mercoledì 21 marzo 2012

Dall’amore di Dio la speranza per le famiglie. A colloquio con i coniugi Zanzucchi autori delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo (Gori)

A colloquio con i coniugi Zanzucchi autori delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo

Dall’amore di Dio la speranza per le famiglie

Nicola Gori

Nel Crocifisso c’è il segreto e la soluzione ai problemi delle famiglie. A dirlo sono i coniugi Danilo e Anna Maria Zanzucchi, ai quali Benedetto XVI ha affidato quest’anno le meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Vengono da una lunga esperienza di servizio ai nuclei familiari di tutto il mondo e sono i fondatori, insieme con Chiara Lubich, del movimento Famiglie Nuove, che hanno guidato fino al 2008. In questa intervista al nostro giornale ripercorrono le tappe salienti della loro esperienza e spiegano gli ideali che li hanno ispirati.

Il Papa quest’anno ha affidato a una coppia di sposi le meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Come avete accolto la notizia?

Danilo: Di fronte a un incarico così importante le prime reazioni sono state di meraviglia e di trepidazione, perché non ci sentivamo all’altezza. Ci è tornato in mente l’impressione che abbiamo avuto lo scorso anno durante un pellegrinaggio in Terra Santa, dove abbiamo fatto un’esperienza molto forte nel percorrere la via dolorosa e nel meditare sul mistero della croce. In quei momenti abbiamo compreso che la Via Crucis è una realtà che ci tocca profondamente, perché cambia la nostra vita e ci rende partecipi di un progetto d’amore. Da quel pellegrinaggio, infatti, siamo tornati diversi. È con questo bagaglio che ci siamo messi a scrivere le meditazioni sulla Via Crucis.
Anna Maria: Nel riflettere sulla croce abbiamo sentito che non solo la Chiesa, ma tutta l’umanità è coinvolta da questo mistero. Si comprende anche quanto Cristo abbia sofferto come ogni uomo, ma con la sensibilità di un Dio.

Quali temi avete scelto per le meditazioni?

Anna Maria: Un po’ tutta la Via Crucis ha dei passaggi importanti, perché ripercorre le orme di un Dio che si è fatto uomo per salvare l’umanità. Basti pensare all’episodio del Cireneo o all’intervento delle pie donne, nelle quali possiamo immedesimarci un po’ tutti. Persone che hanno avuto un incontro, che hanno fatto un’esperienza forte con Dio. Nelle nostre meditazioni abbiamo cercato di esprimere le nostre impressioni su quello che ha vissuto Gesù in quei momenti, cercando di attualizzarlo alla luce della nostra esperienza. Certamente, non è stato facile, perché siamo davanti a un mistero tanto grande. Crediamo fermamente però che in Gesù Crocifisso c’è il segreto e la soluzione ai problemi della famiglia. Cristo sulla Croce ha dato un senso al dolore che dobbiamo affrontare.

Quale messaggio volete far arrivare alle famiglie attraverso la Via Crucis?

Anna Maria: Parlo in base alla nostra vita e alla nostra storia. Dalla meditazione della Via Crucis viene un messaggio forte: la Croce dà il senso al dolore del mondo. Ci troviamo davanti alla sofferenza di un uomo che viene distrutto dagli stessi uomini. Ma il dolore di quell’uomo è incommensurabile, perché pur essendo Dio non trova consolazione. Una lettura di questo mistero ce la offre Chiara Lubich. Fin dagli inizi della fondazione del movimento dei Focolari, ha sentito in maniera particolare l’attrazione per questo dolore di Gesù. E ce l’ha trasmessa anche a noi. Per lei la sofferenza di Gesù non era solo una realtà che non ha mai termine, ma un dolore che ha già dentro di sé la risurrezione. Questo è il grande messaggio che abbiamo ricevuto da Chiara e che a nostra volta rivolgiamo a tutte le famiglie. Purtroppo, i problemi quotidiani rendono difficile la vita familiare, ne sappiamo qualcosa anche noi che siamo una famiglia come tante altre: abbiamo avuto i nostri cinque figli da crescere ed educare, e abbiamo affrontato le difficoltà che ogni giorno si sono presentate. Ma abbiamo sempre avuto presente l’esempio di Chiara: è venuta da noi non con la morte nel cuore, ma con la morte che conduce alla risurrezione.

Come avete conosciuto il movimento dei Focolari?

Danilo: Ho conosciuto il movimento a Milano negli anni Cinquanta tramite una delle prime compagne di Chiara e ne ho avuto subito un’impressione molto forte. Chiara poi ha inviato un focolare a Parma. In città sono venute Lia e Renata, e hanno preso alloggio in un quartiere poverissimo della città, dove noi più benestanti non andavamo. Queste giovani hanno cominciato a contattare quello che allora era definito il sottoproletariato urbano, gente che noi non avremmo mai pensato di incontrare. Vedendo la testimonianza delle prime focolarine, queste persone hanno cominciato a cambiare. E con loro anche noi. Da questo esempio abbiamo iniziato a interpellarci. Perché non incontrare quei poveretti? E così ci siamo interessati a loro. Non è stato certamente facile, perché abbiamo avuto molti problemi e creato anche scandalo tra i benpensanti. I miei stessi genitori mi hanno rimproverato. Chiara però ci aveva messo nel cuore che tutti gli uomini sono nostri fratelli e questo ci incoraggiava. Tuttavia, abbiamo passato brutti momenti: siamo stati anche accusati di distruggere le nostre famiglie per seguire gli ideali dei focolari. Questo episodio va ricondotto all’epoca, perché negli anni Cinquanta il movimento non era stato ancora approvato dalla Chiesa e suscitava una certa perplessità nei benpensanti a causa della sua radicalità evangelica.

