sabato 13 ottobre 2012

Sinodo: Terra Santa, Ilva di Taranto e devozione popolare al centro degli interventi



Sinodo: Terra Santa, Ilva di Taranto e devozione popolare al centro degli interventi 

La nuova evangelizzazione deve ripartire da Gerusalemme: lo afferma il Sinodo dei vescovi in corso in Vaticano, ribadendo che i pellegrinaggi in Terra Santa sono un’occasione per rafforzare la fede. Al centro dei lavori di stamani, anche la questione dell’Ilva di Taranto e la promozione della Dottrina sociale della Chiesa. Il servizio di Isabella Piro: 

Per essere moderna ed efficace, la nuova evangelizzazione deve ripartire da Gerusalemme, dalla Terra Santa, memoria collettiva vivente della storia di Gesù: si aprono così i lavori odierni del Sinodo. I vescovi ricordano le offese e le aggressioni che i luoghi santi spesso subiscono, parlano di Chiesa del calvario, invocano il dialogo basato sul rispetto interreligioso, si appellano alla fede che abbatte muri e costruisce ponti, chiedendo al mondo di non dimenticare il Medio Oriente ed ai cristiani di non aver paura. Perché la fede non è un’appartenenza ad una fazione ideologica che porta alla violenza, ma aiuta a sentirsi fratelli gli uni verso gli altri. 

Poi, il dramma dell’Ilva di Taranto irrompe nell’Aula del Sinodo: la Chiesa non offre soluzioni, dicono i presuli, ma vicinanza a chi soffre per gli effetti inquinanti e disastrosi della fabbrica siderurgica. Migliaia di persone rischiano di perdere il posto, molte altre sono malate di tumore. E ciò che emerge è una crisi umana e sociale, dell’attuale e ingiusto modello di sviluppo economico. L’avarizia e la cupidigia, sottolinea il Sinodo, hanno infranto il legame tra l’economia e la dimensione sociale della vita umana, provocando una frattura profonda. 

In quest’ottica, l’Assemblea dei vescovi ribadisce l’importanza della dottrina sociale della Chiesa, elemento essenziale di evangelizzazione, perché l’annuncio di Cristo è il principale fattore dello sviluppo, della giustizia e della pace. Non si tratta, dicono i presuli, di trasformare la Chiesa in un’istituzione di servizi sociali, bensì di promuovere una cultura della solidarietà e della fraternità. Rilanciare la dignità umana, afferma il Sinodo, promuovere valori democratici, significa essere nella sequela di Gesù. 

Tra gli altri temi affrontati in Aula, quello della pietà popolare: purificata e guidata nel modo giusto, essa è espressione di fede sincera e testimonia perennemente la sete di Dio racchiusa nel cuore dell’uomo, contribuendo così alla nuova evangelizzazione. Perché il cuore dell’uomo è fatto per l’infinito ed alle sue attese può rispondere solo l’incontro con chi ha cambiato realmente la propria vita grazie a Cristo. 

Quindi, il Sinodo torna ad esaminare la sfida di evangelizzare il mondo mediatico contemporaneo: la società attuale, dicono i vescovi, non è più mass-mediatica, bensì bio-mediatica, poiché i mezzi di comunicazione di massa hanno talmente invaso la vita dell’uomo da cambiarne lo sviluppo antropologico. Di qui, l’invito affinché la Chiesa sappia comunicare vicinanza, relazione, amicizia alle persone nella loro singolarità, destinatarie dell’amore di Dio. 

Infine, il grande tema del rapporto tra fede e ragione: se non si comprende la loro complementarietà, dicono i Padri sinodali, i cristiani finiranno sempre per sentirsi inferiori nei confronti della modernità o in ritardo rispetto della storia. Essi, invece, devono essere coscienti della dimensione culturale della fede e dare ragione della propria speranza. 

Il confronto tra fede e scienza è stato, invece, al centro dell’intervento di ieri pomeriggio, del professor Werner Arber, premio Nobel per la medicina nel 1978 e primo protestante a ricoprire l’incarico di presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. 

“Scientific knowledge and faith are and should remain to be complementary”…
Scienza e fede sono e devono continuare ad essere elementi complementari per la conoscenza umana, dice il prof. Arber. Un discorso tecnico, ma anche molto umano il suo, basato sulla consapevolezza che la scienza “finora non è riuscita a trovare risposte pertinenti” a tutti gli interrogativi dell’uomo, soprattutto a quelli che “trascendono la sfera naturale”. Ruolo che, invece, le credenze religiose possono ricoprire. 

Benedetto XVI è presente in Aula ed ascolta, attento, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze citare la Genesi per dimostrare che sin da allora esisteva una concordanza tra fede e scienza, poiché il Vecchio Testamento riporta una sequenza logica di avvenimenti possibili per la creazione della vita. 

Il tono del prof. Arber si fa, poi, molto schietto quando afferma che “finora, la scienza non ha ancora una nozione precisa dei fondamenti della vita”, o meglio della “così detta creazione dal nulla”, la quale resta “materia da trattare attraverso la filosofia”. E pur ritenendo che possa esistere la vita su pianeti extraterrestri, il premio Nobel mette in guardia: manca l’evidenza scientifica di questa ipotesi. 

Ma a cosa serve oggi la scienza? Il prof. Arber lo dice chiaramente: la scienza apre a nuove applicazioni tecnologiche che migliorano la vita e l’ambiente dell’uomo, plasmandone il futuro. In quest’ottica, quindi, Chiesa, società civile, economia e scienza vengono chiamate ad assumersi la corresponsabilità di stabilire una nuova concezione del futuro che comporti benefici a lungo termine per l’intera umanità. 

Per raggiungere questo risultato, continua il premio Nobel, bisogna che le società moderne rispettino regole di condotta opportune, facilmente accettabili se radicate nella fede religiosa. In fondo, afferma il prof. Arber, anche Gesù sarebbe favorevole all’applicazione della scienza per il bene dell’umanità e nel rispetto delle leggi della natura. 

Un esempio pratico di tale principio sono le piante transgeniche: i metodi adottati per crearle seguono le leggi naturali dell’evoluzione biologica, spiega Arber, e non comportano rischi legati all’ingegneria genetica. In quest’ottica, quindi, potrebbero davvero alleviare il problema della fame nel mondo, per un futuro in cui lo sviluppo sia sicuro, responsabile e sostenibile.

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