A colloquio con il cardinale messicano Javier Lozano Barragán sul viaggio di Benedetto XVI
Quella speranza che nasce da una fede immensa
Mario Ponzi
Un popolo vivace, nutrito da una fede genuina, rischia di rimanere intrappolato dall’ondata di violenza senza precedenti che attraversa il Paese e rischia di trascinarlo verso una pericolosa deriva. E la Chiesa, unico baluardo, è ancora costretta a restare al margine, nonostante le aperture degli ultimi anni. È la fotografia della realtà messicana che ne fa il cardinale Javier Lozano Barragán, al ritorno dal viaggio nel suo Paese natale e a Cuba, al seguito del Papa. «Con grande soddisfazione però — dice in questa intervista al nostro giornale — ho visto l’entusiasmo della gente intorno a Benedetto XVI e la grande fede che anima i giovani, il Messico di domani. E questo mi fa sperare in un futuro migliore. La fede del popolo messicana è immensa e la Chiesa non si scoraggia e sta compiendo un grande lavoro pastorale, sostenuta proprio dal popolo».
Si è tanto parlato della grande manifestazione di entusiasmo riservata al Pontefice dai messicani. Lei è rimasto sorpreso, conoscendo a fondo l’anima della sua gente?
Sorpreso non direi. Però la cosa è andata bel al di là delle mie stesse aspettative. Non si era mai vista tanta folla compatta e disposta su due file ai lati di tutti i 35 chilometri di strada dall’aeroporto di Guanajuato al Collegio Miraflores. Incredibile anche per me che sono messicano. E poi l’entusiasmo che ha caratterizzato ogni incontro è stato il segno più bello dell’amore vero che i messicani nutrono per il Papa. Io l’ho fatto notare anche a Benedetto XVI. Ma non c’è stato bisogno di tante parole: egli stesso lo ha intuito perfettamente.
Come è cambiato il suo Messico da quando è stato chiamato a Roma?
Ho avvertito l’atmosfera di una rinnovata speranza. Una cosa su tutte mi ha colpito e me ne ha dato certezza: la testimonianza dei giovani. In ogni avvenimento erano la maggioranza, con tutto il loro entusiasmo. E questo ha riacceso in me un po’ di speranza.
Cosa aveva spento la sua speranza?
Vent’anni fa le cose erano certo diverse. C’erano sì dei problemi ma non si sentiva, nel Paese, tutto il peso della violenza dovuta al narcotraffico. Quando è esploso in tutta la sua drammaticità questo fenomeno le cose sono andate sempre più peggiorando. Anche perché non si tratta solo del traffico della droga. Con esso si è sviluppato un traffico di sofisticatissime armi che non solo vengono utilizzate dai narcos ma finiscono anche sul mercato nero a uso della delinquenza comune. E poi si registra un aumento dei sequestri di persona per procurarsi soldi per la droga o per assicurarsi il silenzio. Proprio durante uno degli incontri del Santo Padre con personalità messicane, nel corso del viaggio appena concluso, mi si è avvicinata una signora, per chiedermi aiuto. Due suoi figli sono stati rapiti dai narcos qualche mese fa. Le hanno chiesto un riscatto e lei ha inviato gli altri suoi due figli con la somma pretesa all’appuntamento fissato. Non sono più tornati neppure loro. Ora non si fa più sentire nessuno da mesi. È disperata e nessuno è in grado di aiutarla. A me ha chiesto di pregare perché il Signore le faccia almeno la grazia di sapere se deve continuare a sperare o se deve piangerli come morti. Ciò fa capire qual è la situazione odierna. Venti anni fa c’erano fenomeni di criminalità ordinaria, ma certi livelli non si erano mai raggiunti.
Ma è possibile che si tratti solo di traffico di droga?
Io credo si debba parlare di un sistema criminale di stampo mafioso. Che naturalmente allunga i tentacoli laddove c’è più possibilità di guadagnare.
Come frenare il dilagare del fenomeno?
