurrà «Top Secret», in diretta da Piazza San Pietro per fare il punto sulla condanna a 18 mesi di Paolo Gabriele.

© Copyright Il Tempo, 7 ottobre 2012 consultabile online anche qui.

Nessun commento: