venerdì 13 luglio 2012

Restauro delle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro. Il cardinale Ravasi: valorizzare “catacombe ignote”

Restauro delle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro. Il cardinale Ravasi: valorizzare “catacombe ignote”


Si trovano sulla via Casilina a Roma, presso una zona chiamata "ad duas lauros", le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, che finora hanno vissuto solo brevi momenti di aperture straordinarie. A sostenere i costi del restauro che renderà accessibile il sito, è la Fondazione “Heydar Alieyev”, presieduta dalla first lady della Repubblica di Azerbaijan, Mehriban Aliyeva, che recentemente ha firmato un Protocollo assieme al cardinale Gianfranco Ravasi, nella sua veste di presidente della Pontificia Accademia di Archeologia sacra. Nel luogo dove si trovano le catacombe, l'imperatore Costantino fece tra l'altro erigere il Mausoleo dedicato a sua madre, Sant’Elena. Sull’importanza del restauro di queste catacombe, che si estendono per ben 18 mila metri quadri e sono costellate di affreschi del III e IV secolo, Debora Donnini ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: 


R. – Sta appunto per aprirsi un programma di analisi di queste catacombe: già in passato, sono state condotte delle ricerche, sono stati scoperti molti scheletri e questo vuol dire che si trattava veramente di una necropoli di grande rilievo. Ora, noi abbiamo intenzione di procedere, attraverso il contributo che ci è stato offerto da una Fondazione dell’Azerbaijan, nell’identificazione delle aree che devono essere restaurate e poi, soprattutto, favorire la possibilità dell’accesso: l’accesso non è semplice, avendo sopra degli edifici che sono anche recenti, ma soprattutto avendo sopra il grande Mausoleo di Elena. 


D. – Gli affreschi sono del III e del IV secolo. Fra questi si ritrovano figure oranti, pastori con pecorelle, ma anche scene dell’Antico Testamento, per esempio Giona. Cosa ci dicono sui primi cristiani a Roma?


R. – L’elemento più significativo è rappresentato, però, non solo dalle scene dell’Antico Testamento rilette in chiave cristiana - Giona, per esempio, con il grosso pesce simbolo della sepoltura e Risurrezione di Cristo - ma è molto più suggestivo riuscire a identificare il trapasso tra la cultura classica e la cultura cristiana. Si usano, infatti, delle immagini che erano proprie del mondo greco-romano e si applicano a Cristo. E’ folgorante, per esempio, un bellissimo affresco in cui è rappresentato Orfeo con la cetra, il quale attira a sé le anime. Tutto questo viene riletto, però, ormai, in chiave cristiana e quindi il nuovo Orfeo che attira a sé le anime diventa Cristo. Per questo motivo, credo sia anche un luogo molto suggestivo per sottolineare il dialogo interreligioso, interculturale, che già nel III e nel IV secolo era in corso. Per cui, non è avvenuto solo il rigetto della grande tradizione pagana, ma anche la sua assunzione, come farà poi la grande tradizione patristica: pensiamo a Sant’Agostino, che senza Platone e Plotino non sarebbe per molti aspetti comprensibile. 


D. – Per il restauro è stato siglato un Protocollo tra la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e la Fondazione Alieyev della Repubblica di Azerbaijan. Quindi, per la prima volta nella storia recente, un organismo musulmano contribuisce al restauro di un monumento cristiano…


R. – E’ molto curioso questo legame e tra l’altro con le catacombe c’era un legame curioso in passato, perché durante il periodo dell’ultima guerra, per esempio, erano diventate rifugio dei partigiani e, successivamente, i ragazzini del quartiere di Torpignattara entravano a giocare all’interno di queste catacombe: quindi catacombe con uno spazio quasi “laico”. Ora, abbiamo un intervento di una fondazione culturale - prima di tutto e quindi non strettamente religiosa - di un Paese musulmano, sciita, che agli occhi nostri sembrerebbe essere quasi l’Islam più remoto rispetto al dialogo: invece io ho trovato, in seguito a una visita ufficiale che ho fatto in quello Stato, questa grande disponibilità a voler testimoniare l’incontro tra le culture anche attraverso i segni religiosi. 


