‘ROSSOPORPORA’ DI GIUGNO 2012 DI GIUSEPPE RUSCONI – OSPITATO DA ‘TEMPI’ 27 / 2012
NON POSSIAMO RINUNCIARE ALLA VERITA’
Le stragi “non ci toglieranno l’orgoglio di essere cristiani”. E con il matrimonio “difendiamo una realtà che precede lo Stato”. Dalla violenza islamista a quella politicamente corretta, così la Chiesa resiste alla “demolizione dei diriutti umani”
Stragi in Nigeria, attacchi ripetuti in Kenya, nuove violenze nell’Orissa indiana, chiusure di chiese in Indonesia, minacce continue in Siria: in diverse parti del mondo i cristiani soffrono e sono costretti a temere per la loro vita. Timori diffusi anche in Egitto, dopo l’elezione (più o meno) democratica -la prima in assoluto nella storia- di un esponente dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi a presidente della Repubblica. E’ vero che le prime dichiarazioni e i primi atti del neo-eletto (scelta di una donna e di un copto a vicepresidenti) spingono a un cauto ottimismo. Restano però le dichiarazioni del vincitore presso l’Università del Cairo durante la campagna elettorale: “Oggi possiamo introdurre la sharia perché la nostra nazione potrà raggiungere il benessere soltanto tramite l’islam e la sharia”. Speriamo in bene.
Sull’argomento abbiamo interpellato il cardinale Jean-Louis Tauran, a margine di un incontro del ciclo “Il cortile dei Gentili’ promosso martedì 26 giugno a Villa Borromeo, sede dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Nell’incontro si è riflettuto sui complessi rapporti tra diplomazia e verità: come ha osservato l’ambasciatore Francesco Maria Greco ci si chiede se “la verità sia solo un semplice strumento di lavoro per un diplomatico, una sorta di optional, subordinato al fine assoluto del perseguimento dell’interesse nazionale”. Qui Greco ha fatto una serie di esempi (culminati con le bugie di Colin Powell per giustificare la Seconda guerra del Golfo), da cui traspare che la diplomazia spesso ha con la verità un rapporto perlomeno ambiguo. Nel suo intervento il cardinale Tauran ha evidenziato come da alcuni decenni i diplomatici debbano rispondere non solo alle ‘verità nazionali’, ma anche a quelle ‘internazionali’, fondate sulla ricerca di pace, giustizia, cooperazione tra i popoli: si pretende dunque da loro una ‘doppia fedeltà’. Eminenza, a volte le due verità entrano in conflitto… “Però, nella misura in cui un Paese è firmatario della Carta delle Nazioni Unite – e dunque fa parte della grande famiglia mondiale – deve rispettare gli impegni presi a livello internazionale”. Pace, giustizia, cooperazione…è ancora attuale dunque il monito di Giovanni Paolo II che il 16 marzo 2003 scongiurò: Mai più la guerra? “Sì, è sempre attuale. Per me, tuttavia – rileva il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso – la grande tristezza consiste sempre nel constatare l’incapacità dell’uomo e dei responsabili delle nazioni di trarre le dovute lezioni dal passato, anche recente. Infatti ogni volta che sorge una difficoltà, si pensa subito alla guerra”. E’ stato così in Libia… qualcuno ipotizza che potrebbe essere così anche contro la Siria…Il porporato francese insorge vigorosamente: “Giovanni Paolo II ha detto che la guerra è sempre una sconfitta per l’intera umanità. Penso che questo sia un principio valido per l’oggi e anche per il domani”. Eminenza, Lei è stato recentemente (a fine marzo) in Nigeria e ne era tornato assai ottimista. Invece poi è stato tutto un susseguirsi di stragi… “No, non pensavo che la situazione per i nostri cristiani in Nigeria peggiorasse in tal modo. Sono molto sorpreso, perché tutti i musulmani che ho incontrato nel mio viaggio mi avevano rassicurato sulla loro volontà di un futuro nigeriano condiviso con i cristiani. Evidentemente gli attacchi sono stati pensati e organizzati all’estero, da non nigeriani”. Però in ogni caso il dialogo con i musulmani resta problematico… “Il dialogo interreligioso – rileva qui il porporato francese – incomincia sempre affermando ognuno la propria identità ed è così anche per i musulmani. Noi non possiamo rinunciare alla nostra verità, che è Cristo. E’ chiaro che sul modo di esprimere la verità c’è tutto un familiarizzarsi da fare, molto precario. Anche perché esistono diverse espressioni di islam e in più ci ritroviamo con gruppi terroristici, schegge impazzite, che uccidono i nostri cristiani. Eminenza, in Nigeria – per restare agli ultimi tragici avvenimenti – i cristiani reagiscono…“Giustamente non possono essere considerati come agnelli sacrificali, pronti per il macello. Qui voglio evidenziare che, come diceva recentemente anche il Santo Padre, noi possiamo ben essere orgogliosi del coraggio di tutti i nostri cristiani. In una visita in Pakistan ho partecipato a cerimonie veramente sconvolgenti… io mi sento fiero di essere cattolico”.
