Essere porta aperta
Dal Sinodo dei vescovi una precisa prospettiva per la nuova evangelizzazione
Marco Doldi
Il messaggio conclusivo del Sinodo dei Vescovi offre una prescisa prospettiva secondo cui considerare l’impegno per la nuova evangelizzazione. A partire dall’incontro di Gesù con la donna samaritana (cf. Gv 4,5-42), i vescovi indicano che anche la Chiesa “sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita, così che possano incontrarlo perché lui solo è l’acqua che dà la vita vera ed eterna” (Messaggio al Popolo di Dio della XIII Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 1). La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana ha dunque in questa icona evangelica il suo modello. Come la donna di Samaria, accanto ad un pozzo con un’anfora vuota, ogni uomo o donna vive nella speranza di trovare l’esaudimento del desiderio più profondo del cuore, “quello che solo può dare significato pieno all’esistenza”. Molti sono oggi i pozzi che si offrono alla sete dell’uomo, ma solo Gesù offre l’acqua viva.
Che cosa significa dunque evangelizzare? O, ancora di più, in che cosa consiste la nuova evangelizzazione? La risposta dei vescovi è allo stesso tempo semplice e insuperabile. Evangelizzare significa “condurre gli uomini e le donne del nostro tempo a Gesù, all’incontro con lui” (2). Il compito è chiaro, ma è anche urgente perché ovunque – in tutte le regioni del mondo di antica e di recente evangelizzazione – si sente il bisogno di ravvivare la fede, che rischia di oscurarsi. Con sano realismo i vescovi affermano che non si tratta di cominciare tutto daccapo, ma di inserirsi nel lungo cammino di proclamazione del Vangelo che, a partire dai primi secoli dell’era cristiana fino al nostro tempo, ha percorso la storia, edificando ovunque la Chiesa.
Il Vangelo non cambia, semmai mutano velocemente gli scenari sociali e culturali in cui viviamo. Così, l’evangelizzazione è nuova non nei contenuti, quanto piuttosto nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni, come diceva già negli anni ’80 Giovanni Paolo II. E, recentemente, Benedetto XVI, proprio inaugurando la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha affermato che l’odierna evangelizzazione è rivolta “principalmente alle persone che pur essendo battezzate si sono allontanate dalla Chiesa e vivono senza far riferimento alla prassi cristiana” (Omelia, 7 Ottobre 2012). L’evangelizzazione ha lo scopo di favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; ha lo scopo di favorire la riscoperta della fede, in quanto sorgente di grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale. L’annuncio della fede, oggetto della nuova evangelizzazione, dipende grandemente dal proprio rapporto personale con il Signore Gesù, che per primo viene incontro ai discepoli d’oggi. Si può dire che la prima forma di annuncio sia rivolta proprio a coloro che devono annunciare, in quanto l’opera della fede prima che negli altri incomincia in se stessi. Così, i vescovi invitano tutti a “contemplare il volto del Signore Gesù Cristo ad entrare nel mistero della sua esistenza donata per noi fino alla croce, riconfermata come dono del Padre nella sua resurrezione dai morti e comunicata a noi mediante lo Spirito” (3). Nella persona di Gesù si rivela il mistero dell’amore di Dio Padre per l’intera famiglia umana.
La bellezza e la novità perenne dell’incontro con Cristo si rinnova nella Chiesa: essa è lo spazio voluto da Cristo per poter incontrarlo nella sua Parola, nel Battesimo che ci fa figli di Dio, nella mensa eucaristica, nel sacramento del perdono, nell’esperienza viva di una comunione fraterna che è riflesso del mistero stesso della Trinità e nella forza dello Spirito che genera nei cuori la carità verso tutti. Una partecipazione alla Chiesa di tale qualità diviene la porta aperta per tanti. Diviene l’offerta di pozzi per gli uomini e le donne assetati, oasi nei deserti della vita dove far loro incontrare il Signore Gesù. Essere “porta aperta” è la responsabilità dei discepoli del Signore che animano le comunità cristiane.
Tanti sono i modi per incontrare in maniera personale il Signore Risorto. Basti pensare, per esempio, agli apostoli che hanno incontrato Gesù nel contesto del loro lavoro, o a Zaccheo che dalla semplice curiosità è passato alla condivisione della mensa con il Maestro, o al centurione romano che ha cercato Gesù in occasione della malattia di una persona cara, o a Marta e Maria che lo hanno incontrato e ospitato nella propria casa. Questi e molti altri episodi testimoniano che sono tanti gli spazi di incontro con lui, spazi radicati nelle dimensioni di fondo della vita dell’uomo: la famiglia, il lavoro, l’amicizia, le povertà e le prove della vita. Ieri come oggi.
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