lunedì 23 aprile 2012

A colloquio con il vescovo di Dallas sull’attività della Papal Foundation (Biccini)

A colloquio con il vescovo di Dallas sull’attività della Papal Foundation

Impegno convinto nel servizio alla missione di Pietro

Gianluca Biccini

Circa ottanta milioni di dollari erogati in sovvenzioni, borse di studio e opere di carità che stanno particolarmente a cuore al Pontefice. In quasi venticinque anni di attività la Papal Foundation ha reso concreto il desiderio di un gruppo di cattolici statunitensi di offrire una testimonianza di impegno, al servizio della missione del successore di Pietro. Fondata nel 1988, l’istituzione è retta da un comitato direttivo di cui fanno parte d’ufficio i cardinali residenti negli Stati Uniti d’America e vescovi e laici eletti a livello locale nelle varie diocesi. Tra questi c’è il vescovo di Dallas, monsignor Kevin Joseph Farrell, in questi giorni a Roma per incontrare Benedetto XVI in occasione del pellegrinaggio primaverile della Fondazione.

Chi sono i benefattori?

Possono essere fondazioni, gruppi di fedeli o singoli individui. Il legame associativo ha inizio con l’impegno di versare un milione di dollari nel corso di non più di dieci anni, con una donazione minima di centomila dollari all’anno. Chi prende questo impegno diventa steward of Saint Peter ed entra in una rete sempre più grande di cattolici americani che sostengono il servizio del successore dell’apostolo Pietro. L’intuizione dei primi soci fondatori e i versamenti degli stewards hanno portato alla realizzazione di in un fondo che è cresciuto anno dopo anno.

È possibile individuare le categorie sociali di provenienza dei donatori?

Si tratta soprattutto di imprenditori, uomini del mondo dell’alta finanza. Ma quel che è più impressionante è la loro dedizione: si impegnano nelle diocesi di provenienza — un po’ in tutte le Chiese locali degli Stati Uniti — e in questa Fondazione, che per loro significa sostenere in modo diretto e personale il Pontefice. A tal fine i membri della Papal Foundation si incontrano due volte l’anno: una a Washington, in inverno, quando si alternano riunioni amministrative e momenti di formazione spirituale e culturale; e una a Roma per consegnare al Papa i fondi raccolti. Sabato scorso, 21 aprile, eravamo una ventina.

Quanto ha inciso la crisi economica sulle donazioni?

Certamente la situazione attuale si fa sentire, anche se da noi un po’ meno che in Europa. Basta considerare che anche quest’anno i contributi hanno permesso di realizzare oltre un centinaio di programmi e progetti. Le borse di studio a seminaristi, sacerdoti, religiose e laici provenienti da Paesi svantaggiati ammontano a otto milioni e mezzo di dollari, distribuiti in tutto il mondo. Inoltre ci sono analoghe somme destinate a quanti vengono a formarsi a Roma per poi tornare alle diocesi di origine e trasmettere ad altri l’autentico magistero della Chiesa. L’idea nacque da un’intuizione di Giovanni Paolo II sulla base della propria esperienza personale: dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1946, egli infatti fu inviato a Roma come studente all’Angelicum. Per questo in seguito ha voluto che altri potessero avere questa opportunità.

Cosa risponde a quanti polemizzano con le istituzioni benefiche, sostenendo che i costi di gestione dell’apparato finiscono con l’erodere le donazioni al punto che resterebbe ben poco per le iniziative caritative?

Noi non abbiamo un’organizzazione così grande da avere tali problemi. Quasi tutto si basa sulla libera attività di volontari, per cui alla fine i costi istituzionali non superano il mezzo milione di dollari l’anno.

Come scegliete le attività da finanziare e quali sono?

Uno dei criteri riguarda quei progetti posti in essere per proteggere e onorare la vita umana, dal suo inizio alla fine naturale. Poi ci sono le borse di studio già menzionate. Le richieste di sostegno provengono da ogni angolo del mondo e possono essere sottoposte all’approvazione del comitato direttivo anche da un socio. Comunque ci appoggiamo alla Segreteria di Stato, che ci fornisce una lista riguardante le opere di carità che il Pontefice intende promuovere.

Una volta individuato e finanziato il progetto, la vostra missione è compiuta?

No, perché ne seguiamo l’evoluzione, soprattutto attraverso la Segreteria di Stato, che a sua volta è informata dai nunzi apostolici. In alcuni casi i soci stessi si interessano personalmente e seguono lo stato dell’opera. Inoltre bisogna considerare che tutti i movimenti di denaro in oggetto passano attraverso l’Istituto per le Opere di Religione (Ior). Proprio alla vigilia dell’udienza con Benedetto XVI abbiamo avuto una riunione con i dirigenti dello Ior, ai quali i nostri soci hanno rivolto domande, informandosi sulle nuove normative finanziarie della Santa Sede. Le risposte che hanno ricevuto li hanno lasciati molto soddisfatti e questo assume un valore maggiore se si considera che si tratta di esperti di economia e finanza a livello mondiale.

(©L'Osservatore Romano 23-24 aprile 2012)

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