Alla serata presso Villa Borromeo erano presenti come relatori anche gli ambasciatori degli Stati Uniti presso la Santa Sede (il teologo Miguel Humberto Diaz, che – riferendosi al tema “Diplomazia e verità” - ha citato sant’Agostino: “Ciò che conta non è solo ciò che si dice, ma come lo si dice”) e del Marocco presso il Quirinale (Hassan Abouyoub, che ha sostenuto come la vecchia diplomazia dell’ambiguità sia ormai superata dalla necessità di una maggiore trasparenza in un contesto democratico). L’ideatore dell’incontro, il cardinale Gianfranco Ravasi, ha da parte sua evidenziato tra l’altro che “il dialogo con i non credenti è nell’animo dei credenti”, perché “Cristo è venuto e ha abolito il muro di separazione tra ebrei e pagani”. Da ciò consegue, per il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che “tutte le concezioni fondamentaliste non sono strettamente cristiane”.
Continua a infuriare da noi il dibattito sul ‘riconoscimento’ delle ‘unioni omosessuali’. Non c’è giorno che l’instancabile lobby non imperversi, perfino attraverso la dichiarazione ‘politicamente corretta’ di un commissario tecnico o di un azzurro mutandato (non Cassano). In questi giorni c’è toccato vedere in bella mostra la copertina di un diffuso ex-settimanale per famiglie (non è ‘Gente’), da cui ammicca una coppia ridente con due gemelline: “Noi siamo famiglia” suona il fatale annuncio. Abbiamo a che fare purtroppo con colpevoli dispensatori di apparente felicità, laddove invece la regola sono complicazioni e lacrime. Tuttavia, se ci chiniamo anche in questo ‘Rossoporpora’ sul tema, è perché emergono sempre più le irrequietezze del mondo cattolico germanofono in materia di famiglia. Con l’intervista al cardinale Kurt Koch (vedi ‘Tempi’ 17/2012) ci eravamo occupati delle cause della ‘disobbedienza’ proclamata da non pochi chierici all’insegnamento ufficiale della Chiesa (e fatta risalire in primo luogo all’interpretazione del Concilio data da Hans Küng); in questa occasione riferiamo invece di qualche recente dichiarazione cardinalizia a proposito di omosessualità che ha suscitato nuovi e accesi scambi di opinione nell’area in questione (l’onda lunga è giunta però fino a Roma).
E’ tradizione quasi centenaria che ogni anno i cattolici tedeschi si ritrovino nel cosiddetto Katholikentag. Quest’anno la manifestazione si è svolta a Mannheim dal 16 al 20 maggio. Tra i tanti eventi di ogni genere previsti anche diversi dibattiti su temi d’attualità. Giovedì 19 maggio ce n’è stato uno introdotto dal gesuita Klaus Mertes, che nel 2010, quand’era rettore del Collegio San Pietro Canisio della capitale tedesca, aveva rivelato in una lettera agli ex-allievi gli “abusi sessuali non isolati, ma sistematici e durati anni”da parte di due confratelli insegnanti. All’incontro partecipava il neo-cardinale Rainer Maria Woelki, che – interpellato in tal senso da uno spettatore – ha risposto anche a una domanda se la Chiesa non debba cambiare atteggiamento verso gli omosessuali ovvero (ha aggiunto padre Mertes) se la stessa Chiesa non debba cessare di considerare peccaminosa l’omosessualità praticata. L’arcivescovo di Berlino (già ausiliare a Colonia del cardinale Joachim Meisner), dopo aver premesso che “per la Chiesa il matrimonio tra uomo e donna è ancorato nella volontà creatrice di Dio”, ha rilevato che la domanda postagli richiedeva però anche altre riflessioni. Ad esempio questa: “Se in una relazione omosessuale idue partecipanti assumono ognuno la propria responsabilità verso l’altro e se si amano in modo duraturo e fedele (dauerhaft und treu), bisogna considerarla alla stregua di un rapporto tra due eterosessuali”. La sala (circa 1200 i presenti) ha espresso palese e gioiosa soddisfazione per quanto detto dal porporato cinquantacinquenne, che si è poi augurato che il Magistero cattolico si occupi di tali sviluppi della morale sessuale: purtroppo, ha rilevato, spesso i tempi di valutazione sono lunghi e non aiutano per niente chi oggi vive certe situazioni. Le affermazioni del cardinale Woelki (che il portavoce dell’arcidiocesi di Berlino, non potendole negare, ha cercato in qualche modo di ‘contestualizzare’) hanno avuto una forte eco, sia positiva che negativa, all’interno del mondo cattolico tedesco. Lo stesso era successo per la