A un mese dall'incontro mondiale di Milano
La straordinaria normalità della famiglia
di Gualtiero Bassetti*
In questo particolare tornante storico dove tutti, perfino i giovani che hanno affrontato la prova di maturità, parlano con preoccupazione della stagnazione morale ed economica che sembra avvolgere la nostra società, si avverte il bisogno di gesti e di parole di speranza. E proprio per questo non bisogna assolutamente dimenticare quello che è successo a Milano un mese fa: un milione di persone, provenienti da tutto il mondo, si sono incontrate nella città ambrosiana per celebrare e festeggiare la famiglia sotto l'egida spirituale del Papa.
Sarebbe un errore clamoroso derubricare quell'incontro a una mera ritualità ecclesiastica o a un evento che ha fatto dell'eccezionalità la sua caratteristica principale. Non è stato così. L'incontro di Milano, che ha ribadito la straordinaria normalità della famiglia monogamica come cellula fondamentale della società, è stato invece una grande testimonianza di speranza per il futuro della nostra civiltà e per quello della Chiesa.
Negli ultimi anni, infatti, sull'esaurimento della famiglia tradizionale è stato detto e scritto di tutto. Molto spesso a sproposito. Si è parlato di “crisi della famiglia”, di famiglie “sole”, di famiglie “allargate” e si è arrivati addirittura a vaticinare, del tutto impropriamente, la “morte della famiglia”. La stupefacente partecipazione al settimo incontro mondiale delle famiglie a Milano ha messo in mostra, invece, un'altra realtà: la pacifica e felice esistenza, in tutto il mondo, di migliaia di nuclei familiari che si rispecchiano in quell'icona della Trinità che è la famiglia di Nazaret. Che non è affatto un modello astratto superato dai tempi ma rappresenta la vita quotidiana, reale e concreta di una moltitudine festosa di uomini, donne e bambini. E lo splendido affresco di colori e di voci, di sguardi e di idiomi che si sono visti a Milano ci testimonia l'esistenza di una famiglia viva che abbraccia una Chiesa unita sotto lo sguardo mite e paterno del Papa.
La famiglia, il lavoro e la festa, ha ricordato Benedetto XVI sono «tre doni di Dio». Tre dimensioni della nostra esistenza «che devono trovare un armonico equilibrio» per costruire una «società dal volto umano». E per far questo «occorre educarsi a credere» in quell'amore autentico che viene da Dio e che «ci trasforma in un Noi» e che ci permette di superare «le nostre divisioni» fino a farci diventare «una cosa sola» in cui Dio, come ci ricorda san Paolo, sia «tutto in tutti». Parole che trovano una forte eco anche nei contenuti dell'instrumentum laboris della tredicesima assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi. In particolare quando si evidenzia che la famiglia è un «luogo esemplare di evangelizzazione».
La famiglia, scriveva profeticamente Paolo VI, quasi quarant'anni fa, nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, è chiamata a «un'azione evangelizzatrice» all'interno della quale «tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto». E d'altra parte, come aveva già messo bene in luce Jacques Maritain, nella famiglia risiede il fulcro centrale di riferimento del processo educativo. Un'educazione alla vita nel segno dell'amore.
La famiglia, infatti, rappresenta efficacemente quella “Chiesa domestica” che testimonia il segno autentico dell'amore universale di Dio in cui, come affermò Giovanni Paolo II in una sua catechesi del 1994, «l'amore coniugale, l'amore paterno e materno, l'amore filiale, immersi nella grazia del matrimonio, formano un autentico riverbero della gloria di Dio, dell'amore della Santissima Trinità».
La famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna che vivono con i loro figli, pertanto, non assume le sembianze di un mero richiamo ideale e sentimentale, declinato a seconda delle diverse convinzioni di ciascuno, ma rappresenta l'architrave che è in grado di reggere tutta la struttura sociale. Rappresenta il principale sostegno del tessuto collettivo, culturale ed economico della nostra società e fornisce una risposta alla crisi di senso che sembra avvolgere la nostra civiltà.
A quella «degradazione di alcuni valori fondamentali» denunciata da Giovanni Paolo II nell'esortazione apostolica Familiaris consortio del 1981 si è ormai aggiunta una sorta di attesa fideistica nella scienza e nella tecnica ben denunciata, a suo tempo, da Romano Guardini quando si chiedeva in quale rapporto fosse «il grado della vitalità religiosa con il livello razionale-tecnico» della vita quotidiana. La fiducia acritica nella scienza, infatti, razionalizzando l'esistenza, rischia di espellere il “mistero” dalla vita degli uomini e di porre «solo problemi che potranno risolversi scientificamente». Probabilmente, la diffusione dell'identità di genere -- che, negando la differenza biologica tra i sessi, sta minando, nel profondo, le radici della cultura occidentale -- rappresenta uno dei più eloquenti punti di incontro tra la cultura relativista e l'ideologia tecno-scientista.
Siamo dunque entrati in una fase storica in cui la secolarizzazione delle società occidentali non rappresenta più un'ipotesi futuribile ma è, ormai, la cruda realtà dell'ora presente. Quello a cui stiamo assistendo è dunque lo sfaldamento della società attuale in una serie indistinta di molteplici microcosmi socio-culturali, sempre più piccoli, sempre più soggetti a un continuo mutamento, senza una dimensione valoriale forte, sempre più intrinsecamente fragili e apparentemente privi di una meta finale.
Ebbene, in questa società, che alcuni studiosi hanno definito “società liquida”, la famiglia, santificata dal cristianesimo e rinnovata dalla grande intuizione antropologica del concilio Vaticano II, ha una missione da compiere. Una missione alta e prodigiosa, in cui manifestare l'amore gratuito e incondizionato di Dio. Un amore che permette di valorizzare a pieno la dignità della persona, la parità tra uomo e donna, la vocazione al matrimonio, la carità coniugale e la via di santità comunitaria. Un amore che consente ciò che è razionalmente impossibile: donarsi totalmente e gratuitamente all'altro senza chiedere nulla in cambio e senza pretendere niente dall'altro. Un amore, in definitiva, molto diverso dalla mentalità utilitaristica del mondo che cerca di invadere ogni rivolo della nostra esistenza. Una mentalità da cui dobbiamo proteggerci e che dobbiamo rifiutare perché, come ci ha ricordato a Milano Benedetto XVI, «quello che fa l'amore, non potrà mai la paura».
*Arcivescovo metropolita di Perugia - Città della Pieve
(©L'Osservatore Romano 4 luglio 2012)
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