Ne ho parlato con il presidente della Repubblica. Era molto preoccupato. Mi sono sentito allora in dovere di fargli alcune proposte. Gli ho detto che, secondo me, bisogna muoversi in tre direzioni. Innanzitutto sarebbe necessario stroncare duramente ogni possibilità di collusione con i criminali da parte di chi ancora non è nell’orbita della mafia. Quindi un’opera molto seria di prevenzione. Poi l’educazione. È fondamentale puntare sulla formazione delle nuove generazioni, offrendo loro una cultura impregnata di valori e principi morali, in modo da consentire ai giovani di resistere alle lusinghe. Infine, ma non ultimo, le famiglie. Si dovrà investire molto sulla solidarietà, sulla solidità economica e morale delle famiglie proprio perché in esse i giovani trovino dei punti fermi. Prima di ripartire, all’aeroporto di Guanajuato, ho rinnovato al capo dello Stato il mio invito a puntare decisamente sull’educazione. La Chiesa in questo può essere un valido aiuto.
Può favorire un miglioramento nei rapporti tra Stato e Chiesa?
Attualmente sono stati fatti passi in avanti in questo senso. Da vent’anni il Messico intrattiene relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Le cose sono migliorate ma non si può dire che sia tutto andato a buon fine. Per esempio è stata concessa libertà di culto, ma solo nelle chiese. Per le testimonianze pubbliche bisogna di volta in volta chiedere il permesso. Nodo cruciale resta proprio quello dell’educazione. Purtroppo c’è una larga frangia del potere che ancora osteggia la Chiesa. In gioco ci sono troppi interessi, anche massonici, che spingono verso altri versanti.
Quali per esempio?
Il riconoscimento delle coppie di omosessuali, l’aborto libero. Hanno paura che la Chiesa possa interferire con i loro piani. Negano persino che i cattolici in Messico siano il 97-98 per cento della popolazione. Le statistiche ufficiali si fermano all’80-85 per cento. Per costruire questi dati, però, basano le loro indagini statistiche su quella parte della popolazione che ha compiuto i sette anni. E dunque sono dati falsati perché i bambini battezzati non possono non essere considerati cattolici. Questo naturalmente serve per frenare lo slancio della Chiesa.
Lei ha vissuto anche le emozioni delle visite di Giovanni Paolo II.
L’ho addirittura ricevuto a Zacatecas, diocesi nella quale sono stato vescovo per dodici anni. Era il 12 maggio 1990. Anche in quell’occasione almeno un milione di persone scese sulle piazze per manifestare al Papa tutto l’amore del Messico. In questi giorni, al seguito di Benedetto XVI, ho ripensato molto a quelle giornate e mi sono reso conto che il popolo messicano è sì molto legato al ricordo di Giovanni Paolo II ma, proprio vedendo l’accoglienza che hanno riservato a Benedetto XVI, ho capito che il loro amore si riversa proprio sul Papa, chiunque esso sia. In lui vedono il Vicario di Cristo e lo amano senza riserve. Poi Papa Ratzinger è una persona squisita, un uomo molto mite, umile, ha insomma la sua personalità. Ma non per questo fa meno presa sul cuore del popolo messicano.
Come ha visto la Chiesa in Messico?
È una Chiesa in salute, nonostante non goda del favore dei media. E questo è un problema serio perché l’opinione pubblica è molto sensibile a quello che scrivono i giornali. Nella quotidianità i valori messi in vetrina sono per lo più importati dall’estero, molto materializzanti, consumistici i quali favoriscono una lenta e progressiva secolarizzazione della società. Vengono promossi valori come il denaro, il piacere, la sessualità senza regole. La conseguenza è la diminuzione del senso di appartenenza alla comunità, la propensione a vivere in una dimensione alienante, l’aumento delle coppie di fatto, delle unioni omosessuali. A soffrirne di più sono le famiglie. Si disgregano, non sono più un punto di riferimento certo. Ma questo è un male comune a tanti altri Paesi occidentali. In Messico il fenomeno non era così accentuato, ora invece sta diventando una sfida seria per la comunità ecclesiale. Tuttavia la Chiesa è ben radicata e sta affrontando molto seriamente il problema. Contiamo sulla missione continentale partita da Aparecida, molto ben interpretata da tutte le Chiese locali. E poi si guarda con fiducia al prossimo Sinodo sulla nuova evangelizzazione, dal quale si attendono ispirazioni per l’intensificarsi dell’azione evangelizzatrice.
(©L'Osservatore Romano 4 aprile 2012)
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