decisione di fine marzo del cardinale Christoph Schönborn, sempre in materia di omosessuali. Si ricorderà che l’arcivescovo di Vienna, aveva voluto confermare la validità della nomina nel consiglio pastorale della parrocchia di Stützenhofen di Florian Stangl, un ventiseienne omosessuale conclamato che vive concretamente la sua relazione. Tale nomina era stata contestata, rifacendosi all’insegnamento della Chiesa in materia, dal parroco Gerhard Swierzek. Prima di decidere, il cardinale Schönborn aveva voluto ricevere a pranzo Stangl e il suo compagno, traendo poi dall’incontro un’impressione molto positiva. “Capisco ora perché la comunità parrocchiale ha riversato su di lui il maggior numero di voti : egli impressiona veramente in modo positivo– haosservato il porporato sessantasettenne alla televisione austriaca, aggiungendo: “Gli ho detto che l’avrei appoggiato, anche se, secondo la norma, la questione è problematica”. Insomma: “Credo proprio che questo giovane sia al posto giusto, perciò l’ho preso sotto la mia protezione”. Inutile dire che tali dichiarazioni hanno sollevato forti applausi, ma anche critiche molto aspre tra le pecorelle austriache.
Sempre sul tema è interessante notare che, in zona anglofona, due cardinali si sono espressi recentemente in maniera inequivocabile, ma di segno diverso rispetto ai confratelli citati di lingua tedesca. Incominciamo dalla lettera aperta che il cardinale Keith O’Brien, presidente della Conferenza episcopale scozzese, ha inviato al premier inglese David Cameron a proposito della pubblica consultazione intorno al riconoscimento dei cosiddetti ‘matrimoni gay’. L’arcivescovo di Edimburgo, dopo aver rilevato che in Gran Bretagna da tempo sono riconosciuti i ‘patti civili’ tra omosessuali (con le tutele giuridiche connesse), osserva: “Quanti fra noi non erano favorevoli ai ‘patti civili’ avevano ammonito che col tempo le richieste si sarebbero estese anche al matrimonio”. La proposta in esame dunque “non riguarda i diritti, ma piuttosto si configura come un tentativo di ridefinire il matrimonio per tutta la società. Tale ridefinizione del matrimonio avrà un impatto enorme su quanto si insegna oggi nelle nostre scuole e sulla società tutta”. Ci permettiamo di postillare che questa è una considerazione di fondo, su cui tutti dovrebbero meditare anche in Italia. Il cardinale O’Brien ricorda che “l’istituzione del matrimonio precede di molto l’esistenza di qualsiasi Stato”. Il matrimonio “non è stato creato dai governi, e non può essere modificato ad opera loro”. Annota ancora il porporato settantaquattrenne: “Il governo ha fintamente suggerito l’idea che il matrimonio omosessuale non sarebbe vincolante e che le diverse confessioni potrebbero scegliere di non riconoscerlo”. Tale suggerimento è espressione di “un’arroganza a livelli sbalorditivi”. E il cardinale fa un esempio: “Immaginate per un istante che il governo avesse deciso di legalizzare la schiavitù, assicurandoci però che ‘nessuno sarà obbligato ad avere uno schiavo’: tali vuote rassicurazioni calmerebbero la nostra furia? Giustificherebbero lo smantellamento di un diritto umano fondamentale?” Conclusione: “Se il governo tenterà di demolire un diritto umano universalmente riconosciuto, la sua intolleranza umilierà il Regno Unito agli occhi del mondo”.
Anche negli Stati Uniti è aspro lo scontro tra il presidente Barack Obama e una parte consistente del mondo cattolico, guidata dal presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Timothy Dolan. Nel bel mezzo della grave controversia relativa a una norma del progetto di nuova legge sanitaria (che vuole affibbiare alle istituzioni legate agli enti religiosi l’obbligo di pagare – direttamente o indirettamente – le assicurazioni sanitarie dei loro dipendenti, in cui è compresa la copertura delle spese per aborti, sterilizzazione, contraccezione), Obama ha aggiunto legna al fuoco della polemica, esprimendosi a favore del riconoscimento dei cosiddetti ‘matrimoni gay’. Immediata la forte reazione dell’arcivescovo di New York: “Il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna. Perciò la Chiesa non potrà tacere di fronte a parole o azioni che minerebbero questo istituto, pietra angolare della società”.
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