Nell'Eucaristia la vocazione al sacerdozio
In occasione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra domenica 29 aprile, pubblichiamo una riflessione dell'arcivescovo segretario della Congregazione per il Clero.
di Celso Morga Iruzubieta
San Giovanni apre il racconto della passione e risurrezione di Gesù con l'episodio della lavanda dei piedi fatta agli apostoli.
L'evangelista comincia col dire che Gesù è nell'imminenza di passare da questo mondo al Padre, testimoniando, per averlo direttamente sperimentato, che Cristo ha amato i suoi che erano nel mondo e lo ha fatto fino alla fine e dopo soggiunge: «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava...».
Il contrasto con quanto segue, nella narrazione giovannea, è immenso ed insondabile. Quelle mani, nelle quali sono poste tutte le cose e dalle quali tutte le cose dipendono, sono le stesse mani che alcuni istanti dopo lavano i piedi degli apostoli, «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugatoio e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto».
Tuttavia, sono le mani del Figlio dell'uomo: «… e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1, 14). Sì, certamente, ogni cosa gli è stata sottomessa; nulla di ciò che esiste non gli fu assoggettato, però «al momento presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa».
La salvezza del genere umano doveva avvenire attraverso l'umiliazione e la croce dell'obbedienza: Cristo Gesù «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».
Un'obbedienza espiatoria poiché «quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti».
Il Signore ha fatto -- della lavanda dei piedi, un compito riservato agli schiavi -- il segno di un altro servizio e di un'altra purificazione. Il segno del servizio totale, che arriva fino al dono completo di sé, alla morte subita e offerta a vantaggio di tutti per purificarci dai nostri peccati e coronarci di gloria e di onore.
Quelle mani, che lavano i piedi agli apostoli, sono segno del mistero insondabile dell'incarnazione e della redenzione, la cui immensa profondità Simon Pietro intuì quando stava rifiutandosi di dare i suoi piedi affinché fossero lavati da Cristo: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Gesù lo convince dichiarandogli che senza una tale purificazione non avrebbe potuto aver parte con Lui.
Giovanni non ha narrato durante l'ultima cena l'istituzione dell'Eucaristia, però, lasciandoci la narrazione della lavanda dei piedi, ci ha indicato il suo significato profondo e lo spirito con il quale deve essere celebrata e partecipata.
Noi viviamo la stessa esperienza di Pietro ogni qualvolta che, partecipando al banchetto dove ci nutriamo del Suo preziosissimo sangue e della Sua adorabile carne, chiediamo a Dio di essere lavati nel sacrificio redentore di Cristo: «Domine, non sum dignus...».
Allo stesso modo con cui il Signore stesso volle partecipare, mediante l'incarnazione, della nostra carne e del nostro sangue ed ha potuto così, con le proprie mani, lavare i piedi ai suoi, allo stesso modo noi, mediante l'Eucaristia, partecipiamo veramente della sua carne e del suo sangue e siamo liberati dal timore della morte, mediante la sua morte e risurrezione. «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita».
Così, i veri schiavi, «la cui vita era soggetta a schiavitù», sono stati purificati da Colui che si è fatto schiavo. Somigliò in tutto ai suoi fratelli, per essere Pontefice misericordioso e fedele. Apprendendo allora la lezione dal loro Maestro, Sacerdote e Signore, gli apostoli ed i loro successori -- i vescovi ed i loro collaboratori, i presbiteri -- sono chiamati anche a offrire lo stesso servizio nei confronti dei loro fratelli, cioè essere ministri del Sommo Sacerdote «misericordioso e degno di fede nelle cose appartenenti a Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo», mediante la rinnovazione del mistero pasquale.
Completamente purificati, non solo «nei piedi, ma anche nelle mani e la testa» (Giovanni 13, 9-10), gli apostoli potranno -- «in persona Christi» -- prendere il pane nelle loro mani purificate, pronunciare la benedizione e rinnovare il miracolo dell'Eucaristia dando a tutti la possibilità di partecipare al Corpo e al Sangue di Cristo Signore, il dono per eccellenza: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». «Fate questo in memoria di me» disse il Signore istituendo l'Eucaristia, con parole simili a quelle utilizzate da Giovanni. Il sacerdote deve vivere l'Eucaristia come un servizio totale, assoluto, incondizionato al popolo di Dio e a tutta l'umanità. Alla fine dell'episodio della lavanda dei piedi, il Signore s'identifica con i suoi apostoli, i suoi inviati: «In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» Costoro sono quindi uno in Cristo, così come Gesù lo è con il Padre. I suoi inviati troveranno allora la vera felicità se avranno l'umiltà di scoprirsi e riconoscersi sempre «inviati» e «servi» nel realizzare ciò che, per primo, ha fatto il loro Maestro e Signore: «in verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica».
(©L'Osservatore Romano 29 aprile 2012)
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