mercoledì 14 marzo 2012

La forza della Parola che discerne, giudica, converte. Riflessione dell'arcivescovo Tobin sul rapporto tra Scrittura e vocazione religiosa

Riflessione dell'arcivescovo Tobin sul rapporto tra Scrittura e vocazione religiosa

La forza della Parola che discerne, giudica, converte

La consacrazione religiosa nasce dall'ascolto della Parola di Dio e accoglie il Vangelo come sua norma di vita. È su questa affermazione che si è articolato l'intervento dell'arcivescovo Joseph William Tobin, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, al convegno diocesano di Napoli sul tema «La vita consacrata “esegesi” vivente della Parola di Dio per una credibile pedagogia dei segni», svoltosi nell'aula magna della Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale e concluso dal cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe.
«La Parola fondamento della vita consacrata» è stato il tema svolto dall'arcivescovo Tobin, il quale ha sottolineato come la vita alla sequela di Cristo casto, sposo e obbediente costituisce un'«esegesi vivente della Parola di Dio». È lo stesso Spirito Santo a ispirare la Scrittura e gli itinerari di vita cristiana «segnati dalla radicalità evangelica».
Facendo riferimento all'esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini, il presule ha indicato tre sfide per i consacrati e le consacrate. A cominciare da quella «vocazionale», in quanto la Parola di Dio «ascoltata, compresa e accolta, nella traditio e nella Sacra Scrittura» diventa forma di vita nell'abbandono di tutto alla sequela di Cristo. La seconda sfida è quella «configurativa»: la Parola ascoltata «diventa per i consacrati uno stato di vita permanente configurativo, la decisione di collocarsi “povero tra i poveri”». La terza, infine, è quella «caritativa», cioè nutrirsi della Parola per essere suoi «servi» nell'impegno dell'evangelizzazione. «Per i consacrati -- ha sottolineato l'arcivescovo -- l'annuncio del Regno è la necessaria verifica della loro verginità, passione d'amore unificante per Dio e per il prossimo, il motivo dominante della loro consacrazione apostolica, la verifica della loro vita di orazione, un imperativo caritativo della Parola: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”».
Anche l'esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata ha offerto a monsignor Tobin l'occasione per una serie di riflessioni sul legame tra consacrazione e Vangelo. La vita dei religiosi nasce dal Vangelo e intende viverlo con radicalità. Giovanni Paolo II nell'esortazione «individua come “compito peculiare” della vita consacrata quello di “tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo”, in modo particolare le beatitudini». Da qui l'impulso a una sempre maggiore coerenza evangelica.
L'arcivescovo ha preso spunto poi dalle tre grandi icone indicate nel testo di Vita consecrata per riflettere sul loro valore alla luce della Parola di Dio. La prima icona è la Confessio Trinitatis, che descrive la Parola «ascoltata, accolta, contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta come imperativo di vita, una Confessio Trinitatis?». La seconda è il Signum fraternitatis: non è forse la Parola -- si è chiesto il presule -- a «convocare, a istruire, a revisionare le incongruenze e il peccato della nostra vita fraterna; non è forse la Parola che conducendo a conversione conduce a comunione?». Infine, la terza icona: Servitium caritatis. Da qui il riferimento della consacrazione alla Parola di Dio: «A causa di Cristo e del suo Vangelo: ha inizio con queste parole la regola di vita di ordini, di istituti e di nuove comunità, indicando lo stretto legame della vita di sequela con la Parola. Ma ancora: “L'amore del Cristo ci spinge”. Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il Regno di Cristo, portando l'annuncio del Vangelo dappertutto”».
L'arcivescovo Tobin ha poi fatto riferimento al cammino compiuto e da compiere a livello personale e comunitario. Nel periodo successivo al concilio Vaticano II -- ha ricordato -- gli istituti hanno riscoperto la Scrittura e si sono impegnati a «una frequentazione più assidua di essa». Gli sforzi sono stati rivolti a «“ri-creare” il proprio stile di vita a partire dalla Parola di Dio ascoltata, pregata, condivisa, applicata». Essi hanno valorizzato «il discernimento come stato permanente di valutazione degli accadimenti ordinari e straordinari alla luce dello Spirito Santo» e hanno mirato a «“inventare” i cammini secondo la cifra “esigente” della Parola che chiama a comunione». Nascono così «numerose iniziative e progetti condivisi di missione e di solidarietà; si genera un tessuto di vita nuovo e creativo, che dà ragione alla Parola che converte».