Qual è stata l’intuizione originale che ha fatto nascere il movimento Famiglie Nuove?

Anna Maria: L’intuizione profonda la dobbiamo a Chiara. Il movimento Famiglie Nuove nasce nel 1967. Erano già passati più di venti anni da quando Lubich aveva dato vita al focolare. Noi eravamo sposati dal 1953 e ammetto che il movimento ci ha attratti subito. Dall’Emilia andavamo in treno a Roma con i figli piccoli per partecipare alle attività del focolare. L’idea di fondare Famiglie Nuove è stata molto concreta: andare incontro agli orfani, alle vedove, al dolore delle famiglie nel mondo. E l’esperienza si è rivelata positiva. Vivere nel movimento non ci ha portato solo a sanare la nostra famiglia, ma anche quelle con le quali venivamo a contatto, perché mentre ti prendi cura della tua aiuti gli altri. Chiara tuttavia, non dimenticava l’originalità di ognuno, perché voleva che ci si occupasse prima delle singole persone e poi delle famiglie.
Danilo: L’intuizione di Chiara è nata nel vedere alcune famiglie in difficoltà e dall’esperienza vissuta in quelle che conosceva, a cominciare dalla sua. Aveva tre fratelli: Gino, partigiano comunista condannato a morte, e due sorelle. Era una famiglia molto unita e fervente cattolica, ma non certo esente da problemi. Da questa esperienza, Chiara comprese che la famiglia è un dono di Dio ed è la base della società. Si pose così il problema di come aiutare i nuclei familiari, non solo quelli a lei vicini, ma anche a quelli sparsi per il mondo. La Chiesa ha poi riconosciuto il suo carisma e ha chiesto a Chiara di indicare qualche coppia di sposi che potesse contribuire alla nascita del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Così lei pensò a noi. Abbiamo collaborato con il dicastero come consultori fino al 2000.

Quale futuro vedete per la famiglia nella nostra società?

Anna Maria: Sinceramente, a immaginare il futuro verrebbe da scoraggiarsi, anche per certe leggi che vengono promulgate e che sono contrarie al disegno di Dio. Ogni giorno siamo chiamati a fare delle scelte non facili per mantenerci fedeli ai nostri ideali, in quanto la società non aiuta, anzi. Tuttavia, abbiamo fiducia che Gesù è morto per noi. Per questo, non siamo per niente sfiduciati, abbiamo sempre più voglia di far qualcosa per gli altri. C’è sempre la possibilità di ricominciare. Chiara ci ha messo dentro la certezza che la Chiesa è stata fondata da Gesù e vincerà il mondo.

Molte volte avete parlato della necessità di creare una rete di solidarietà tra famiglie. Come si può realizzare?

Anna Maria: Questa è una realtà che ci sta molto a cuore. È una cosa che è nata spontaneamente all’inizio del movimento. Ricordo che a quel tempo eravamo non più di una cinquantina di persone. Ci è venuta subito l’idea di fare comunione tra noi condividendo anche i beni. Questa comunione è stata un mezzo straordinario per aiutarci. Ecco però che proprio per questo ci accusarono di sperperare i soldi trascurando gli impegni verso i figli. Vorrei perciò che la nostra scelta fosse compresa bene, perché questa condivisione non annullava le differenze e le individualità. L’intimità della famiglia rimaneva sempre. Chiara teneva tanto al fatto che ogni famiglia avesse la sua intimità, la sua autonomia e che fosse in grado di prendere delle decisioni proprie senza influenze esterne. Il traguardo era l’unità. Ci faceva capire che bisogna vivere personalmente al servizio di Dio, cercando contemporaneamente l’unità. Questa era la conseguenza della scelta personale di seguire Dio.

Quale messaggio si può rivolgere ai nuclei familiari in crisi?

Anna Maria: Vorrei solo dire alle famiglie in difficoltà che anche noi abbiamo avuto problemi. Il nostro matrimonio è nato dall’amore reciproco, come quello di ogni coppia di sposi. È questa scintilla che alimenta il matrimonio. A causa di molti fattori, però, questo amore a volte si smorza, rimane nascosto e si dimentica, ma la sua spinta iniziale resta anche se soffocata dalle preoccupazioni, dalle incomprensioni e dai drammi quotidiani. Occorre riscoprirlo alla luce dell’amore di Dio che unisce. Il cristianesimo, infatti, porta due persone che cercano di amare Dio e di amarsi tra loro a essere unite, ma distinte allo stesso tempo. Chiara un giorno ci ha detto che noi non siamo chiamati a goderci la nostra unità, ma a darla. Ci ha chiamati proprio come famiglia per occuparci dei derelitti, degli orfani, delle vedove. E ce li ha affidati per amarli come fratelli, perché assomigliamo di più a Gesù. L’ultima volta che abbiamo visto Chiara è stato proprio mentre tenevamo un incontro per coniugi separati. Era molto contenta di questa attività e dava molta importanza al sostegno alle coppie in crisi. D’altronde, i suoi preferiti sono sempre stati quelli che erano nel bisogno.

(©L'Osservatore Romano 22 marzo 2012)

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