D. – Si punta ad aprire almeno una parte di queste catacombe nel 2013, anno in cui ricorre l’anniversario dei 1.700 anni dell’Editto di Costantino. Questo sarà possibile?


R. – Prima di tutto, questo intervento della Fondazione Alieyev fa parte di un progetto più generale, che noi stiamo considerando, di valorizzazione delle “catacombe ignote”. Il secondo aspetto è che le “catacombe ignote” alcune volte sono di una bellezza straordinaria rispetto alle catacombe note, che pure sono di grande fascino. Io vorrei soltanto ricordare questa catacomba, quando verrà aperta al pubblico almeno in una parte il prossimo anno, e anche – ad esempio – la catacomba di Via Dino Compagni, che è stupenda, ma che è quasi non visitabile per il pubblico, perché purtroppo negli anni Sessanta è stato costruito sopra un palazzo e quindi si deve accedere per una via quasi simile ad un tombino. Terzo, nell’interno di questa catacomba dei Santi Marcellino e Pietro vogliamo inserire idealmente la nostra memoria di Costantino - e cioè la celebrazione che si farà soprattutto a Roma, ma che si farà in particolare a Milano e naturalmente anche nell’area della vicina ex Jugoslavia - un ricordo particolare di Costantino proprio nell’interno di questo luogo, che egli aveva scelto come tomba di sua madre. Le catacombe cristiane di Roma, che sono una novantina, dovrebbero nell’Anno della Fede diventare ancora di più luogo di celebrazione, ma anche di visita, perché lì abbiamo veramente le radici del cristianesimo di Roma: sono sotto terra e hanno fecondato le grandi basiliche che vi sorgono sopra. Per questo motivo, credo che lo stesso titolo che è stato dato a quel documento con cui Benedetto XVI apriva l’Anno della Fede – “Porta Fidei” – è paradossalmente uno dei grandi simboli, bellissimo per altro, presente in una delle catacombe romane: la catacomba di Via Dino Compagni, che ha appunto questa immagine, ripetuta due volte, di apertura della porta verso l’eterno e l’infinito.


© Copyright Radio Vaticana

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Sarebbero quelle dove Socci nel suo ultimo libro ipotizza vi siano i veri resti dell'apostolo Pietro,secondo le visioni valtortiane?Qualcuno mi sa dire qualcosa di specifico?Grazie.GR2

Anonimo ha detto...

Le "visioni" della Valtorta non sono riconosciute dalla Chiesa, qualsiasi cosa ne possa pensare Antonio Socci.
Alessia

cooperator ha detto...

Avevo sentito la notizia qualche giorno fa, ma non ci volevo credere. Oggi la conferma: i musulmani restaurano le catacombe cristiane di Roma.
Possibile che non c'è uno straccio di università, fondazione, istituto culturale, almeno cattolico, magari anche italiano, che abbia a cuore la nostra memoria cristiana?
Spero che gli accordi non prevedano anche di pregare verso la Mecca all'interno dei cubicoli.
Inoltre, come annunciato da Sua Eminenza, questo sembra il primo di una serie di interventi di recupero delle catacombe meno note. La qual cosa è meritoria ma il soggetto finanziatore sbagliato. Ma è centrato l'obiettivo del Cardinal Ravasi: far parlare di sè, financo a realizzare operazioni concettualmente assurde come questa.

Anonimo ha detto...

Beh,se è per questo,lo sceicco katariota e il principe degli emirati arabi hanno stanziato una cifra sostanziosa per il restauro della grotta di Betlemme,quindi...Ale,lo so che la Valtorta non è riconosciuta dalla chiesa ufficiale,ma siccome ho sentito parlare del libro alla tv e mi pareva di aver sentito quel nome delle catacombe,volevo sapere se avevo capito bene;non so a te,ma a me Socci non sconfinfera affatto e non leggerò mai i suoi libri,ma è un'opinione personalissinma ed opinabilissima.GR2

Anonimo ha detto...

Socci mi piaceva, GR2. Oggi non più.
Buona domenica!
Alessia