Infine, monsignor Tobin ha menzionato un ulteriore impegno da parte degli istituti: quello di «dare il “giusto” posto nel progetto personale e comunitario alla Parola, all'orazione contemplativa della Parola; essere assidui nella lettura nella riflessione biblica, valorizzando le proposte offerte dal proprio istituto e dalle diverse conferenze». Valutando i dati pervenuti al dicastero dalle relazioni sullo stato e la vita degli istituti, che i moderatori inviano alla Sede Apostolica da ogni parte del mondo, «possiamo leggere -- ha detto il segretario della Congregazione -- con un ottimo quorum sul totale di testi inviati, che la Parola di Dio è posta al centro della prassi di vita personale e di comunità. I cammini riferiti narrano della Parola in opera: costruisce la vita spirituale, illumina il discernimento, giudica lo stile di vita, chiama a conversione, sostanzia la comunione, provoca le decisione fraterne per la comunità e la missione, sostiene il servizio dell'autorità. Un cammino certo lento, a volte ferito da ristagni e smarrimenti e, se disatteso, recuperato con umiltà, ma comunque un cammino in atto nella vita consacrata».
Il presule ha quindi delineato alcuni stimoli che derivano ai religiosi dal confronto con la Parola di Dio. «Il primo orientamento -- ha detto -- lega l'identità dei consacrati alla Parola, intesa come comprensione del mistero di Cristo e dynamis che unifica la vita». Infatti, la Dei Verbum attribuisce alla Scrittura «il ruolo unificante degli ambiti essenziali della vita della Chiesa». Il secondo orientamento «lega il carisma fondazionale alla Parola e quindi, la necessità di una rivisitazione continua e creativa da parte dei consacrati per vivificare la loro presenza nella Chiesa». D'altronde, «uno dei primi nomi con cui è stata designata la vita monastica è “vita evangelica” perché nata dal Vangelo, dal desiderio di vivere con radicalità gli insegnamenti di Gesù, di condividere appieno la sua vita in comunione di ideali e di destino». Il terzo orientamento, infine, «lega Parola e profezia. Solo la Parola rende ragione di una risposta adatta alla storia, immettendo sulle sue strade la potenza creatrice dello Spirito». Nella vita consacrata, ha detto l'arcivescovo, è «inutile parlare di dimensione profetica, di funzione profetica, di testimonianza profetica, di natura profetica, e via dicendo, se non si parte da questo punto. Se la Parola di Dio non diviene davvero la sorgente dei progetti e del senso della vita, non diviene fuoco divorante e lievito che fermenta la nostra stessa vita, la profezia è una pia illusione, anzi è sonnambulismo collettivo in pieno luce del giorno».
Infine, monsignor Tobin ha notato come la vita consacrata stia «attraversando un banco di prova, un tempo con forti segnali di morte e di vita». Da qui la domanda «ineludibile e necessaria: chi potrà renderci capaci di vita piena e di amore, chi ricostruirà la vita consacrata, secondo le esigenze dello Spirito?». Sarà proprio -- ha risposto -- il «contatto assiduo, impegnato, obbediente dei religiosi con la Parola, la sola condizione perché riescano a ritrovare l'audacia delle scelte profetiche e il fervore nel portarle a compimento con parresia e robustezza d'animo». Se vogliamo «rifondare» la vita consacrata «perché sia all'altezza delle sfide attuali e non sia pura manutenzione di vecchie storie isterilite -- ha raccomandato -- dobbiamo percepire questa “urgenza profetica”, non cercando ricette e istruzioni pronto uso, ma esercitando la nostra immaginazione, e ricuperando quella funzione simbolica, critica, trasformatrice di cui facciamo credito ai nostri fondatori e in genere alla storia della vita consacrata».
Sarà proprio la capacità di esercitare «la nostra immaginazione profetica, nella sequela Christi, nella formae Ecclesiae, nella imago mundi, che potrà garantire -- ha concluso -- il nostro futuro, non come sopravvivenza archeologica e folklorica, ma come stile che manifesta e attesta l'unità fra passione per Dio e passione per l'umanità».

(©L'Osservatore Romano 14 marzo 2012)

1 commento:

Anonimo ha detto...

OT
Con Papa Benedetto fatti non belle parolone che tanto piacciono ai media. Su questo, ovviamente, Politi tace. Poveraccio, le tesi del suo pamphlet vengono smontate una per una. Mah, mi auguro gli saranno tanto onesti da separare il vero dalla leggenda nera.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350195
Alessia