giovedì 11 ottobre 2012

Quel giovane teologo incisivo e coinvolgente. Il cardinale Frings volle con sé Ratzinger (Guerriero)


Su segnalazione di Laura leggiamo:

Il cardinale Frings volle con sé Ratzinger

Quel giovane teologo incisivo e coinvolgente

​Elio Guerriero

Al Vaticano II per la prima volta la Chiesa cattolica era rappresentata da padri provenienti da tutti i continenti. Vi erano poi gli osservatori delle comunità cristiane e circa 500 esperti chiamati a fornire ai padri un supporto scientifico a sostegno dei loro interventi. I testi base del futuro dibattito vennero preparati a Roma e inviati ai padri con un certo anticipo, ma non tutti gli episcopati si prepararono adeguatamente. Un libro dal titolo suggestivo, Il Reno scorre nel Tevere, mette in risalto il ruolo svolto dai circa 60 padri tedeschi tra i quali emergeva la figura del cardinale Frings di Colonia. Questi aveva al suo fianco un giovane teologo, Joseph Ratzinger, che dal 1959 insegnava teologia fondamentale all’Università di Bonn. Qui egli aveva stretto amicizia con Hubert Jedin, il grande storico del Concilio di Trento, e questa circostanza lo indusse a prepararsi con serietà al Vaticano II. Invitato a tenere una conferenza all’Accademia cattolica di Bensberg, presso Colonia, destò l’ammirazione del cardinale Frings che da allora lo consultò sui temi da dibattere, e al Concilio lo volle accanto a sé. Ratzinger giunse a Roma il 9 ottobre del 1962 e già il giorno successivo lesse di fronte a tutti i vescovi di lingua tedesca una relazione sulle Fonti della rivelazione, lo schema preparato dalla Commissione teologica. Il testo di Ratzinger era severo. Mettendo a frutto il suo precedente studio su san Bonaventura, contestava l’accostamento delle due fonti – Scrittura e tradizione – il concetto di inerranza, il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento.
Verso la metà di novembre il cardinale Frings ripeté in aula le critiche anticipate dal suo esperto, e la votazione dei giorni successivi rese manifesto il dissenso di molti padri per un testo che «non è antico, anzi, è alieno dal linguaggio dei santi padri e dei Concili». A disinnescare lo scontro e salvare la concordia tra i vescovi intervenne personalmente il Papa. Giovanni XXIII stabilì che lo schema doveva essere ritirato dal dibattito in aula per essere rielaborato da una commissione mista. Solo nell’ultima sessione del Concilio poté essere presentato il testo definitivo della costituzione sulla divina Rivelazione, la Dei Verbum, da molti considerata il documento più originale e innovativo del Vaticano II.
Un lavoro similare svolse Ratzinger anche per la costituzione sulla Chiesa. In questo caso, partendo dalla sua ricerca su popolo e casa di Dio in sant’Agostino, egli ricordò che nella Scrittura l’espressione «popolo di Dio» non ha una valenza sociologica, bensì teologico–sacramentale. Nell’Antico Testamento fu Dio a radunare il popolo eletto, nella nuova alleanza è Gesù che raduna la Chiesa intorno alla mensa eucaristica.
Questa breve ricostruzione vuole evidenziare che quando papa Benedetto parla dell’inserimento del Vaticano II nella tradizione vivente della Chiesa non vuole sminuire la novità dell’evento conciliare cui ha personalmente collaborato. Indicendo il Concilio e suggerendo l’aspetto pastorale come sua precipua caratteristica, papa Giovanni seguiva l’impulso dello Spirito Santo, il cui soffio spingeva per illuminare e indurre i fedeli e gli uomini di buona volontà ad accogliere e testimoniare la rivelazione cristiana nel nostro tempo.
A 50 anni dall’evento conciliare, l’Anno della fede è un invito alla comunione con Dio, ad annunciare la Parola che riscalda il cuore e fa varcare la porta della fede.

© Copyright Avvenire, 11 ottobre 2012 consultabile online anche qui.

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